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CORTILE TEATRO FESTIVAL, Arena Iris- Ganzirri - "QUADRI DI UNA RIVOLUZIONE", regia Tino Caspanello. -di Gigi Giacobbe

Quadri di una rivoluzione:
di Tino Caspanello
Interpreti: Cinzia Muscolino, Francesco Biolchini, Tino Calabrò, Alessio Bonaffini
Costumi: Cinzia Muscolino
Scene e regia: Tino Caspanello
Produzione: Teatro Pubblico Incanto
Cortile Teatro Festival (Arena Iris- Ganzirri, 29 giugno 2021)

A me pare che gli undici Quadri di una rivoluzione, una pièce di Tino Caspanello che ha debuttato nel marzo di sei anni fa al Teatro Sanità di Napoli, siano quelli di altrettanti geniali pittori che hanno dato vita a varie rivoluzioni pittoriche, anche se abilmente i titoli delle opere scandiscono l’inizio delle undici scene dello spettacolo andato in scena, finalmente dal vivo con i dovuti accorgimenti delle mascherine, nella marrakechiana Arena Iris di Ganzirri tutta contornata da lussureggianti palmizi. I tre personaggi maschili indicati con numeri e non con nomi (892 il capo, 584 il più anziano, 137 il più giovane, rispettivamente Francesco Biolchini, Alessio Bonaffini e Tino Calabrò) cui si aggiunge “la donna” di Cinzia Muscolino (suoi i costumi), che non è una “vacca” presa al lazo ma un’infiltrata che veste Dior, più che rivoluzionari sembrano giocare a fare la rivoluzione, diventando paradigmaticamente, di volta in volta, i personaggi di quegli undici dipinti. Per tutti valga Le déjeuner sur l'herbe di Manet dove invece che soffici croissant mangiano del cibo avvelenato in scatoletta, avventurandosi in Prove di balletto in scena di Degas, inscenando financo Le sette opere di misericordia o la Salomè di Caravaggio, dopo essere entrati nel mondo di Rembrandt (Ronda di notte), Dalì (Leda atomica), Duchamp (Il grande vetro), Michelangelo (la Pietà), Mirò (L’uccello meraviglioso), Magritte (Elogio della dialettica), Van Gogh (Campo di grano con corvi), artefici di capolavori, ampiamente gettonati e sicuramente Quadri di una rivoluzione. Durante lo spettacolo si respirano aure beckettiane, anche ioneschiane, complice la scrittura “assurda” di Caspanello che confeziona il suo gioiellino firmando un’agile regia e una scena minimale composta da una porta (di calcio), per via che i fatti si svolgono in un stadio (argentino o cileno?), e da una panca utile a far sedere i protagonisti che “sfogliando” la spalliera faranno comparire i titoli delle opere in questione. Per fare una rivoluzione bisogna averla fatta, portare in scena testimonianze e fatti che hanno lasciato il segno nel corpo e nell’anima. I tre protagonisti + la donna, certamente bravi, pure convincenti, sono asserragliati dietro e dentro quella fragile porta, hanno fame sete e sonno e fanno solo teatro, fingendosi tre sopravvissuti alla barbarie perché tutti gli altri si sono fatti comprare. Di rivoluzionario è rimasta solo la Ballata di Mackie Messer di Kurt Weill ripresa da L’opera da tre soldi di Brecht strimpellata in vari modi e sonorità e il loro epico status di stare in scena. Chi scrive ha conosciuto dei teatranti di Minsk, capitale della Bielorussia, gente che per fare teatro è costretta per via del regime dittatoriale di Lukašenko, a esibirsi di nascosto in casa di amici e oppositori del regime, rischiando la vita, telefonando, inviando e-mail, messaggi all’ultimo momento dove quel certo lavoro verrà rappresentato. Il lavoro di Caspanello è un puzzle di undici tesserine di cui solo alla fine si capirà la perfidia di quella donna che si è fatta prendere al lazo solo per far fallire i proponimenti rivoluzionari di quei tre scappati di casa che cercheranno di giocare l’ultima partita della loro vita che purtroppo finirà miseramente. Bisogna ancora dire che il lavoro di Caspanello è stato pubblicato in Italia da Editoria & Spettacolo, in Francia e in Turchia e pure nel Kosovo.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Giugno 2021 18:07

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