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Stockholm: The 24th International Film Festival - Miele

Miele, regia Valeria Golino Miele, regia Valeria Golino Jasmine Trinca e Carlo Cecchi con Valeria Golino

Miele, film italiano,
regia di Valeria Golino,
da vedere e discutere

E' la prima volta che ci affacciamo a questo Stoccolma Festival Film, che vanta ben 24 anni e snobbato dalla stampa italiana, poiché si sottrae al lustro del cerimoniale mondano.

L'interesse nostro era motivato, perché da tempo Sipario tende ad allargare il raggio di osservazione, soprattutto nell'ambito dei Festival, siano essi di cinema, di prosa o di danza, sapendo che i Festival nel mondo sono le giuste vetrine per una immediata ricognizione dei temi e delle tendenze delle società.
Il Festival di Stoccolma vanta un programma di vasto raggio, (ben 200 film, molti dei quali dedicati alla donna, proiettati dal mattino alla sera), e si articola in numerose sale dislocate in questa bella città, linda, accogliente, suggestiva, dominata negli arredi dal legno degli alberi. A proposito: come non menzionare il viaggio dall'aereoporto Skavsta fino al centro città, su un pullman la cui andatura è veramente turistica, (e guai se l'autista avesse il piede sull'acceleratore facile agli sbalzi d'umore); e lo sguardo si adagia su intere isole, meglio dire foreste, di abeti lussureggianti di verde, di gelsi argentati, che si bisticciano tanto sono abbracciati tra loro,  in cerca di spazio, di luce;  e dritti come fusi torniti cercano il cielo; lunghi alberi che si affacciano su prati estesi, vere tavole d'erba da ruminare, su cui il bestiame pascola e festeggia il suo appetito.
Un viaggio di immagini di natura, quasi un film per gli occhi, che fa onore alla cultura, alla società della Svezia. Toltoci questo sfizio di cronisti deboli, sensibili al fascino della natura, torniamo al Festival.
Il primo tuffo lo facciamo, al cinema Sture, incuriositi dal film italiano, prodotto niente popodimeno dall'attore Scamarcio per Rai Cinema in cooperazione con una società francese, Les Films des Tournelles, Cité Films, e con la regia niente popodimeno dall'attrice Valeria Golino, che stavolta ha preferito stare dalla parte della cinepresa. Prima di passare al contenuto del film dal titolo emblematico Miele, liberamente tratto dal romanzo A nome tuo di Mauro Covacich, e non dal poema Miele, scritto da Tonino Guerra,  cadendo in un inganno di presunzione di noi stessi.
Ai due artisti, Scamarcio e Golino, va il merito di aver investito tempo e soldi su un progetto di film dall'alto valore etico, su un tema di grande attualità, quello dell'eutanasia assistita. Tema impegnativo, che nella gente non suscita la voglia di viverlo tanto angoscia, ma che è giusto affrontare, discutere.
L'annullamento della vita è tema sfidante verso una cultura di vita forzata, quando la volontà del malato di uscire di scena non viene ascoltata né per motivi di legge, né per motivi religiosi.
Il film Miele, che già suggeriamo di vedere, anche se procede per scene molto sincopate, narra della giovane Irene, (l'attrice Jasmine Trinca, brava, bella di faccia e intensa negli occhi), studentessa di medicina, che, d'intesa con un giovane medico operante in un ospedale, si dedica, dietro compenso, di porre fine a malati terminali, giovani o vecchi che siano; che, col consenso  del malato stesso e dei famigliari, accompagna nel viaggio senza ritorno, grazie a un medicinale per cani, un antibiotico che non lascia traccia alcuna di fronte ad eventuali autopsie che lei, Irene,  acquista saltando dall'Italia al Messico, in  farmacie in cui si vendono prodotti per veterinari.
Il rito della soppressione del malato (scene che straziano il cuore) viene ripetuto con un certo ritmo tante sono le richieste,  alternato col rito della vita (scene che esaltano il corpo di lei con nuotate, corse in bicicletta, ginnastica a non finire, amplessi d'amore in ogni dove, in macchina, in roulotte, a letto, in cucina ecc,) a dimostrazione di quanto lei ami la vita, avendo avuto genitori che della vita hanno fatto un loro canto.
Ma questo andazzo della morte assistita s'inceppa quando tra i clienti Irene incontra un anziano ingegnere di nome Carlo Grimaldi, (interpretato magistralmente  dall'attore di teatro prestato al cinema Carlo Cecchi) che pur volendo morire non per malattia ma per rifiuto di una esistenza ingannatoria offerta dalla società di oggi, mette in crisi la giovane studentessa, la quale, avendo già iniziata la procedura della eutanasia assistita, secondo precise modalità, viene a sapere per caso che l'ingegnere non è un malato terminale. Nasce in lei una furiosa reazione per sottrarsi all'impegno, cercando di convincere l'interessato a non continuare il rito; e dopo una serie di incontri cercati con forza, tra l'anziano e la giovane nasce un affettuoso rapporto che si conclude con un gesto di liberazione da parte dell'ingegner Carlo che, restituendo il mortale medicinale alla ragazza, preferisce uscire di scena in maniera autonoma con un suicidio.
Film intenso, struggente, senza intervallo, si snoda per circa novanta minuti, seguito con apprensione da un non folto pubblico di giovani che, silenziosi, ammutoliti, abbandonano la sala per uscire nella notte, fredda e silenziosa, di una Stoccolma luccicante di vetrine, in cerca della vita.

Mario Mattia Giorgetti

Ultima modifica il Giovedì, 14 Novembre 2013 21:42

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