prima italiana
testo, regia, scene Jan Lauwers
con Needcompany: Grace Ellen Barkey, Anneke Bonnema, Hans Petter Dahl, Julien Faure, Yumiko Funaya, Benoît Gob, Sung-Im Her, Romy Louise Lauwers, Maarten Seghers, Emmanuel Schwartz, Catherine Travelletti, Jan Lauwers, Elke Janssens
drammaturgia e sottotitoli Elke Janssens
introduzione Erwin Jans
musica Hans Petter Dahl (inverno), Maarten Seghers (autunno), Rombout Willems (primavera, estate)
suono Ditten Lerooij, luci Ken Hioco, costumi Lot Lemm, burattini Paul Contryn (de Maan), assistente alla coreografia Misha Downey
produzione Needcompany
in coproduzione con Ruhrtriennale (Bochum), Burgtheater (Vienna), Holland Festival (Amsterdam). con il supporto delle Istituzioni Fiamminghe
Biennale Teatro, Venezia 2013 - 6 agosto
76 giorni per sterilizzare le infezioni di una piccola comunità di individui. 76 giorni per sbiancarne le colpe, perché torni la primavera, per veder fiorire, nuovamente, un germe di vita tra le paludi salmastre di un evento sconvolgente.
Un'epopea dell'ordine o, per meglio dire, del tentativo di ripristinarlo, quella raccontata da Jan Lauwers, onnipresente regista, nei panni di primo narratore in scena, e dalla sua Needcompany, sorta di carovana circense, in caduta libera tra piccole storie di ordinaria follia.
Un'esplosione nella piazza del mercato dilania la mesta routine di una cittadina di montagna e diviene frattura nella carne del corpo politico, portale da cui far sgorgare un male sopito, un diapason per l'orchestrazione di malsane atrocità.
Si alternano rituali espiatori e memoriali funebri, danze frenetiche, sghembe canzoni e racconti dall'oltretomba che ricordano le voci medianiche di Spoon River a braccetto con le fosche tinte dell'intolleranza gretta del Dogville di Lars Von Trier, tutto convogliato nel generale sforzo di arginare la corrente inferocita dell'uomo riconsegnato al caos della sua animalità castrata.
Si traduce nella decisione scenica di un'agorà destituita da luogo d'incontro e riallestita a mash-up di linguaggi espressivi, che spaziano da trovate più cinematografiche a soluzioni tradizionalmente teatrali; tra tragicommedia e grotesque, tra musical e video art, tra ostentate kitscherie anni 80 e sottile poesia; Jan Lauwers non si schiera in un giudizio di parte, ma dispone l'intero suo plotone di eccelsi artisti tout court, non solo attori, non solo ballerini, non solo performer, servendosi della loro complessità per organizzarne l'altrettanto complessa struttura drammaturgica e concettuale, che si accavalla, si somma, a volte costringendoci a selezionare una singola porzione su cui posare l'attenzione, si fagocita ed esplode, donandoci schegge di un'umanità condannata a respirare un'impossibile convivenza.
Andrea Pizzalis