FOLKÅ
coreografia Marcos Morau, musica Nuova composizione e sound design di Juan Cristobal Saavedra
Nuove composizioni: Condividiamo La Luna & Whisper, con assistenza vocale di Kim Sutherland
Il Coro Bulgaro di Londra diretto da Dessislava Stefanova:, Mor’f Elenku, trad.; Izgreyala Yasna Zvezda,
trad. arrangiamento da Dessislava, Stefanova; Razbolyal Se E Mlad Stoyan di Kiril Todorov
disegno luci Tom Visser, scena Marcos Morau, costumi Silvia Delagneau, direttore delle prove Ander Zabala
AN UNTOLD STORY
coreografia Nadav Zelner, musica Ionica Minune: Barbu Lǎutaru, Electrecord.
Henry Ernst (aka Adrian Sical) / Fanfare Ciocarlia: Doina Si cintec, Balaseanca De 8 Or, Piranha.
Taraf de Haïdouks: Dumbala Dumba, Rustem, Cintece De Jale, Crammed Discs.
Taraful Ciuleandra: Hora Staccatto / Ciocarlia, ARC Music Productions Int. Ltd. Robert Schumann, Daniel Barenboim: Kinderszenen Op.15:7. Traumerei, Deutsche Grammophon GmbH, Berlin, disegno luci Avi-Yona Bueno (Bambi), decor Eran Atzmon, costumi Maor Zabar, editor del suono Matan Onyameh
direttore delle prove Lydia Bustinduy, produzione Nederland Dans Theater 2, al teatro Valli, Reggio Emilia, 24 novembre 2024, Festival Aperto.
È pura energia, è immagine, è ritmo, è colore: tutto questo è la compagnia Nederland Dans Theater 2, una certezza di puro piacere coreografico, di stupore per gli occhi, di perfezione ritmica e visiva. Nessuna sorpresa, eppure ogni volta ci si stupisce di che cosa possano fare i danzatori del Nederland Dans Theater 2, le giovani e già affermate promesse dell’ensemble. Assistere a Folka è una botta adrenalinica. Ad andare in scena è una danza rituale e dionisiaca che il coreografo e regista Marcos Morau disegna con trascinante precisione, raccontando di una coralità che si serra, si disgrega, partorisce il singolo per poi nuovamente fagocitarlo. Poco meno di mezz’ora e la sensazione è che i corpi che si muovono davanti ai nostri occhi non siano umani, siano piuttosto un ingranaggio di una macchina che sfiora la perfezione, una macchina di movimento e immagini che si costruiscono e sfaldano con assoluta percezione. Si trattiene il respiro dall’inizio alla fine, ci si fa incantare dalla capacità di quei singoli corpi di diventare un’unica cosa, un grande essere vivente che si agita, si scuote, si separa e poi si ricompone senza colpo ferire. E alla fine quello spazio scenico nero diventa una sorta di caverna all’interno della quale uomini e donne inscenano un rito antico che profuma delle fondamenta dell’essere uomini e donne parte di un tutto indistinto. E se la coreografia di Morau ha un suo calore pur nella cupezza della scena, il colore giallo e acceso di An Untold Story di Nadav Zelner, una storia mai raccontata che si svolge in uno spazio che sembra ricordare certi allevamenti intensivi. I danzatori vestono delle sorte di gambali, sopra la loro testa una serie di lampade al neon, di quelle che ammazzano le mosche. Quei lavoratori entrano ed escono da quello spazio, vi si annegano e vi si incontrano, fino al sopraggiungere di una figura scafandrata. Si ha l’impressione che in quello spazio di intensiva convivenza sia possibile raccontare una storia che non ha mai avuto voce, quella di una vita che pure esiste e resiste, di una sorta di spazio in cui è possibile agire, incontrarsi, scontrarsi, forse sognando una possibile libertà. «In questo universo giallo neon, dove mosche e Limoncello si scontrano, troverete una profonda poesia che fluttua nell’aria, rimbalzando da una parte all’altra, come una mosca», scrive Nathanaël Plantier e fa un po’ specie leggere questo dopo aver visto lo spettacolo. Davanti a chi scrive un giovane danzatore del Nederlands Dans Theater assiste allo spettacolo perché infortunato. E alla possibilità che quel luogo giallo rappresenti una sorta di allevamento intensivo, con la luce tipica dei grandi capannoni in cui si allevano i polli, il danzatore sgrana gli occhi azzurri e dice: «Non ci avevo mai pensato». Forse non è così, ma nel rincorrersi, sfidarsi dei ballerini in quello spazio delimitato e spazio di lavoro la sensazione è quella che forse noi tutti siamo animali da allevamento, spensierati, magari anche gioiosi nel nostro essere carne da macello. In An Untold Story di Nadav Zelner il disegno coreografico si fa più morbido, meno concitato, anche meno preciso di quello di Folka, ma in esso c’è qualcosa di meno ripetitivo e di più interrogativo. E questo intriga, come quello spazio giallo di corpi che si muovono come mosche impazzite. Nicola Arrigoni