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X Edizione CORTILE TEATRO FESTIVAL, MESSINA - "Alla furca", con Salvatore Tringali, regia Orazio Condorelli. -di Gigi Giacobbe

Alla furca
di Orazio Condorelli pure regista
Interpreti: Salvatore Tringali
Musiche alla chitarra elettrica di Flavio Riva
Disegno Luci Roberto Bonaventura
Produzione Fondazione Teatro Tina Di Lorenzo, Noto
X Edizione Cortile Teatro Festival – Messina
Cortile Palazzo Calapaj-D’Alcontres 5 luglio 2021

Ispirato a Il Pataffio di Luigi Malerba, buffo romanzo che si muove in un medioevo pieno di fame e di carestia con grassi e scontenti marconti e marcontesse e popolato da soldati arrugginiti e affamati e contadini ancora più affamati, Orazio Condorelli scrive una pièce in dialetto siciliano, comprensibile a tutti, dirigendola nei modi più congeniali, titolata Alla furca (Alla forca), con un solo personaggio senza nome, che dall’inizio alla fine seduto dietro un microfono si confessa al pubblico del cortile settecentesco del Palazzo Calapaj-D’Alcontres di Via San Giacomo accanto al Duomo di Messina nella X Edizione del Cortile Teatro Festival diretto da Roberto Bonaventura, che qui cura pure il disegno luci. Il personaggio interpretato con molto trasporto e adesione da Salvatore Tringali col sudore che gli scende dalla fronte, ricorda un po’ il Tommaso Buscetta del max-processo di Palermo di alcuni anni fa, quando dietro sollecitazione del giudice Giovanni Falcone accettò di collaborare con la giustizia, vomitando i tanti delitti di cosa nostra, che per il codice d’onore mafioso equivaleva a un tradimento punibile con la morte. Chi non ricorda i fatti potrà ripassarli vedendo il film Il traditore di Marco Bellocchio di due anni fa interpretato da Pierfrancesco Favino. Agghindato con un vestito beige, cravatta marrone e occhiali scuri, Salvatore Tringali comincia a sussurrare con toni taglienti di non essere più niente e di non essere più né pesce e né carne e che tutto intorno è solo merda, chiarendo il suo status di stalliere come lo erano stati i suoi precedenti antenati. Riuscendo tuttavia a sposare la figlia del re, come dire la figlia del padrone, per puntare a diventare da servo il padrone del suo padrone. Non si può non pensare a Vittorio Mangano, mafioso stalliere della villa di Berlusconi ad Arcore, messo li per controllare i movimenti dell’ex-cavaliere, tuttavia senza mai pensare d’impalmare la figlia. Qui invece, nel racconto che fa questo mafiosetto di cortile nel suo piccolo riesce ad incazzarsi, a fare impiccare quattro disgraziati che gli avevano ammazzato la mula, che era la sua mante e a pensare come levarsi di torno la moglie - volando la mente a quel Don Fifì di Marcello Mastroianni di Divorzio all’italiana di Pietro Germi che cercava vari modi d’ammazzare Daniela Rocca - riuscendoci infine, cospargendola di pece e dandole fuoco e così sia. Ma male gliene incolse perché alla fine un cane rabbioso gli staccherà di netto il suo pene, finendo impiccato senza poter avere un’ultima erezione. Lo spettacolo di poco meno di un’ora oltre all’ottima prova d’attore di Tringali si fa apprezzare per le musiche onomatopeiche alla chitarra elettrica di Flavio Riva.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 13 Luglio 2021 12:07

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