martedì, 08 ottobre, 2024
Sei qui: Home / Recensioni / Rassegna Festival / 98° OPERA FESTIVAL 2021, ARENA DI VERONA - "Cavalleria rusticana" e "Pagliacci". -di Federica Fanizza

98° OPERA FESTIVAL 2021, ARENA DI VERONA - "Cavalleria rusticana" e "Pagliacci". -di Federica Fanizza

Cavalleria rusticana e Pagliacci
Direttore Marco Armiliato
NUOVO ALLESTIMENTO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA
Video design e scenografie digitali D-Wok
Maestro del Coro Vito Lombardi
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese

Cavalleria rusticana
Melodramma in un atto
Libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci
Musica di Pietro Mascagni
Personaggi e interpreti
Santuzza Sonia Ganassi
Lola Clarissa Leonardi
Turiddu Murat Karahan
Alfio Amartuvshin Enkhbat
Lucia Agostina Smimmero
ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA

Pagliacci
Dramma in un prologo e due atti
Parole e musica di Ruggero Leoncavallo
Personaggi e interpreti
Nedda (nella commedia Colombina) Marina Rebeka
Canio (nella commedia Pagliaccio) Yusif Eyvazov
Tonio (nella commedia Taddeo lo scemo) Amartuvshin Enkhbat
Peppe (nella commedia Arlecchino) Riccardo Rados 
Un contadino Max René Cosotti
Altro contadino Dario Giorgelè
ORCHESTRA, CORO, BALLO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani

98° Opera Festival 2021
Verona, Arena di Verona, 25 giugno

Andiam. Incominciate! Così il 25 giugno con l'accoppiata Cavalleria Rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo (L'Aida verdiana diretta da Muti scelta come titolo inaugurale della stagione in Arena il 19 giugno era in forma di concerto) inizia la parte allestita dell'Opera Festival in Arena 2021, e in qualsiasi maniera se ne parli, gli spettacoli dell'Arena di Verona fanno sempre notizia. L'anno scorso, con un 2020 incerto e precario, la dirigenza artistica della Fondazione veronese ha reinventato lo spazio dell'anfiteatro per concerti, ponendo la centralità della platea come palcoscenico per orchestra e artisti, con il coro elemento attivo di contorno. Quest'anno è Festival, con la possibilità di dare alloggiamento a 6000 spettatori, con i titoli previsti ancora due anni fa, con i cast che, se pur riadattati alle disponibilità del momento, con un abile gioco di inserimenti e di incastri tra interpreti internazionali e voci di casa, sia giovani che consolidate presenze areniane, rimangono attrattivi per ogni data di rappresentazione. Per problematiche di assembramenti delle maestranze tecniche e artistiche, si è voltata pagina sul fronte degli allestimenti. Momentaneamente abbandonati gli apparati scenici monumentali si è optato per una scelta altamente tecnologia, passando nel giro di pochi mesi dall'esperienza del video-mapping, annunciata al momento della programmazione dell'edizione corrente, ai fondali video su led. Saranno queste le soluzioni tecniche per il futuro della scenografia teatrale? Tutto dipenderà dalle idee dei registi su come intendere l'"opera". A Verona le scelte erano giocate in casa tra la direzione degli allestimenti di Michele Olcese e Stefano Trespidi, direttore artistico, affidandosi al realizzazione tecnica del team D-Woke. Scelte che hanno puntato alla valorizzazione dei beni culturali italiani mettendo in dialogo titoli operistici della stagione con altrettante istituzioni museali nazionali in un abbinamento tematico con in prima piano, come scelta registica, la veridicità storica delle ambientazioni. La Aida di Verdi sarà accompagnata con raffigurazione dal Museo Egizio di Torino, Nabucco, con il museo della comunità ebraica di Ferrara, Traviata con la ritrattistica femminile dalla Galleria degli Uffizi, e Turandot con iconografia dal Museo Etnografico di Parma. Risulta sempre vincente il ritrovato binomio Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo, espressione di un preciso clima culturale italiano di fine '800, tra descrizioni di ambienti sociali e reinvenzione della cronaca, che da giudiziaria, diventa letteratura. Con questi intenti Cavalleria Rusticana, dalla novella siciliana di Giovanni Verga, è stata abbinata al Parco monumentale della Valle dei Templi di Agrigento, mentre i Pagliacci diviene un doveroso omaggio al variopinto mondo del cinema di Federico Fellini, nel centenario della nascita, in doppia collaborazione con il museo del Cinema di Torino e il museo Felliniano di Rimini. Risultato finale: un allestimento il più tradizionale possibile, ma tecnologicamente avanzato. Colpiva l'assoluto realismo nell'impianto tridimensionale dell'apparato scenico, montato con una parete modulare di led di 400 mq., che permetteva un rapida successione di effetti visivi di un realismo carico di suggestione. Certamente l'impianto di Cavalleria Rusticana, che fa da sfondo alla narrazione di Turiddu e Santuzza, era saldamente ancorato alle didascalie del libretto, con la piazza di paese in cui la chiesa e l'osteria di Mamma Lucia, si contendono le anime dei paesani, il tutto ricostruito in immagini fotografiche in bianco e nero, animate con effetti video che evocavano i vecchi documentari anni'50, o le ambientazioni dal vivo dei film d'opera di quegli anni come con meticolosa precisione viene portata in scena il rituale della processione pasquale come praticata tra Noto e Palma di Montichiari. Coro in posizione da concerto a lato della scena sugli spalti, orchestra dislocata nella massima lunghezza possibile del palcoscenico: e questo, forse è stato un elemento limitante che ha compromesso l'esecuzione o meglio la percezione da parte del pubblico della resa musicale con qualche problema di sincrono nella gestione degli attacchi del coro rispetto all'orchestra. Dal punto musicale, non si può dire che sia stata, per Cavalleria, una serata memorabile, con la direzione di Marco Armiliato connotata da tempi lenti, causati forse dalla problematica collocazione dispersiva dell'orchestra e del coro. Ci si aspettava qualcosa di più dalla protagonista Sonia Ganassi, che ha proposto una Santuzza vocalmente non a fuoco e teatralmente non gestita. Così come non particolarmente nella parte vocale, il Turiddu di Murat Karahan dotato certamente di volume, ma con una emissione appesantita che non dava risalto alle parti più melodiche come La Siciliana d'ingresso, o l'irruenza del Brindisi. Agostina Smimmero, Mamma Lucia, è apparsa sottotono, specie nel duetto con Santuzza, un peccato considerando che si trattava per lei di un ruolo già consolidato, così come Clarissa Leonardi, ordinata nei suoi interventi, con una Lola molto da "brava ragazza". L'unico che riesce a costruire un suo personaggio è il baritono Amartuvshin Enkhbat, che emerge come interprete, vocalmente in ordine e riesce, nell'assenza di una definizione dei personaggi, a delineare un Alfio, padrone della scena. Gli interventi del coro diretto da Vito Lombardi sono risultati compromessi dalla posizione defilata a lato dell'orchestra e sugli spalti e dall'andamento complessivo della gestione della parte musicale. Con i Pagliacci si cambia opera, la direzione musicale rimane nelle mani di Armiliato, ma muta totalmente registro della serata. E' di scena il mondo variopinto dei personaggi immaginifici di Federico Fellini: ci sono tutti, venuti fuori dalle locandine che scorrono come fondali di un teatro di posa, che si anima al termine del Prologo, che in scena compare come alter ego di Fellini con tanto di sciarpa, cappello e cappotto. Moltitudine di comparse variopinte; bravo chi sa riconoscere da quali film: lo Sceicco Bianco, I Vitelloni, le donne di Amarcord e quelle di Otto e mezzo, Gelsomina e Zampanò dalla Strada e saranno proprio questi ultimi a creare l'ambientazione per questi Pagliacci. Qui le immagini danno forma ad un teatro di posa, che si veste digitalmente di teli mossi dal vento (finto), che si trasforma in un retropalco puntigliosamente ricostruito. Ma alla fine compare e prende forma dalle mani delle comparse un vero teatro, a significare che la tradizione della scena costruita sotto gli occhi del pubblico è sempre viva più che mai. Muta anche l'assetto musicale, con una partecipazione corale di tutti gli attori alla storia di Leocavallo: in forma Marina Rebeka, con una Nedda romantica e non impulsiva, Yusif Eyvazov, volenteroso con il suo Canio ma vocalmente senza stile, e ancora il baritono mongolo, Amartuvshin Enkhbat, che come Prologo, Tonio e Taddeo lo scemo, è stato capace di caratterizzare i suoi personaggi ben definiti. La tragedia si disperde nei colori brillanti di un circo e nella festa di applausi dal parte del pubblico che non riempiva tutti i 6mila posti disponibili (si avverte l'assenza del turismo germanico sul Garda) ma che si è fatto sentire tacciando il ronzio di un drone in sorvolo per riprese sull'Arena.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Giugno 2021 17:57

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.