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21ᵃ Edizione CAMPANIA TEATRO FESTIVAL - "Muratori", regia Peppe Miale. -di Gigi Giacobbe

Muratori
di Edoardo Erba
Regia di Peppe Miale
Interpreti: Angela De Matteo, Massimo Di Matteo, Francesco Procopio
Scene: Luigi Ferrigno. Costumi: Alessandro Gaudioso. Musiche: Floriano Bocchino
Produzione: Ente Teatro Cronaca VesuvioTeatro
21ᵃ Edizione Campania Teatro Festival
Cortile della Reggia di Capodimonte 10/11 luglio 2021

La differenza rispetto ad altre fortunate edizioni di Muratori di Edoardo Erba che ha debuttato a Roma una ventina d’anni fa, è che questa volta lo spettacolo, in stretto dialetto napoletano, è stato rappresentato, con l’ottima regia di Peppe Miale, nel Cortile della Reggia di Capodimonte per la 21ª edizione del Teatro Festival targato “Campania” e non “Napoli”. Il dialetto napoletano, per me è una lingua incomprensibile e mi sarebbero piaciuti i sottotitoli in italiano per potermi unire a quegli spettatori che più volte si sbellicavano dalle risate soprattutto nella prima parte dello spettacolo. Che come è noto vede in scena due muratori, qui il più esperto Fiore di Massimo De Matteo e il finto tonto Germano di Francesco Procopio, che di notte lavorano in modo abusivo prima che albeggi, per chiudere con un muro il palcoscenico di un teatro in disuso, il cui spazio è stato ceduto ad un supermercato limitrofo che deve ampliare il magazzino. I due parlano, prendono misure, utilizzano mattoni grigi (di polistirolo) e non i forati rossi, Fiore tira fuori da un carrello delle locandine storpiando i titoli delle opere, poi s’allontana con un bastone in mano per ammazzare qualche topo e Germano rimasto solo avverte dei rumori, qualcuno che avanza come un fantasma con le sembianze di una figura femminile triste e in lacrime che dice di chiamarsi Giulia (Angela De Matteo in ampi abiti eleganti). La donna sostiene, come in un sogno, che c’è una fanciulla che fugge, forse è lei stessa che scappa da un uomo che vuole ucciderla o convincerla a suicidarsi. La giovane è sconvolta, spaventata, cerca qualcuno che la protegga, trovando in Germano l’uomo giusto, pronto a difenderla, a calmarla nei modi più congeniali, al punto che gli esprime di stare bene con lui e che le piacerebbe fuggire in sua compagnia. Giulia scompare e giunge Fiore con una “zoccola” in mano ammazzata con quel bastone, trovando Germano assorto in mondi neuronali, innamorato cotto d’una immagine che non c’è più e alla quale non crede neppure Fiore, anche se ad un tratto con quel nome trova un dépliant che riporta il titolo de La signorina Giulia di Strindberg. I lavori continuano e il muro, in un momento in cui s’attenuano le luci, appare in tutta sua grandezza bell’e fatto con un rettangolino incompiuto che permette entrata e uscita. In un momento di euforia i due muratori ballano in stile rap e cantano una canzone di nome Giulia. Adesso è Germano ad allontanarsi e come per incanto riappare quella donna a Fiore chiedendogli dove sia andato il collega, imbrogliandole di non sapere nulla e proponendosi lui quale nuovo amateur, nonostante abbia moglie. Giulia, rifacendosi al plot strindberghiano, gli dice di sentirsi in prigione, che avrebbe dovuto uccidersi in un pagliaio e d’avere bisogno di un uomo, scomparendo subito dopo nel nulla. Giunge Germano e capisce le infamità del collega colpendolo con calci e pugni, mentre quel muro cadrà interamente all’indietro e spunteranno le immagini dei tre bravi protagonisti, artefici d’un enigmatico quanto sensuale incontro che li ha travolti e forse cambiati.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 14 Luglio 2021 04:27

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