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83° FESTIVAL DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO - "SIBERIA", regia Roberto Andò. -di Federica Fanizza

"Siberia", regia Roberto Andò. Foto Michele Monasta, Maggio Musicale Fiorentino "Siberia", regia Roberto Andò. Foto Michele Monasta, Maggio Musicale Fiorentino

SIBERIA
Dramma in tre atti di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano
Edizione: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
Seconda edizione. Nuovo allestimento
Maestro concertatore e direttore Gianandrea Noseda
Regia Roberto Andò
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Video Designer Luca Scarzella
Stephana Sonya Yoncheva
Vassili, ufficiale della Guardia, Giorgi Sturua
Gléby George Petean
Nikona Caterina Piva
Il principe Alexis Giorgio Misseri
Ivan Antonio Garés
Il banchiere Miskinsky Francesco Verna
Walinoff Emanuele Cordaro
Il capitano Francesco Samuele Venuti
Il sergente Joseph Dahdah
Il cosacco Alfonso Zambuto
Il Governatore Adolfo Corrado
L’invalido Davide Piva
l'ispettore Amin Ahangaran
La fanciulla Caterina Meldolesi
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro Lorenzo Fratini
83° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 13 luglio 2021

Un quadro dal titolo Una tappa di condannati in Siberia di Wladimir Schereschewski, fu esposto alla Esposizione internazionale d'arte a Venezia del 1897 nel padiglione russo, e aprì una finestra verso il panorama culturale dell'impero degli zar che in quel periodo si stava facendo conoscere nell'Europea occidentale. Attiva già da tempo, politicamente e commercialmente, la Russia di fine ottocento iniziava a farsi conoscere per la sua cultura anche in Italia. Sono del 1887 le prime traduzioni dei romanzi di Tolstoj; Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij viene pubblicato in traduzione nel 1889, come il teatro di Ivan Turgenev, che in quegli anni intratteneva corrispondenza con letterati fiorentini. Nel 1891 partono i lavori per la ferrovia Transiberiana che avranno una loro conclusione dopo 9800 chilometri, nel 1905. Il corrispondente del Corriere della Sera, Luigi Barzini, aggiorna i lettori italiani sullo stato di avanzamento della linea ferroviaria e su questo mondo lontano avvolto nel freddo. Non dobbiamo dimenticare la presenza in Italia dei fuoriusciti politici di opposizione agli zar, con Anna Kuliscioff, originaria della Crimea, attiva nel Partito socialista italiano, con Andrea Costa e Filippo Turati. Nel 1901 16 marzo si esibisce per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il basso Fedor Šaljapin che conquista il teatro con la sua voce profonda. E in questo clima di "russerie" non poteva rimanere estraneo il teatro musicale che tra'800 e '900 fungeva da veicolo formativo e di divulgazione culturale, di ciò che accadeva oltre i confini. Così è stato anche per Puccini quando incontrò il Giappone per Madama Butterfly. Nel 1898 l'opera Fedora (dal dramma di Victorien Sardou,1882) di Umberto Giordano è la prima storia che porta su un palcoscenico operistico personaggi russi. Tra l'altro sia Fedora che Siberia hanno un comune riferimento ai sistemi repressivi vigenti nella Russia zarista. Non era misconosciuta anche la produzione musicale russa se Giordano, nelle sue lettere di preparazione all'opera comunica di aver ricevuto la partitura dell’Ouverture 1812 di Čajkovskij (che sarà citata in Siberia), ed esprime l’intenzione di utilizzare un’orchestrina di balalaike, di impiegare scale modali, riferendosi alla Canzone dei battellieri del Volga, che diverrà una sorta di sfondo musicale che accompagna il II e III atto (dai Quaranta canti popolari russi pubblicati nel 1866 da Balakirev, che, dopo Siberia, è divenuto popolarissimo). Il quadro è così completo, con il libretto di Luigi Illica, che ci riporta la Russia delle deportazioni nei campi di lavoro forzato in quella remota terra, attingendo dalla Memorie di una casa dei morti di Dostoevskij, sull’esperienza del lavoro forzato, da poco in circolazione. Il testo fa trasparire elementi di denuncia sociale, ed evoca il mondo dei detenuti dei gulag mediante piccoli personaggi allusivi ad un mondo di libertà e di giustizia sociale. Ma alla fine Siberia è anche un romanzo popolare d'appendice che associa i compositori della Giovane Scuola (Giordano ne è ampiamente parte) ai drammi a sfondo popolare, se non plebeo, con protagoniste donne di "dubbia moralità", le cui vicende devono presentare un antagonismo a fondo sessuale: così è infatti il rapporto della vicenda tra Gléby, protettore e approfittatore, e Stephana, prostituta amante di un principe dal quale si fa mantenere, e Vassili, amante segreto, trame che devono necessariamente sfociare in una conclusione tragica, come "redenzione" della donna perduta, che muore tra le braccia dell'amore vero. Sono gli ingredienti che hanno dato successo alla composizione di Giordano al suo apparire; poi per una pretesa supponenza nel considerare il Verismo musicale, specchio di una cultura italiana di inizio '900 mediocre e provinciale rispetto agli eventi musicali europei, fu messa in disparte, salvo apparire sporadicamente in qualche registrazione tra gli anni '50 e '70 e finalmente in forma scenica nel 2003 a Martina Franca. Era annunciata al Teatro Regio di Torino nel 2018, progetto di Giancarlo Noseda, allora direttore artistico del Regio di Torino, ma le vicende infauste del teatro torinese rigettarono ancora in un angolo la possibilità di allestimento. Quindi, si tratta di una rivincita per Noseda chiamato a dirigerla qui a Firenze, come titolo di chiusura del Festival del Maggio 2021. E la lettura che ne ha dato ha evidenziato quanto la musica italiana proprio di quegli anni di inizio Novecento fosse pronta a confrontarsi con quanto circolava in ambito musicale europeo. Del resto Mahler stesso diresse a Vienna la sua Fedora, in Francia Gabriel Fauré si vanta di essergli amico. L'ascolto stesso induce a rilevare specie nel II atto, ambientato nel gulag, elementi di armonie di dissonanza specie nei momenti strettamente musicali, l'inserimento che fa da leitmotiv dei canti popolari, come di interventi corali, l'introduzione al I atto, assimilabili alla polifonia rituale ortodossa. Certamente la linea di canto è strutturata ad ampi melodie sia per i momenti solistici che per gli assiemi in un linea di continuità, senza che si possano definire arie o estrapolare singole parti, canto che si fa declamatorio nelle parti più strettamente drammatica del libretto. La direzione di Noseda ha evidenziato anche questa linea di taglio nell'interpretazione della musica, di ampio respiro, coadiuvato da un cast che aveva il suo punto di forza nella protagonista Stephana, interpretato dal soprano bulgaro Sonya Yoncheva, che, con naturalezza, ha saputo delineare il personaggio con voce morbida e rotonda, senza nessuna sforzatura nelle parti più drammatiche. Ha saputo essere sapientemente sfrontata nelle scene chiavi con Gléby. L'omogeneità qualitativa del cast ha favorito certamente la riuscita dell'operazione. Giorgi Sturua, Vassili, si presenta con voce piena e stentorea, certamente non limpida, ma musicalmente capace di rendere la desolazione della vicenda abilmente descritta nell'aria "Orride steppe! Torrida l'estate". Il baritono George Petean ci restituisce un Gléby perfido ma sempre in linea con il canto. I personaggi di contorno, Nikona con Caterina Piva, Ivan con Antonio Garés, il principe Alexis di Giorgio Misseri, come il banchiere Miskinsky di Francesco Verna con accanto Walinoff Emanuele Cordaro, sono stati degni artisti di contorno, come per i rimanenti ruoli affidati agli incisi degli allievi dell'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino (Il capitano Francesco Samuele Venuti, Il sergente Joseph Dahdah, Il cosacco Alfonso Zambuto, Il Governatore Adolfo Corrado, L’invalido Davide Piva, l'ispettore Amin Ahangaran, La fanciulla Caterina Meldolesi). Se musicalmente è stata ineccepibile, qualche discrepanza si è avuto nella regia. Negli intenti del regista Roberto Andò lo spettacolo doveva rappresentare l'idea di una troupe teatrale che sta girando una storia d’amore in un set cinematografico: una idea certamente non nuova, anzi vecchia che non ha portato alcun vantaggio alla comprensione della trama, anzi assolutamente insignificante e di disturbo. A ciò si aggiunge anche una trasposizione cronologia ai tempi dello stalinismo: se nulla mutava nell'uso del gulag ha suscita qualche ilarità la comparsa di un ritrattone di Stalin al momento della proclamazione della Pasqua liturgica come momento di festa. Sfasamenti cronologici che hanno comportato interventi anche in sede di libretto con cambiamenti di parole e nomenclature per adeguarsi alla nuovo contesto. Mentre le proiezioni curate dal video designer Luca Scarzella offrivano l'immediatezza della realtà documentaria riflessa dalla cinematografia russa d'avangardia che amplificavano lo struggente l'impianto scenico, scene e luci Gianni Carluccio, che al primo atto ricostruiva l'interno del palazzo di Stephana, per il II e III atto riproponeva lo squallore delle stazioni di smistamento ai gulag. I costumi di Nanà Cecchi hanno rimarcato il contesto della vicenda. Peccato per la scarsa presenza di pubblico che ha voluto connotare con un successo l’esito della proposta. Certamente al Maggio di quest'anno si avverte la mancanza del pubblico di turisti, come quella degli appassionati dalle zone limitrofe a Firenze difatti bloccati dalla programmazione solo serale.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Martedì, 20 Luglio 2021 05:22

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