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AMOЯ - coreografia Salvo Lombardo

"AMOЯ", coreografia Salvo Lombardo. Foto Stefano Ridolfi "AMOЯ", coreografia Salvo Lombardo. Foto Stefano Ridolfi

Ideazione, coreografia e regia: Salvo Lombardo
Scene e video: Daniele Spanò
Musica: Fabrizio Alviti
Costumi: Chiara De Fant
Light design Giulia Pastore
Interpreti: Chiara Ameglio, Cesare Benedetti, Pieradolfo Ciulli, Maura Di Vietri, Daria Greco,
Riccardo Olivier, Maria Giulia Serantoni
Consulenza culturale Viviana Gravano, Giulia Grechi
Produzione Chiasma/Fattoria Vittadini e MILANoLTRE Festival
con il sostegno di Teatro di Roma - Teatro Nazionale e Regione Lombardia, Fondazione Cariplo

Teatro Argentina, 5 e 6 aprile 2022

www.Sipario.it, 13 aprile 2022

Quale luogo migliore del teatro Argentina, presidiato dall’antica area sacra di età repubblicana, per la messa in scena di AMOЯ? Salvo Lombardo dedica ai “fasti gloriosi” della nostra tradizione culturale uno spettacolo fortemente evocativo. Tuttavia, lo spettacolo si ferma all’evocazione, che a sua volta non va oltre la forma. L’ingombrante impalcatura del progetto grafico sovrasta pericolosamente la sostanza della performance. La scenografia plissetata è una porticus di tessuto, dalla forma solida ma natura instabile, proprio come il ritratto del potere messo in scena. I ballerini sono colonne viventi, portano con sé una tradizione cucita loro addosso, id est, la violenta bellezza della cultura occidentale. Tuttavia, le coreografie - che pur ricordano i tempi d’oro di Jiri Kylian al Netherland Dance Theatre- non lasciano spazio alla riflessione promessa dal regista. La plasticità vuota ideata da Daniele Spanò per la scenografia è spezzata dalla crudeltà ringarde del suo progetto video, in modo che l’insieme componga uno psichedelico viatico pop, magistralmente congeniato. Lo spettatore è infatti colto alla sprovvista dagli azzardi cromatici, giochi di luci, video disturbanti. Le musiche originali, composte da Fabrizio Alviti, strizzano l’occhio al progetto video: accompagnano il pubblico in una dimensione atemporale ma solcata dalla tradizione.
Un citazionismo esasperato attraversa l’intera messa in scena, ma risulta funzionale. Le citazioni audiovisive forniscono allo spettatore dei punti di riferimento culturale e temporale, dando l’idea di un potere che attraversa ogni epoca a noi nota - molto apprezzati in questo senso anche i costumi, macchie di colore pastello che dallo stile impero agli anni ‘90 rivestono i rapporti di forza tra uomini e donne senza tempo - con l'intenzione di trasportarlo verso l’ignoto, l’altra faccia del potere. Ma questo volto rimane segreto e inaccessibile, perché rimane intrappolato tra le belle forme di questo spettacolo kitsch. Interessante l’intermezzo tratto dal Giulio Cesare shakespeariano. Ma in questo caso i complimenti vanno al testo del drammaturgo britannico e all’interpretazione cult del meraviglioso monologo di Marco Antonio, il quale sembra suggerirci che il potere, come l’energia, non si crea o distrugge, semplicemente cambia forma. Punto, questo, che avrebbe meritato maggiore spazio all’interno dello spettacolo. Sebbene il concept di Salvo Lombardo vanti uno studio storico e filosofico notevole, tuttavia, la resa sul palco non ne restituisce che la punta dell’iceberg. Nel complesso i sensi fisici sono stimolati più di quelli intellettuali, i quali, invece, sono storditi da un velo di Maya bellissimo ma inconcludente. Eteree voci fuori campo recitano “Homo homini homo” che è la fabula docet dell’intera pièce, in una intervista col potere allusiva ma priva di contenuti. Se l’obiettivo di Salvo Lombardo era quello di rappresentare il concetto stesso di potere, nella sua natura seducente e priva di valore, con uno spettacolo a sua immagine e somiglianza, allora credo vi sia egregiamente riuscito.

Serena Spanò

Ultima modifica il Sabato, 16 Aprile 2022 12:26

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