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SYLVIA - coreografia Manuel Legris

 Martina Arduino e Claudio Coviello in "Sylvia", coreografia Manuel Legris. Foto Brescia e Amisano, Teatro alla Scala Martina Arduino e Claudio Coviello in "Sylvia", coreografia Manuel Legris. Foto Brescia e Amisano, Teatro alla Scala

Balletto in tre atti
Coreografia di Manuel Legris da Louis Mérante e altri
Assistenti coreografo: Alice Necsea e Albert Mirzoyan.

Musica di Léo Delibes
Drammaturgia e libretto: Manuel Legris e Jean-François Vazelle da Jules Barbier e barone Jacques de Reinach.

Scene e Costumi di Luisa Spinatelli
Assistente alle scene e costumi: Monia Torchia
Luci: Jacques Giovanangeli.

Con: Martina Arduino, Claudio Coviello, Nicoletta Manni, Marco Agostino, Maria Celeste Losa,
Nicola Del Freo, Christian Fagetti, Gabriele Corrado, Mattia Semperboni
e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Frédéric Olivieri. 

Nuova Produzione Teatro alla Scala
Coproduzione del Teatro alla Scala e Wiener Staatsballet.

Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore: Kevin Rhodes

MILANO, Teatro alla Scala, dal 17 dicembre 2019 al 14 gennaio 2020

www.Sipario.it, 6 gennaio 2020

Sylvia, il balletto inaugurale della nuova stagione scaligera

La nuova stagione di balletto del Teatro alla Scala, come ricordato nella nostra annuale presentazione pubblicata sull’ultimo numero della rivista, si apre con un debutto storico per il Piermarini nonché un nuovo ingresso nel repertorio della troupe tersicorea. Sylvia è il titolo scelto per l’occasione: balletto ispirato al dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso, composto da Léo Delibes e andato in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1876. La versione coreografica scelta è la recentissima creazione firmata da Manuel Legris nel 2018 per lo Staatsballet di Vienna e che non si inscrive nel solco delle ricostruzioni filologiche ma intende recuperare, di converso, la tradizione e la cultura della danza francese così cara all’ex étoile dell’Opéra de Paris e oggi Direttore, per l’appunto, dello Staatsballet di Vienna. 
Fedelissima al linguaggio coreografico classico e nella conservazione dello spirito della versione di Lycette Darsonval del 1979 - edizione di riferimento di Legris - la nuova Sylvia viennese coprodotta con il Teatro alla Scala gode di freschezza, energia, virtuosismi e, aspetto senza dubbio cardinale, una modulazione drammaturgica capace di mettere in valore ruoli finora adombrati. È il caso di Diana, personaggio che nella lettura di Legris diviene la chiave di volta di tutto l’intreccio proposto: non è un dettaglio secondario, infatti, il prologo che qui è affidato alla dea della caccia e al suo Endimione, “l’ardente innamorato che ella ha fatto addormentare - come recita il soggetto redatto da Manuel Legris e Jean-François Vazelle - per poterlo contemplare in eterno da uomo giovane e bello”. Al preludio musicale segue, dunque, il noto sviluppo dell’atto primo e della notte nel bosco sacro con la solenne apparizione di Sylvia e delle sue cacciatrici. 
Alla prima rappresentazione milanese il ruolo della “più cruda ninfa che mai seguisse il coro di Diana” - come si legge nel prologo del poema di Torquato Tasso - era affidato a Martina Arduino: adeguata spavalderia, poderosa disinvoltura e convincente risolutezza sono i tratti peculiari che emergono nell’interpretazione donata al personaggio nel primo atto, buoni gli equilibri che imperano nel discorso coreografico pensato per l’ultimo atto. Al suo fianco il pastore Aminta è un ottimo Claudio Coviello: esecuzione tecnica brillante nella variazione del primo atto, definita la verve consegnata nelle azioni che hanno luogo presso il tempio di Diana. Degna di menzione la coreografia pensata per la variation dansée che nel divertissement di questa edizione è riservata a Sylvia e Aminta poco prima del Galop général.
L’Orione di Christian Fagetti qui gode di virilità e netta definizione dei tratti peculiari del personaggio; ad attorniare il cacciatore nero nel secondo atto le schiave nubiane, i fauni e i satiri che completano, con l’aggiunta di un ulteriore brano musicale, una scena incisiva e determinante per l’incedere drammaturgico del balletto. Nicola Del Freo è un luminoso dio dell’amore, a lui sono riservati alcuni dei virtuosismi del terzo atto: buona l’esecuzione delle batterie, dei giri e dei salti previsti nel suo fraseggio coreografico. 
Le scenografie, affidate a Luisa Spinatelli, sono pensate recuperando tre delle quattro radici empedoclee ed evocano l’acqua nel primo atto, il fuoco nel secondo e l’aria nel terzo. L’esito consegna un sognante e perfetto bosco sacro nel segmento iniziale del balletto, un compiuto nascondiglio nel secondo atto e una gradevole scena ai piedi del tempio di Diana, forse in alcuni punti da locupletare. Amabili ed evocativi i costumi, una sorpresa - nell’estetica spinatelliana - i vividi cromatismi dell’oro pensati per il carro di Pegaso. A dirigere l’orchestra del teatro il Maestro Kevin Rhodes impegnato con una partitura che, in illo tempore, venne salutata da Pëtr Il’ič Čajkovskij con un ottimo giudizio: “Che charme, che eleganza, che ricchezza di melodie, ritmi e armonie!”.
Portare alla Scala Sylvia quale balletto inaugurale della nuova stagione del teatro milanese è una scelta che oltre ad aver goduto dell’ottima ricezione della compagnia ha un valore storico e culturale di prima grandezza: ad eccezione di un breve stralcio presentato nel 1953 dal New York City Ballet su coreografia di George Balanchine, il capolavoro di Delibes non si ascoltava alla Scala dal 1894. È un grande merito, dunque, dell’attuale Direzione della troupe scaligera e della dedizione di Manuel Legris per un filone di eredità coreutica ineludibile: “Quanti sono i coreografi odierni - si chiede, per l’appunto, l’ex étoile dell’Opéra di Parigi in un testo raccolto da Marinella Guatterini e pubblicato nel recente programma di sala - che vogliono mantenere in vita le grandi scuole di tradizione del balletto attraverso allestimenti puramente classici? Se c’è una moda io non la seguo”. Una linea, questa, che tutela un patrimonio irrinunciabile della cultura coreutica ottocentesca di matrice francese, italiana e russa che oggi torna a rispolverare, prima a Vienna e poi a Milano, l’aura poetica e trasognata della casta ninfa di Diana.

Vito Lentini

Ultima modifica il Martedì, 07 Gennaio 2020 10:57

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