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LE ROUGE ET LE NOIR - coreografia, scene e costumi Pierre Lacotte

"Le Rouge et le Noir" di Pierre Lacotte. Foto Svetlana Loboff "Le Rouge et le Noir" di Pierre Lacotte. Foto Svetlana Loboff

Balletto in tre atti
Coreografia, scene e costumi di Pierre Lacotte. Musica di Jules Massenet.
Arrangiamento e orchestrazione: Benoït Menut. Libretto: Pierre Lacotte da Stendhal, Le Rouge et le Noir
Assistenti del coreografo: Béatrice Martel, Karl Paquette.

Luci: Madjid Hakimi.
Con: Mathieu Ganio, Florian Magnenet, Germain Louvet, Hugo Marchand, Amandine Albisson,
Hannah O’Neill, Dorothée Gilbert, Ludmila Pagliero, Léonore Baulac, Myriam Ould-Braham,
Bianca Scudamore, Valentine Colasante, Naïs Duboscq, Roxane Stojanov,
Stéphane Bullion, Francesco Mura, Marc Moreau
e il Corpo di Ballo dell’Opéra national de Paris.

Orchestra dell’Opéra national de Paris. Direttore: Jonathan Darlington

PARIGI, Opéra national de Paris, Palais Garnier, dal 16 ottobre al 4 novembre 2021

www.Sipario.it, 22 ottobre 2021

Le Rouge et le Noir di Pierre Lacotte: eleganza e tradizione al Palais Garnier

L’ultimo dei grandi psicologi francesi, l’uomo che, di tutti i francesi di questo secolo, ha forse avuto gli occhi e gli orecchi più ricchi di pensieri. Nel lusinghiero giudizio che Friedrich Nietzsche riserva a Stendhal non è arduo ritrovare il tributo che sovente si riconosce ad uno scrittore che a pieno titolo si annovera fra le penne indagatrici più amabili dell’umano capaci di produrre ciò che oltralpe definirebbero frémissement brûlant. Un fremito ardente attraversa, per l’appunto, Le Rouge et le Noir, il secondo romanzo di colui che amò sconfinatamente il nostro Paese e nel quale emerge a forti tinte la complessità del corso storico, del vissuto, del cuore e de la plus grande des affaires, l’amour. Dopotutto è innegabile, in Julien Sorel - protagonista del romanzo - dialogano, con disinvolta conflittualità e reciprocità, l’unicità, lo sfondo sociale e le relazioni amorose quali tratti prevalenti delle vicende che innervano l’ascesa e la mobilità sociale nel secolo indagato dall’autore.
Uno spaccato autentico scelto da Pierre Lacotte - coreografo noto in particolare per le ricostruzioni e ricreazioni del balletto romantico - per la sua ultima creazione integralmente pennellata sul romanzo dello scrittore francese e pensata per il teatro della sua infanzia. Un dono per l’Opéra Garnier, quello di Lacotte, che trova spazio in una proposta ricca di fascino, sontuosa, articolata e di convinto radicamento in un vocabolario coreografico classico-accademico. Su questa struttura si dipana la proposta del coreografo francese che fin dal primo atto non rinuncia a concedere sviluppo alle vicende ricorrendo a variazioni e passi a due capaci di restituire il variegato florilegio drammaturgico offerto dai numerosi personaggi del libretto. Uno dei tanti meriti che occorre riconoscere al lavoro è, difatti, la lodevole scelta di optare per tratti coreografici differenti al fine di restituire le tessiture e le singolari nuances dei protagonisti. Fin dai primi momenti a Julien Sorel è affidata, appunto, una coreografia spumeggiante e piena di batterie che alla Première ha goduto della fine tempra di Mathieu Ganio: étoile di spicco della compagnia, tecnicamente disinvolto e accorto nel riproporre con profondità i profili del giovane precettore. Degno di nota, su tutto, quel brevissimo segmento del primo atto - parafrasi dell’episodio delle “forbici inglesi” narrato da Stendhal - allorquando Julien, nel corso di una cena, raccoglie da terra il tovagliolo scivolato dalle mani di Madame de Rênal: accompagnato dal leitmotiv musicale il gesto squaderna un flusso emotivo autentico e inaugura l’ardore che attraversa la creazione. Un segmento che avvia e interrompe, nel contempo, l’intesa tra Mathieu Ganio e Amandine Albisson poiché a seguito di un infortunio si conclude l’esperienza del fine danzatore francese nei panni del giovane studente di teologia. Il personaggio da quel momento sarà consegnato a Florian Magnenet, premieur danseur della troupe d’oltralpe, che ereditando l’ardua impresa di rispolverare repentinamente le pennellature previste per il giovane ambizioso ha rimodulato passione, equilibri ed intese con la signora de Rênal trovando autenticità e naturalezza solo nel prosieguo dei due successivi atti. Affascinante la scrittura coreografica prevista per Madame de Rênal: Amandine Albisson si cimenta con un ricco e articolato port de bras che a tratti sembra proporre gli “slanci d’amore e di folle gioia” dello scritto di Stendhal ma non dimenticando eleganza e raffinatezza. Le tinte e le nuances più decise, nette e risolute sono riservate, di converso, all’Élisa di Valentine Colasante, l’étoile gode dell’esteso spazio concesso da Lacotte nella creazione regalando alla governante un rilievo tecnico di riguardo.
Il secondo atto e il quinto tableau di apertura conducono lo spettatore all’interno del seminario presso il quale l’Abbé Chélan nasconde l’eroe lasciando spazio ad una sezione del corpo di ballo maschile nelle vesti dei seminaristi e ad alcuni rilievi coreografici tali da articolare lo sviluppo drammaturgico con efficacia. Il cambio di scena e il settimo tableau - con l’imponenza del palazzo del Marquis de la Mole - presentano la civettuola peculiarità di Mathilde de la Mole concessa a Myriam Ould Braham e propongono una sequenza di variazioni, pas de deux, pas de quatre e valzer che contribuiscono a rendere fastoso questo atto.
Delicato e sfumato il passo a due di Myriam Ould Braham e Florian Magnenet nella chambre de Mathilde all’inizio del terzo atto poco prima di quel camp des hussards in cui l’apparato costumistico dello spettacolo raggiunge il vertice e il giovane Julien veste i panni dell’affermato Chevalier Sorel de La Vernaye. Le uniformi, i cromatismi e la ricchezza degli ornamenti scelti sono degni di menzione. Parimenti valido, in questo atto, il ruolo di Monsieur de Rênal restituito da Stéphane Bullion: da ricordare, su tutto, la tempra virile che l’étoile adotta nel momento in cui abbraccia i tre figli tentando di nascondere il dramma che ha colpito la loro madre.
Rilevanti, altresì, i momenti concessi, nelle battute finali, al protagonista, all’Abbé Chélan e a Madame de Rênal con il reiterato ricorso a quel leitmotiv che a ragione si potrà associare al tumultuante amore del giovane ambizioso e della signora de Rênal, come nel tempo è accaduto per la storia di Manon e Des Grieux, di Tatiana e Onegin.
Se è vero, come precisa Lacotte, che l’intreccio “doveva essere scisso in differenti scene unite le une alle altre, come una serie di domande e risposte”, è da rilevare che la lunga successione dei sedici tableaux proposti talvolta si incaglia in cesure nette. Esse, tuttavia, non lordano una creazione che si configura come uno sforzo produttivo di notevole portata e annovera numerosi punti di forza. Fra essi si enumera la scelta di ricorrere a stralci tratti da partiture di Jules Massenet per la tessitura musicale del lavoro, quel compositore “che ha saputo illustrare musicalmente tutti i sentimenti umani” - sottolinea Lacotte -, come pure la scelta di arricchire le scene con stampe d’epoca in bianco e nero e affidare al fasto dei costumi en couleur il fascino della sontuosità d’antan. Un dono, dunque, che rimarrà nel repertorio del Balletto dell’Opéra de Paris a memoria di quel gusto francese che nella danza ha trovato in Lacotte l’interprete ideale per preservare bellezza, eleganza, raffinatezza e rispetto della tradizione.

Vito Lentini

Ultima modifica il Venerdì, 22 Ottobre 2021 14:21

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