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Festival d'Avignon 2015 - Teatro Off 50ª Edizione.- di Gigi Giacobbe

Alessandra Amerio, Martina Raccanelli in "Barbe-Bleue", regia Roberta Spaventa Alessandra Amerio, Martina Raccanelli in "Barbe-Bleue", regia Roberta Spaventa

Mentre il Teatro In giunto alla sua 69ª Edizione registra un calo di rappresentazioni, in tutto una cinquantina di spettacoli dal 4 al 25 luglio, il Teatro Off che quest'anno ha tagliato il traguardo di mezzo secolo di vita, evidenzia numeri da capogiro con 1336 spettacoli in cartellone, 1071 compagnie in scena provenienti da 26 paesi. Evidentemente l'ambiente straordinario del Festival che si anima dalle 9 del mattino sino alle 23,45 della sera, anche con spettacoli di strada spontanei, fanno di Avignone un'artistica città vetrina, in grado d'attirare migliaia di spettatori provenienti da ogni dove della Francia ma anche da molte città europee. Si ha davvero l'imbarazzo a scegliere chi e quali spettacoli vedere, facendo combaciare orari e appuntamenti con quelli del programma ufficiale. Tuttavia sono questi quelli che siamo riusciti a vedere: Misa-Lisin del Langasan Theatre di Taiwan in lingua ahmi, era una sorta di rituale, una cerimonia sacrificale, nello spazio della Condition de Soies, durante il quale si richiamava alla memoria un mito drammatico e misterioso: quello d'un parricidio al suono di salmodie e canti ancestrali, ad opera d'un gruppo di danzatori-attori, anche aborigeni, che si rotolavano nel fango come in alcuni spettacoli di Rodrigo Garcia. Al Théâtre des Corps Saints quattro uomini s'incontrano nella sala dei passi perduti della Gare de Lyon di Parigi (Xavier Guittet, Jean-Marie Lallement, Jean Maricot, Olivier Salon), alla ricerca d'un ragazzo scomparso che si chiama Gaspard Winckler. Un modo per raccontare la biografia d'uno dei più grandi scrittori dell'OuLiPo (assieme a Raymond Queneau) che di nome fa Georges Perec, autore d'una sua biografia titolata W ou le souvenir d'enfance, messa in scena con molta ironia da Marie Guyonnet. Un libro funambolico di 37 capitoli in cui si ha l'impressione di leggere contemporaneamente due romanzi: il primo tempestato d'avventure con la fantasia d'un ragazzo, l'altro autobiografico, ricco di ricordi, brani sparsi, assenze, oblii, dubbi, ipotesi, aneddoti. Nello storico spazio del Théâtre du chien qui fume la magnetica Deborah Lamy, con la regia di Sarkis Tcheumlekdjian, ha raccontato con un'infinità di variazioni vocali L'homme qui tua Don Quichotte, un modo per attrarre gli estimatori di Cervantes e farli entrare in sala, perché se c'è qualcuno che ha ucciso il Don Chisciotte è proprio il suo autore e nessun altro. Da canto suo Thomas Marceul ha cercato di dare vita ad un Hamlet sottotitolo la fin d'une enfance, giocando nella sua stanza con pupazzi, marionette, soldatini e macchinine, mentre la voce della madre (che non compariva mai) lo chiamava per farlo andare a tavola e di non sprecare il suo tempo in giochetti da bambino...forse solo temendo questo bamboccione che comparisse all'improvviso il buon William Shakespeare per dargli tante botte sul popò. Grazioso, divertente, infantile, Un gros gras grand Gargantua, anche per l'idea registica di Isabelle Starkier al Théâtre de Barriques, con un solo personaggio in scena, quello di Pierre-Yves Le Louarn, che se ne stava seduto avvolto da un grosso pancione rosso, con accanto un paccone di corn-flakes, di bevande che succhiava a più riprese, di telefonini e tablet, cui bastava solo affondare la testa in quell'impalcatura per uscirne trasformato in Pantagruel forse, aiutato a volte dal servo muto Fabiana Medina, per come in un'ora ha dato l'idea della bellissima storia di Rabelais rivista da Pascal Hillion, infarcita di bulimia e sensi colpi per non riuscire a dimagrire. Infine uno spettacolo italiano al Théâtre Isle 80, recitato in francese e buona la messinscena di Roberta Spaventa per conto del Teatro Peso Specifico di Modena che ha proposto una singolare visione della fiaba perraultiana Barbe-Bleue, in cui il personaggio del titolo, Santo Marino, più che un prestigiatore fallito somigliava ad un qualunque vampiro della Transilvania che si fa beffa nel suo cammino delle due fanciulle, Alessandra Amerio, Martina Raccanelli, che rimangano tuttavia affascinate dal personaggio, verso il quale provano nel contempo attrazione e repulsione, giochicchiando con una chiave magica, sostanziandosi a volte sulla scena il cadavere d'una terza donna fatta fuori da quell'orco, Cristina Carbone, e che avrà come epilogo l'uccisione di quella figura che nella storia è stato accostato al re inglese Enrico VIII, per aver cambiato nella propria vita sei mogli, alcune facendole condannare a morte, al re Shāhrīyār delle Mille e una notte cui Shéhérazade, per salvarsi la vita non terminerà mai il racconto iniziato la notte precedente o a quel Landru realmente esistito in Francia, un Barbablù criminale e assassino seriale, che morì decapitato alla ghigliottina.

Ultima modifica il Martedì, 28 Luglio 2015 23:10

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