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New York: 104 Produzioni all'Under the Radar '12 di Walter Valeri

Under the Radar Under the Radar

Under The Radar '12 è un festival teatrale internazionale che da sette anni si svolge a New York all'inizio di gennaio. I palcoscenici coinvolti nella manifestazione sono quelli del Public Theater, La MaMa, la Japan Society e Here. Per due settimane per settantacinque dollari è possibile vedere cinque spettacoli. Se proprio i soldi non ci sono alcune sere si paga quello che che si può. Pochissimi i furbi. La selezione di quest'anno ha dovuto fare i conti con le modeste possibilità economiche, i vincoli delle produzioni residenti e la visione di Mark Russel, l'autorevole e pur bravo direttore artistico. Da questo punto di vista l'Oceano si è fatto piccolo. La stessa temperie unisce l'Est-side di Manhattan con i palcoscenici di tutto il mondo. Scene e creazioni temono e tremano per il loro futuro. Ma qui gli spettacoli almeno vengono generosamente recensiti dal New York Times. E poi c'è l'incoraggiamento di un pubblico autentico non snob, assieme al desiderio di capire, fra sconcerto e ansia di novità. In pochi anni Under The Radar ha portato a New York ben 104 produzioni provenienti da 17 paesi. Un record notevole. Il problema della lingua è stato risolto (in parte) con un sistema di sottotitoli proiettati direttamente in scena. Aprendo orizzonti di comprensibilità per il pubblico e varianti drammaturgiche significative. Molti registi e scenografi hanno integrato questo elemento modificando in modo sensibile l'intera rappresentazione, costringendo a volte il pubblico a degli spiazzamenti non sempre agevoli.

Word Becomes Flesh

Fra le produzioni più seguite di quest'anno Word Becomes Flesh (USA) di Marc Bamuthi Joseph, una serie di lettere scritte e recitate da un figlio non nato. Da questo punto di vista niente di nuovo. La novità sta tutta nel fatto che si tratta di un giovane nero-americano che si scontra con il tema della paternità. Dove il mito del corpo e della fisicità passa, con poche e misere varianti, dalla sgregazione e detenzione nei campi di cotone a quello del mondo dell'atletica pesantemente commercializzato. L'autore ripropone un monologo, scritto e messo in scena con successo nel 2003, ampliandolo per l'ultima generazione di giovani devastati dai videogiochi e orribile muscolite ollivudiana. Aggiungendovi nuovi contenuti e parole, musiche ed elementi coreografici ispirati alla hip-hop dance, conseguendo risultati di grande impatto e commozione.

The bee

Altro spettacolo che ha convinto The bee, diretto da Hideki Noda e Colin Teevan del Tokyo Metropolitan Theater/Soho Theater (Giappone) tratto da un racconto di Yasutaka Tsutsui. Un'esilarante parodia di un uomo d'affari giapponese che perde le staffe e la proverbiale imperturbabilità quando scopre che sua moglie, la parte più cara e intima delle sue proprietà, è stata sequestrata. Una commedia clownesca e satirica recitata secondo l'icastico schema del fumetto. Descrive il mondo dell'alta finanza, il sadismo e falso permissivismo di nuovo stampo maschilista che si nasconde tra le pieghe del moderno libero mercato in Giappone. Un fenomeno che tocca ovviamente anche l'occidente, l'arroganza di Wall Street, la sua enorme area di influenza. Lo si capisce dagli esiti sul pubblico che riconosce immediatamente la transnazionalità del personaggio, grazie anche ad una comicità piena, stilisticamente coerente e ben realizzata.

Sempre secondo un registro ironico, ma di più sottile e malinconico effetto, va ricordato lo spettacolo Il passato è un animale grottesco di Mariano Pensotti (Argentina). Storia polifonica di quattro personaggi che, a partire da alcune fotografie sgualcite, su di una scena perennemente rotante ripercorrono gli eventi di un intero decennio della società argentina ( 1999-2009) non del tutto liberata dalla ferocia disumana di una dittatura militare che l'ha segnato profondamente. Uno spettacolo corale di personaggi toccanti che fanno pena, irrisolti e dolorosamente presi fra gli inganaggi di una realtà che li ottunde e alimentata servendosi di una miscela di neo-realismo e onirismo immedicabile.

Chimera

Interessante per la novità del tema trattato Chimera di Suli Holum & Deborah Stein (USA). La protagonista è una donna e il suo doppio. Dramma autentico di una coscienza incerta e infelice che vorrebbe realizzarsi in un corpo diverso dal suo e l'ingerenza subdola di una scienza medica che specula per impossessarsi di quel che ha già la sua perfetta fioritura nell'irreale. Un viaggio teatralizzato fra la bio-scienza moderna, le sue colpevoli propsettive, e le antiche mitologie della metamorfosi. Camille O'Sullivan:Feel (Irlanda) s'impone per quella ventata di allegria che porta con sè. Un' interpretazione mirabolante che la stessa Camille O' Sullivan realizza servendosi delle belle di Brel, Cave, Waits, Bowie e altri. Feel è una camaleontica e ipnotica cavalcata in grado di restituire al festival, a volte un pó troppo serioso, quella gioia e virtuosismo d'attore o d'attrice di cui non si devono perdere le tracce. Camille fa teatro-cabaret con grazia indelebile resuscitando il personaggio e i gesti immaginari che contiene per la fantasia dei presenti, per la sua nobile presenza nella vita di tutti i giorni. "Aspettatevi il fuoco, il ghiaccio, le tenebre, la gioia e pura passione" avvertono come moderni saltimbanchi le poche righe del programma che invitano alla rappresentazione, davvero straordinaria.

Alexis. A Greek Tragedy

Ma la parte del leone, se così si può dire, spetta all'Italia con I Motus, una compagnia diretta da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, fondata a Rimini, nel 1991. Sono stati invitati a presentare due creazioni: Alexis. A Greek Tragedy e The plot is the Revolution, con in scena Judith Malina. Bella e importante soprattutto Alexis. Uno spettacolo unico nel suo genere. Mutimediale e perfettamente omogeneo che partendo dalla trama dell'Antigone di Sofocle, durante un sopraluogo filmato nella e della Grecia di oggi (dalla metaforica ricerca e incontro con il capro) rimane rigorosamente aggrappato alla trama e alle ragioni dell'antico mito. Oltre al testo di Sofocle i due autori-registi hanno assimilato perfettamente e criticato, alla luce di una ragione contemporanea, la riscrittura e le intenzioni brechtiane, depurandole di ogni eccesso di straniamento. Ne è nata una critica feroce al poetere economico, messo in scena come un Creonte imprendibile, dalle mille teste, diluito nella micro-fisica del potere dominante e dei media di cui si serve. Non è difficile ricondurlo allo scenario europeo, oltre che italiano. Per cui è sempre più difficile trovare un punto di osservazione antagonista al Potere. Distinguere chiaramente fra vittime e carnefici, come già avvertiva Michel Foucault alla fine del secolo scorso. La storia di Antigone viene sostituita dall'impossibilità stessa di raccontare la storia. La tragedia della morte del giovane Alexis rinasce e si scontra con la tragica assenza di uno spattatore-ascoltatore innocente. In qualche modo, per vie ignobili e perverse, Creonte si è trasferito fra le sedie del pubblico. Non esistono vittime innocenti avvertiva crudelmente Franco Fortini, con tutto il dolore critico necessario. Alexis è una tragedia greca che prima di tutto parla dei presenti, oltre che ai presenti. Vi è anche una sincera coscienza e conoscenza dell'esperienza cinematografica di Pier Paolo Pasolini trasferita in scena, specie alludendo qua e là ad alcune scene e contenuti di Porcile. Senza però l'arroganza della citazione troppo esibita e con una scrittura scenica povera, concisa, in gran parte affidata e temperata dalle qualità naturali degli attori. Specie alla maschera andrógina di Silvia Calderoli e all'immediato talento e versatilità di Valdimir Aleksic, Benno Steinegger e Alexandra Sarantopoulou. Ai Motus è andato anche il compito di aprire il simposio di due giorni in aperture del Festival. Un momento di riflessione e confronto organizzato dalla Association of Performing Arts Presenters (APAP) con più di 1.400 iscritti. E questo fa ben sperare per il futuro del teatro politico. Ma poi chi può dire? Certo è che i Motus hanno rappresentato l'Italia nel migliore dei modi. Nostro era quello spettacolo dolorosissimo e sublime. Senza falsa modestia, una volta tanto va detto: questi Motus sono teatranti italiani di gran talento.

Walter Valeri

Ultima modifica il Giovedì, 21 Marzo 2013 16:47
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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