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ODISSEO - IL NAUFRAGIO DELL'ACCOGLIENZA - coreografia Roberto Zappalà

Odisseo-Il naufragio dell'accoglienza Odisseo-Il naufragio dell'accoglienza Coreografia Roberto Zappalà

4° tappa dal progetto re-mapping sicily
coreografia e regia Roberto Zappalà, drammaturgia Nello Calabrò e Roberto Zappalà
danzatori Adriano Coletta, Lorenza Di Calogero, Samantha Franchini, Rumiko Otsuka, Roberto Provenzano, Fernando Roldan Ferrer, Salvatore Romania, Antoine Roux-Briffaud
soprano Marianna Cappellani
Franco Battiato legge: Lucrezio, Plutarco
schizzi, collages e decoupages musicali Puccio Castrogiovanni, costumi Debora Privitera e Roberto Zappalà
produzione Compagnia Zappalà Danza, Scenario Pubblico Performing Arts
in collaborazione con Teatro Stabile di Catania, febbraio 2011

www.Sipario.it, 27 febbraio 2011

Tra i tanti meriti che si possono attribuire all'opera di Roberto Zappalà, vi è quello di una criticità di pensiero che fa di lui un artista onesto e pienamente risolto nella maturità della sua ricerca.

Una ricerca che muove dal pensiero, ma si fonde in sostanza di immagini, si scioglie in ritmi e silenzi, si sveste e si stratifica con l'andare del tempo, per arrivare ad una coerenza drammaturgica che è anche la chiave di volta che tiene insieme significante e significato.

"Odisseo, il naufragio dell'accoglienza", in prima assoluta a Catania a Scenario Pubblico, per la rassegna TE.ST a cura del Teatro Stabile Etneo, è uno spettacolo in cui tout se tient, in cui ogni linguaggio aggiunge un piano di significato, ma lo fa per eliminazione.

L'impianto drammaturgico, firmato anche Nello Calabrò, è fondato sul tema del dramma dell'emigrazione-immigrazione, quell'esodo che, nei secoli scorsi, ha portato migliaia di uomini della nostra terra a cercare fortuna in paesi lontani, ma che, per un paradossale rovesciamento di prospettiva, si è trasformato in un tremendo traffico di carne umana, così che quelle stesse spiagge da luogo da abbandonare quali erano, sono diventate luogo da raggiungere ad ogni costo. Ma se cambiano i flussi e le destinazioni, uguali e assoluti rimangono la disperazione, il dramma, la povertà, le condizioni da cui si sfugge, il senso di sradicamento e di estraneità e diversità cui si va incontro.

La pulsione del viaggio nella cultura occidentale tesse molteplici significati, quelli epici ed eroici, legati alla ricerca della conoscenza, e quelli legati al dramma della diaspora, dell'esilio. Odisseo, uomo-itinerante, percorre un cammino che è anche il cammino dell'umanità che, attraverso il "folle volo", acquisisce consapevolezza della propria finitezza, ma la sua è anche l'epopea archetipica del migrante che incarna il rimpianto amaro dell'esule, dello straniero, il cui unico obiettivo è quello di un nostos nella propria terra.

Lo spettacolo è soprattutto l'evocazione di un eterno peregrinare nel mare, che, con la sua vitale e sostanziale presenza sensuale e sensoriale, si fa nucleo centrale, fattore dinamico e fisico che accomuna e separa, che dà la vita e la toglie. Corpi sbattuti, ammassati, sopraffatti, violenti, lacerati dalle onde, aggrovigliati, vigorosi, imponenti l'uno su l'altro. La citazione visiva rimanda dichiaratamente alla zattera della Medusa di Gericault, quadro-simbolo di una situazione catastrofica, ma nello stesso tempo piena di speranza, in cui i sentimenti e i comportamenti dell'uomo sono parossisticamente ingigantiti, la solidarietà e la sopraffazione, la violenza, fino al cannibalismo, il terrore, la pazzia, la morte, la disperata speranza.

Zappalà torna a lavorare sui contrasti dati per accostamenti e giustapposizioni, povertà vs opulenza, incontro vs scontro, la pace che confluisce nella guerra e viceversa, l'equilibrio nel disequilibrio, e in questa grammatica visiva, dove il symbolo non è mai spiegato, né mai sciorinato, e non per questo perde la sua capacità di farsi capire, il vomito quasi ai piedi degli spettatori è il rovescio di una stessa medaglia, sintomo di malessere causato dai marosi, ma anche di nausea sartriana data dalla nullità e la vacuità di ciò che "è di troppo".

Ogni articolazione, ogni dinamica è un filo di movimento che corre e attraversa lo spazio e il tempo, il pieno e il vuoto, si articola, si sgrana, si appuntisce, si ritorce, si dirama e svanisce fra le curvature del movimento dell'altro: rassegnazione, sbigottimento, dannazione, disperazione, spasimo e speranze sbattute contro quei muri di indifferenza imposti dalla società contemporanea come onde che ritornano su se stesse. Il rapporto fra genti e popoli è sempre lancinante, i corpi lottano, si incontrano, si baciano, si attraggono e si respingono, prevale l'istinto poi la ragione, poi di nuovo l'istinto. Il movimento è fatto di linee figurative e astratte, sinuose, geometriche, furiose, combattive, che ci restituiscono un'umanità sofferente, esangue, come in preda ad un imminente disfacimento. In quell'interspazio di significanze dato dal corpo, lo spazio il tempo, l'uomo stesso appare animalizzato, eroso, incapace di capire, di guardare con innocenza negli occhi dei suoi simili, l'uomo diventa crocifisso dalla mancanza di speranza, dalla condanna facile di chi si rifiuta di capire, di aprirsi, di incontrare gli altri, ma in fondo capace di rialzarsi dalle proprie stesse ceneri.

Una ferrea architettura all'azione è fornita dalla scelta musicale di Puccio Castrogiovanni, soprattutto la straordinaria voce del soprano Marianna Cappellani nelle songs barocche di John Dowland, il cui ventre rotondamente gravido incarna, in modo magnifico, la condizione di Madre capace di rigenerare il mondo e alla fine di salvarlo.

Filippa Ilardo

Ultima modifica il Venerdì, 11 Ottobre 2013 12:09

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