di: cofondatori e direttori artistici Shana Caroll, Isabelle Chassé, Patrick Léonard, Faon Shane, Gypsy Snider, Sébastien Soldevila, Samuel Tétreault
Produzione: Les 7 doigts de la main - Centre National des Arts d’Ottawa con il sostegno del Conseil des Arts et Lettres du Québec e del Conseil des Arts du Canada
Interpreti: Antoine Carabinier-Lépine, Jonathan Casaubon, Gisle Henriet, Geneviève Morin, Julien Silliau.
Trieste, Politeama Rossetti 5 gennaio 2011
Acrobati, street performers, ballerini… è difficile definire gli artisti della compagnia canadese “The seven fingers / Les 7 doigts de la main”. Sono cinque giovani che stupiscono con l’istintività, il modo di essere naif, l’espressione atletica irruente dei corpi ma anche l’intimità poetica delle confessioni. Sembrano essere semplicemente se stessi anche se si muovono su un palcoscenico dalle atmosfere apocalittiche, un rifugio suburbano costituito da tele, nastro adesivo, arredi improvvisati per fuggire da una catastrofe annunciata. Il loro spettacolo intitolato “Traces” ha fatto ormai con successo il giro del mondo: un’esibizione singolare, che presenta sempre qualcosa di irrisolto, di non finito, proprio come un fluire libero di emozioni. Composto da scene volutamente irrelate, in cui si alternano danza, disegno, musica, poesia, canto e soprattutto acrobazie di alto impatto, descrive forse i momenti estremi di vita di questi ragazzi (Antoine Carabinier-Lépine, Jonathan Casaubon, Gisle Henriet, Geneviève Morin, Julien Silliau). L’imperativo è quindi esprimere al massimo la propria essenza, agire con determinazione per affermare per l’ultima volta se stessi. E ciò avviene attraverso lo svolgimento di azioni abituali come giocare a basket, raccontare esperienze vissute, correre sullo skateboard, leggere un libro, suonare il pianoforte. Azioni però che, ben presto, virano verso la fantasmagoria, l’improbabilità, la sorpresa, annientando qualsiasi aspettativa del pubblico. Tutto diventa allora magico, se esperito da loro, urgente, vibrante, come in un circo che incontra la quotidianità. I loro movimenti veloci sfidano l’agilità e l’equilibrio, usando specialmente aste e cerchi di metallo per cimentarsi in salti mortali e contorsionismi di grande abilità.
Il gioco, l’illusione, la plasticità di cui è capace la figura umana prende il sopravvento, dileggiando la gravità e la quiete e inneggiando ad un infinita energia che ciascuno sa trovare dentro di sé per manifestarla sia singolarmente, sia in un afflato corale di indomito dinamismo.
Elena Pousché