del Complexions Contemporary Ballet
direttori artistici/fondatori Dwight Rhoden e Desmond Richardson
coreografo principale Dwight Rhoden
direttore artistico associato/coreografo in residenza Jae Man Joo
con Greg Blackmon, Andrew Brader, Daniel Cooke, Jillian Davis, Addison Ector, Larissa Gerszke, Brandon Gray, Shanna Irwin, YoungSil Kim, Kelly Marsh IV, Simon Plant, Kelly Sneddon, Timothy Stickney, Candy Tong
responsabile luci Jesse Muench
Complexions Contemporary Ballet
tour a cura di ATER-Associazione Teatrale Emilia Romagna
Trieste, Politeama Rossetti, 8 maggio 2018
Ensemble numeroso, duttile, sofisticato, il Complexions Contemporary Ballet di New York traccia sulla scena un ponte tra passato e presente, tra tradizione classica ed esplorazione contemporanea. Il loro ultimo spettacolo "From Bach to Bowie", che conclude la stagione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, offre delle coreografie affatturanti per originalità ed intensità emotiva, cullate da un repertorio musicale dalle forti antinomie. A firmarne le contrastanti coreografie, faticose e ginniche nel loro imprevedibile dispiegarsi sul palcoscenico, è Dwight Rhoden (ex principal dell'Alvin Ailey American Dance), fondatore con Desmond Richardson nel 1994 della compagnia. Dalla loro creatività esplosiva emerge un unicum di danza in continua evoluzione, un germogliare infinito di movimenti che a loro volta riflettono senza barriere il movimento del mondo e di tutte le sue culture. Non uno stile e un metodo precisi quindi, legati a determinati riferimenti spazio-temporali, ma una ricerca fluida e costante che declina e modula il corpo sulla base di suggestioni sempre diverse per rappresentarle tutte.
I Complexions, sette coppie di danzatori, non si risparmiano, non offrono una performance calibrata di pochi e rapide esibizioni. Al contrario, irrompono con il loro collage coreografico dalla forza corale che, appunto, dal Barocco giunge fino al Novecento più pop e trasgressivo. Con "Ballad unto" (2015) s'inerpicano nelle strutturate architetture bachiane inseguendo l'amore, in un trapasso profondo di corpi dalla staticità all'atletismo, cadenzato dal clavicembalo, alla destrutturazione del gesto sulle note sofferte di un violoncello. In "Gone" (2000) riflettono sulla fratellanza e la convivenza, affrontando poi il discorso della fede e della devozione con gli spirituals afroamericani che compongono "Testament" (2011). Il linguaggio della strada si contamina con il registro classico in "Imprint/Maya" (2015), toccante solo affidato al talento dello stesso Richardson ("una scultura in movimento, un corpo che è arte, attraversa il tempo e lo spazio con forza e grazia – ogni parte del corpo è connessa, mai fermo, ma il cuore si ferma nella bellezza", citando il Ballet Magazine). Passando per "Ave Maria" (1995), pas de deux votato al misticismo che appare forse un po' sottotono e datato rispetto agli altri numeri, si giunge infine al colorato, sensuale, vitalistico omaggio al "Duca bianco". "Star Dust" (2016) si rivela un tributo grandioso dalla forza destabilizzante dell'icona pop David Bowie: da Changes a Space Oddity, da Heroes a Modern Love... è un crescendo di canzoni ed esibizioni soprattutto maschili, un inno alla libertà e al be yourself. Trucchi stellari e vestiti luccicanti sottolineano una corporeità ostentata e ricreano perfettamente le atmosfere trasognate e poliedriche glam rock dell'artista da poco scomparso.
Elena Pousché