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(CINEMA) - "Dio è donna e si chiama Petrunya" di Teona Strugar Mitevska. La regia è donna e vive in Macedonia

"Dio è donna e si chiama Petrunya" di Teona Strugar Mitevska "Dio è donna e si chiama Petrunya" di Teona Strugar Mitevska

Dio è donna e si chiama Petrunya (Gospod postoi, imeto i' e Petrunija)
di Teona Strugar Mitevska
Con Zorica Nusheva, Labina Mitevska, Simeon Moni Damevski,
Suad Begovski, Stefan Vujisic  
Macedonia, Belgio, Slovenia, Croazia, Francia 2019

La regia è donna e vive in Macedonia

Petrunya (Nusheva) vive a Stip, piccolo centro macedone; ha 32 anni, è laureata in storia ma non trova occupazione, vive con i genitori ed è grassoccia e poco curata. La madre, Vasca (Violeta Sapkovska), la sveglia perché deve andare ad un appuntamento per un lavoro di ufficio in una stireria; lei le risponde con malgarbo (tra le due c’è un rapporto difficile), si prepara in fretta ed esce. La sua amica Blagika (Andrijana Kolevska), che ha una relazione senza futuro con un uomo sposato e gestisce una minuscola boutique, le presta un vestito per il colloquio. Arrivata a destinazione, il boss (Mario Knezovic) sulle prime la prende in giro per la sua inutile laurea e per l’inesperienza lavorativa, poi le alza la gonna e le accarezza le cosce ma, quando lei lo respinge, lui le grida: “Non ti vorrei nemmeno per una scopata!”. Tornando a casa, Petrunya si trova al centro dell’annuale processione locale, alla fine della quale viene gettato un crocifisso nel fiume e l’uomo (a loro è riservata la cerimonia) che la ripescherà avrà un anno fortunato. Quando la croce arriva in acqua e gli uomini si sono tuffati, lei, d’istinto, si butta nel fiume vestita e la afferra. Arrivata a riva, resiste alle sollecitazione del prete (Begovski) e agli assalti dei più esagitati (Ilija Volcheski, Igor Todorov, Nenad Angelkovic) e se lo porta a casa, mentre il sacerdote investe del caso il capo della polizia locale (Damevski).  A casa ha una colluttazione con la madre che vuole che restituisca il crocifisso, mentre il padre, Stoyan (Petar Mircevski), cerca di difenderla. Arriva Blagika e anche lei cerca di convincerla e, avvertita da lei, arriva anche la polizia che la porta al commissariato. Intanto l’inviata televisiva Slavica (Mitevska), che è lì con il cameraman (Xhevdet Jashari) per un servizio sulla processione, decide di fare un ampio reportage su quella vicenda di arretratezza patriarcale e, dopo aver fatto qualche intervista, si piazza fuor dall’ufficio di polizia; poco dopo una telefonate del direttore di rete intima a lei e al tecnico di rientrare pena il licenziamento ma lei – dopo essersi fatta lasciare la telecamera – decide di restare. Petrunya resiste alle sollecitazioni dell’ispettore capo, del prete e del magistrato inquirente (Bajrush Mjaku), nonché alle aggressioni dei nuotatori che vorrebbero linciarla, tacitamente appoggiata dal giovane agente Darko (Vujisic), con il quale nasce una affettuosa intesa. Alla fine le autorità sono costrette a rilasciarla e a ridarle il crocifisso ma lei, all’uscita, lo dà al prete: con lei ha già funzionato, facendole trovare un possibile amore e magari – grazie all’intervista ai suoi genitori che hanno chiesto che qualcuno la assumesse – anche un lavoro.
La Macedonia ha una buona tradizione di cinema, basti pensare ai pluripremiati Prima della pioggia (1994) e Dust (2001) di Milko Mancevski o alla partecipazione al nostro interessante Banat- Il viaggio (2015) di Adriano Valerio. Anche Teona Strugar Mitevska ha un bel medagliere di partecipazioni e premi ai festival di Toronto e Berlino ma con Dio è donna e si chiama Petrunya è stata per la prima volta in concorso nella selezione ufficiale dell’ultima Berlinale, ottenendo il Guild Film Prize e il Premio della Giuria Ecumenica. Non è un caso perché il film è una piccola ma potente opera, raccontata dalla macchina da presa, senza bellurie tecniche ma con grande efficacia narrativa. Agli attori – alcuni vengono dal teatro, altri sono semiprofessionisti ma sono tutti perfettamente in parte – la regista impone una recitazione efficacemente sobria, quasi in levare e così la Nusheva, famosa in patria come comica, dà alla sua Petrunya una profondità che cresce di scena in scena. La Mitevska, dopo essersi interrogata sulla matrice femminista del film, non la rinnega – la storia, in parte vera, porta alla luce un pezzo di società macedone al limite della misoginia medievale – ma tutte le figure presenti nel film sono raccontate con affettuosa empatia, talora ironica, talora dolente ma mai veramente giudicante. Un piccolo capolavoro da non mancare. 

Antonio Ferraro

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Dicembre 2019 17:43

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