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Festival Internazionale di Cinema, La Biennale di Venezia 70: PALO ALTO di Andrea Pizzalis

Palo Alto di Gia Coppola Palo Alto di Gia Coppola

Venezia 70
di Gia Coppola
con Emma Roberts, Jack Kilmer, James Franco, Val Kilmer, Keegan Allen, Nat Wolff, Zoe Levin, Colleen Camp
(Usa, 98')

Non c'è molto da dire su Palo Alto, la piccola e ricca cittadina del versante settentrionale della Silicon Valley.
Una sequoia centenaria quel "palo alto" e una discreta fama di genitorialità di social networks quali Facebook e Linkedin, fabbrica ghiotta di una socialità sintetica.
Non è forse un caso che proprio a partire da un luogo come questo si sia deciso di analizzare la fauna alla deriva di rapporti di plastica, condivisibili, "likeabili", interscambiabili con un click, come quelli raccontati da Gia Coppola, nipote del celeberrimo Francis Ford Coppola, alle prese con la sua opera prima, in concorso alla 70^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia, tratta dalla raccolta di racconti di James Franco "Palo Alto: stories".
Sono gemme grezze di un'adolescenza opaca, quelle storie che non hanno storie da raccontare, di ragazzi che non riescono a tratteggiare le trame della propria identità, che non sanno abbozzarne le strutture elementari.
Intorno a loro ronzano adulti, che hanno abdicato a guidare generazioni, che si sono ritratti a passo di gambero in deprimenti nostalgie, incastrati in stati di infanzia prolungata senza illusioni, che ne perpetrano il modello e ne celebrano l'aridità.
Non si crea nulla a Palo Alto, tutt'al più ci si lascia vivere tra uno spinello e una sbronza, tra il chiasso di un festa e anonime amicizie.
L'importante è confondersi, sparire, aderire ai muri come una carta da parati, farsi più piccoli possibili, ad ogni età: nebulizzarsi alla stregua di quei primi piani che la Coppola ci consegna in una costante fumosità dei contorni, lasciandoci ricordi di volti indefiniti, a metà strada, irrisolti.
Teddy (Jack Kilmer) e Fred (Nat Wolff), amici sì, ma di quelli che anneghi in una pozza di Negroni, di quelli che infami al primo profilattico scartato e lanciato, di quelli che "va bene tutto purché sia a cazzeggio". E poi Emily (Zoe Levin) ed April (Emma Roberts) invaghita del suo professore (James Franco), unico adulto che conosca un codice di comunicazione che sappia affacciarsi sulle lande desolate di questa noia, inetto come gli altri over teen ad occupare il proprio ruolo, adulto che desidera farsi anacronistico amico, che desidera rispolverare una complicità dimenticata e che finisce a riconoscersi amante inadatto.
Differenti per natura questi ragazzi ciclostilati nella forma, cartacarbone d' individualità raschiate via a forza.
Non resta che formarsi da sé, attraverso un uso approssimativo di ogni esperienza, arrabattando quel che si può da quel poco che si riesce a prendere di quel niente che si tenta di dare, scoprendo, con fatica, quelle parole cardinali che i padri e le madri svendono con la leggerezza di una curiosità meteorologica: "dimmi che mi ami" è il suono di un'innocenza che non si accorda col silenzio di una società che si astiene dal rispondere perché non si cura più di domandare.
Nascosti tra gli armadietti, seduti a chiacchierare sulle giostre, appassionati a scarabocchiare libri per bambini, questi piccoli vecchi adolescenti lacrimano via l'urlo trattenuto di una guida che sia compagna di un'insostituibile giovinezza.

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Settembre 2013 17:13

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