La follia... il destriero della creatività
Il tarlo della follia è strettamente connesso con lo sdoppiamento e con il gioco teatrale, dove il Sé e l'Altro s'incontrano e si scontrano. L'arte scenica è data dal conflitto, infatti!
Giocando come un bambino al "se fossi" e al "come se", l'attore mette in campo il proprio IO per incontrare e creare l'IO del personaggio, scavando insieme nelle verità più recondite e inconfessabili dell'animo umano.
La rassegna Il mistero della mente – Festival di Teatro Sociale, appena conclusa al Teatro Quirinetta di Roma, un'operazione che ha coinvolto la Q Academy e in particolare il Teatro Patologico di Dario D'Ambrosi, ha messo in scena proprio le diversità esistenziali nelle sue più varie sfumature, allo scopo di raffinare tanto l'esperienza attoriale quanto quella dei fruitori nella wagneriana sala buia.
Fra i sette spettacoli andati in scena, Aminta del Tasso e La Sonata a Kreutzer di Tolstoj sono stati due esempi calzanti di come la drammaturgia classica risulti sempre attuale e universale, in virtù di una duttilità intrinseca che permette alla propria materia di offrirsi ai più moderni lavori di rielaborazione, senza tradire, però, la propria matrice più profonda.
Non sempre queste operazioni sono degne di nota, infatti, rivelandosi il più delle volte degli azzardi, che sarebbe meglio chiamare studi e non spettacoli: o il modo più semplice per conquistare una scena a poco prezzo, oppure operazioni di marketing simili a specchietti per le allodole.
Il dramma pastorale di Tasso, pubblicato nel 1580 - a un anno dall'internamento in sanatorio dello scrittore per la sua tormentata relazione con Eleonora D'Este, sorella del Duca di Ferrara - si presta facilmente a una rilettura nell'ottica del disagio mentale. Angosciato fino alla follia per l'incompresa Gerusalemme Liberata, Tasso trasmise nelle sue opere una sensibilità troppo moderna per i suoi contemporanei. E porre lo stesso autore al centro della rappresentazione, dentro un ospedale psichiatrico in cui i personaggi del testo sono gli stessi compagni di sventura, va proprio ad abbattere quel muro schizofrenico fra realtà scenica e vita reale.
Nella pazzia, infatti, il limite è annullato a vantaggio di verità inconfessabili e pericolose, se traslate nella realtà, perché in stridente contrasto con il vivere civile e convenzionale; e l'allestimento di Sergio Basile è riuscito a cavalcare quest'onda, calando il testo dentro una modernità davvero tangibile, con ausili di musiche assordanti e robotizzanti e con cambi di scena a ritmi dissociati, tipici proprio dei manicomi e dei malati di mente.
La stessa lucida follia anima La sonata a Kreutzer di Tolstoj, messa in scena da Alvaro Piccardi, aprendo a tematiche sempre più attuali e urgenti da affrontare: l'uxoricidio. Quel che è parte della pazzia del personaggio è proprio la calma agghiacciante con cui proietta i tumulti più pericolosi della sua anima, che l'attore-regista porge con un semplice - ma elegante - dialogo con il pubblico, una sorta di nastro lineare su cui dipinge gli affreschi della vita coniugale del protagonista.
Odio, violenza, delirio fino all'assassinio per un adulterio solo presunto (?) fanno da background a un maschilismo dichiarato ma neppure punito dalla legge: "guardai il viso di lei, livido e gonfio, e per la prima volta vidi in lei una creatura umana". Piccardi non indugia nel dramma ma il suo minimalismo rischia di far sbiadire anche l'atrocità segnica del testo. Il gioco di sedie spostate nei passaggi fra i vari quadri, infatti, non è sempre funzionale e a volte distrae dalla bellezza delle parole. Neanche Piccardi tradisce la matrice dell'autore ma la sua messa in scena risulta nel complesso meno efficace, a scapito di una seduzione totale del suo pubblico, nonostante l'accurato lavoro sul testo, il ricercato accompagnamento musicale e le raffinate premesse.