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FOLLIA: libertà o prigione, genio o stupidità Teramo - prima edizione "Festival della Follia" - 11/14 Settembre 2015. -di Margherita Lamesta

Un immediato parallelismo tra follia, gioia e libertà ci presenta Violetta Valéry nell'aria Sempre libera degg'io folleggiare di gioia in gioia...

E Teramo lo ha dimostrato con il suo primo Festival dedicato alla follia, grazie all'intuito del suo ideatore: il giornalista/scrittore Marcello Veneziani.
Da città fantasma - come l'ha definita Vittorio Sgarbi – il capoluogo di provincia abruzzese ha conquistato così la sua ribalta, grazie a eventi e convegni di cui si è composto il festival, che hanno spaziato fra scienza, cultura, cinema, arte e letteratura.
Sede storica di uno dei manicomi più grandi del centro-sud d'Italia e d'Europa, attivo fra il 1323 e il 1998, Teramo ha rovesciato la sua posizione di luogo sinistro, trasformando un handicap in una dote da rivelare.
In effetti, offrire un punto di vista unicamente positivo o negativo nei confronti degli effetti prodotti dai sanatori risulterebbe riduttivo. Al loro interno erano ospitati non solo malati di mente ma anche persone scomode che solo se rinchiuse potevano essere tenute a freno e controllate. È vero! Tuttavia l'esplosione degli ospedali psichiatrici nel ventesimo secolo fu vista inizialmente come un progresso - ha ricordato Veneziani.
La Casa della Divina Provvidenza di Don Uva, a Bisceglie, nata nel 1935 e chiusa a seguito degli effetti della legge Basaglia del '78, nelle intenzioni del suo fondatore avrebbe dovuto evolversi in un villaggio manicomiale a tutela dei malati. In realtà, tanti infelici con la chiusura degli ospedali psichiatrici si sono trovati di fronte all'inquietante alternativa della strada, agli antipodi di un processo ideale d'integrazione. La ridefinizione in termini antipsichiatrici dei disagi mentali, che la filosofia degli anni '70 portava con sé, si riferì di fatto a un principio ideale che mal si confrontava con la realtà e contribuì nel concreto a una recrudescenza della loro emarginazione.
Tutti d'accordo, comunque, gli ospiti, nel considerare la follia una risorsa, ma tutti preoccupati di distinguere l'estro artistico individuale da stravaganze pericolose, se collettive e fuori contesto. Il folle è un solitario – sostiene Veneziani. E se diventa un fatto storico per effetto di una pericolosa condivisione, produce mostri.
A ben guardare, la letteratura con il Romanticismo ha individuato storicamente in modo preciso la sua liberazione dalla ratio, per contrastare la prigionia illuministica ai danni della creatività. Eppure, la ragione non è in antitesi con l'irrazionale ma in quest'ultimo contenuta, è una sorta di misura inscritta nello smisurato – prosegue il noto giornalista.
In fondo, l'uomo ha bisogno di regole per vivere ed è per questo che teme lo sconfinato e la libertà di pensiero. Già gli antichi Greci si preoccuparono d'incanalare la follia - a metà strada tra invasamento e divinazione - in un processo di catarsi collettiva attraverso le rappresentazioni teatrali – il teatro purtroppo non era fra i moduli di questa prima edizione - e in varie epoche storiche si è fatta la stessa cosa.
La follia scompone i nessi con la realtà ed è per questo simile al sogno e all'estro creativo. La sua scomposizione del reale costruisce qualcosa al contrario ed è dunque simile alla definizione di umorismo lasciata da Pirandello. Pure il sogno scompone la realtà a favore di dimensioni che sprigionano la libertà della mente. Allora sogno e pazzia sono sinonimi e non hanno nulla a che fare con il sonno della mente, il cui effetto è dato piuttosto dall'imbecillità – ha dedotto Veneziani.
Semel in anno licet insanire: il recupero una tantum di quel granello di follia, che espressioni come il carnevale ammettono, è necessario e difende quella parte di follia presente in ognuno di noi ma il binomio follia=genialità non è automatico, come spesso si pensa. E se la follia trascende i confini dell'arte, impadronendosi della realtà, si accompagna facilmente alla stupidità piuttosto che all'affascinante genialità.
Il sonno della ragione genera mostri di Goya, infatti, sintetizza in un attimo quanto affermato dallo scrittore pugliese e sostenuto dal critico Sgarbi, proprio nella misura in cui la follia non è da intendersi come il risultato del sonno della ragione ma come una sua più ampia espressione. Il suo letargo invece nega l'espressione e produce mostri.
Il noto critico, nonostante la zavorra del suo personaggio, ci ha dato un'acuta definizione di persona folle, che proprio attraverso il divenire personaggio riesce a trovare la sua libertà dal disagio mentale. Il folle è colui che cambia strada ma anche la devianza e il divertimento dicono semanticamente la stessa cosa – ha continuato Sgarbi - e mentre tutti temono le devianze, tutti cercano il divertimento.
Ghizzardi e i suoi desideri mancati, Ligabue e la sua arte pittorica genuina come la natura, fino alle figure mostruose di Basquiat, passando per l'epistolario di Von Kleist, in una carrellata di esempi di genialità artistica ma anche di grave disagio psichico, hanno preso forma nell'eloquio raffinato del critico d'arte, per farci entrare nell'affascinante mondo dell'arte figurativa e letteraria. L'arte, grazie alla sua originale ridefinizione dei nessi con la realtà, ci ha lasciato esempi di artisti con disagi psichici che hanno fatto la storia dell'arte – Van Gogh – ma anche di artisti che, pur essendo persone sanissime, hanno saputo rappresentare la follia e il sogno nelle loro opere con risultati altrettanto talentuosi – Mirò.
L'inizio di ogni secolo – la prima decade - definisce la matrice sia artistica sia storica di tutti i cento anni, secondo Sgarbi. E l'analisi di un secolo che si apre con l'attentato alle Torri Gemelle (2001), per arrivare a una guerra di religione all'interno dello stesso credo, ci porta a dedurre che siamo in tempi in cui il sonno della ragione è diventato imperante. Goya docet.
È la stessa posizione ravvisata nel regista Pupi Avati - protagonista di un incontro pubblico per la sezione festivaliera dedicata al cinema - secondo un'analisi del suo film Il papà di Giovanna (2008), in cui una ragazza con gravi disagi psichici si rivela un'assassina, perché forzata, sia pur per amore, verso una realtà che non le appartiene.
Il matto è perennemente creativo, dilata la realtà, così come fa il cinema ma si tratta di situazioni parallele al reale da non confondere con la realtà, perché quando s'incontrano gli effetti sono titanici, appunto.
E per effetto diretto di quel concetto di ribaltamento di cui si è detto ampiamente, in occasione del festival, un luogo di prigione si è finalmente trasformato in location artistica. Il Sant'Antonio Abate, infatti, ha ospitato un'interessante mostra d'arte contemporanea curata da Giuliana Benassi, dal titolo Qui solo pochi, forse neppure i veri.
I sogni aiutano a vivere e la follia può essere un'indispensabile matrice di creatività, però è importante non confondere gli uni e l'altra con la vita vera ma servirsene per viverla meglio. E se la ragione è nel mezzo tra follia e stupidità e in medio stat virtus, la ratio non è da demonizzare. Eppure il centro è anche il regno della mediocrità ed è difficile assurgere alle glorie della creatività senza subire i disagi della follia; perciò il dilemma resta e la questione rimane aperta.

Ultima modifica il Mercoledì, 07 Ottobre 2015 10:04

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