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(CINEMA) - "La vita davanti a sé" di Edoardo Ponti

Sophia Loren e Ibrahima Gueye in "La vita davanti a sé", regia Edoardo Ponti Sophia Loren e Ibrahima Gueye in "La vita davanti a sé", regia Edoardo Ponti

LA VITA DAVANTI A SÉ
Un film di Edoardo Ponti
con Sophia Loren, Ibrahima Gueye, Renato Carpentieri,
Massimiliano Rossi, Abril Zamora, Babak Karim

regia di Edoardo Ponti
Italia 2020

È difficile spiegare l’insieme di messaggi e realtà che si intrecciano in questo ultimo film diretto da Edoardo Ponti, con l’interpretazione di una delle icone del cinema mondiale ancora vivente: Sophia Loren. Sta di fatto che la napoletana più amata di Hollywood torna sul grande schermo solo per amore del figlio, e con la consapevolezza di interpretare una storia della quale ne “valeva veramente la pena”, come la stessa Loren dichiara.

Parliamo di una radicale rivisitazione, da un punto di vista storico quanto geografico, del romanzo dello scrittore lituano naturalizzato francese Romain Gary “La vie devant soi”, riproposto per il grande schermo già nel ’77 da Moshé Mizrahi, con la bellissima Simone Signoret nei panni di Madame Rosà, pellicola che valse il premio Oscar come “miglior film straniero” nel '78.

“Una sopravvissuta all'Olocausto che ospita bambini in difficoltà stringe un'amicizia inattesa con un ragazzino di strada che l'ha derubata”, sintetizza al massimo il colosso del cinema streaming Netflix, società produttrice del film in questione. È necessario però ampliare: Bari (non Parigi) ai giorni d’oggi. Momò (Ibrahima Gueye) è un immigrato di 12anni, arrivato dal Senegal con la mamma quando era piccolo. Dopo la morte della madre, viene affidato ad un medico, il dottor Cohen, che non sa come prendersi cura di lui. Un giorno Momò borseggia al mercato una donna anziana, Madame Rosà (Sophia Loren); il dottore lo scopre e gli chiede di riportare il maltolto a quella signora che conosce da anni. Nell’occasione chiede a Rosà di accogliere Momò in casa sua, insieme ai figli delle prostitute di cui la donna è stata un tempo collega. Inizia una dura convivenza tra i due, in gioco la reciproca fiducia fra un'anziana che ne ha passate tante e un ragazzino che non crede più a nessuno.

La sceneggiatura, insieme a un solido filo conduttore quale il romanzo di Gary, porge l’occasione a Ponti e Ugo Chiti (co-sceneggiatore del film) di inglobare in una sola pellicola un mare di significati, situazioni e realtà sociali. Partendo da un romanzo che vuole raccontare quanto importante sia la custodia dei propri principi e del proprio credo, anche in questo film viene fuori quella che dovrebbe essere “normale consuetudine” la realtà LGBT; ma si parla anche di prostituzione, di sfruttamento minorile, abbandono dei figli e della propria terra per necessità. Per la vita!

La regia, in sostanza, non “muove” nulla di nuovo; e nonostante l’interessante adattamento della sceneggiatura, nel complesso il film non riesce a raggiungere significati ed immagini “epiche” così come siamo stati abituati a vivere con la Loren. Anche l’omaggio a “Una giornata particolare”, il capolavoro di Ettore Scola, che il regista dichiara di inserirne nella scena sul soffitto, sotto la pioggia e tra i panni stesi, dona certamente un’indimenticabile suggestione, ma dovuta solamente alla potente immagine di una Madame Rosà costruita sul meraviglioso, vecchio, imbrattato e mal concio volto della venere del cinema mondiale: Sophia Loren. Con una interpretazione forte, ad occhi spalancati sotto l’acqua, di una non semplice capacità e preparazione fisica e mentale.

Un po’ debole la trovata simbolica del “leone”, che Momò immagina; più significativa invece l’ambientazione creata in riferimento al “rifugio” di Madame Rosà, dove torna a rivivere i tristi momenti della persecuzione nazista e dell’Olocausto, capaci di trasmettere allo spettatore angosce e circostanze come nell’epoca; soprattutto se il finale del libro lo si immagine nell’ambientazione del film, durante quelle lunghe tre settimane tra Rosà e Momò…

Anche la voce fuori campo, che vuole essere la storia raccontata da Momò, non è molto coerente e appare nel film a tratti discontinui. Probabilmente si sarebbe potuta evitare.

Due sono praticamente le perle di questo film: in primo luogo la grande Sophia Loren, che non brilla solo per “miticità”, ma perché l’immagine che ci dona oggi, seppure “opposta”, è forte e meravigliosa esattamente come quella di ieri, bellissima e bravissima come in “Matrimonio all’italiana” (per esempio). Inoltre, si fa forte di quell’“arte del dialogare” maneggiata anche da altri suoi grandi colleghi del passato: da De Sica a Totò, Eduardo, Fabrizi, Mastroianni, ecc. Che mescolavano la bravura dell’“interpretare” con la verità della “lingua corrente”, patrimonio di una scuola che non riesce davvero a esistere più; senza che sia necessariamente falsata da stereotipi e banali standardizzazioni d’impostazione. Madame Rosà colora i dialoghi col napoletano, e questa idea è forse l’unica mano che si appoggia rispettosamente sulla spalla del glorioso passato del cinema italiano. Neorealista in primis. Nessuno più riesce a trattare la “lingua corrente” nel cinema contemporaneo come erano in grado di fare dai “primi colori” in avanti.

Secondo luogo: Bari. Per mezzo del sostegno che questa produzione ha ottenuto grazie a Regione Puglia e Apulia Film Commission, è emersa una “location metropolitana” che non ha davvero nulla da invidiare ad altre città del mondo, all’interno della quale sono state girate importanti ambientazioni cinematografiche. Tra ponti, palazzi, case, vie, porti e industrie, ma anche grazie alle maestranze artigianali, tra macchinisti e operai della scena, che la Puglia è stata in grado di mettere a disposizione.

Bravissimo il piccolo Ibrahima Gueye alla sua prima interpretazione. Ora però è necessario studi e affini la gestione di alcune “esternazioni”, per evitare che anche lui precipiti verso il baratro della piatta “usanza recitativa” d’oggi, e salga invece verso quella “vecchia scuola” che menzionavamo prima.

In conclusione “La vita davanti ha sé” rappresenta il giusto ritorno di Sophia Loren sul grande schermo, in un film che (è necessario dire) esprime una regia onesta, sia per le tematiche trattate che per la reale costruzione che assumono i personaggi (esempio ne è la miserabile condizione in cui scopriremo vivere il fornitore di droga di Momò e le disparate fasce sociali che ne fanno uso acquistandola). Inoltre, il personaggio di una signora dal passato travagliato e sofferto, dà l’occasione a una vecchia attrice come Sophia Loren di tornare alla ribalta con vera dignità e su tematiche attuali e spesso scomode, soprattutto ad alcune “vecchie generazioni” e a fantomatici “conservatori”. Il cinema lo dovrebbe fare più spesso con i tanti grandi attori ormai dimenticati dalla scadente, standardizzata, ripetuta e scontata programmazione delle produzioni d’oggi.

Valerio Manisi

Ultima modifica il Giovedì, 19 Novembre 2020 10:44

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