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SIRACUSA TEATRO GRECO 2020 - "Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza" di Mircea Cantor. -di Valeria Minciullo

"Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza" di Mircea Cantor. Foto Maria Pia Ballarino "Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza" di Mircea Cantor. Foto Maria Pia Ballarino

Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza
di Mircea Cantor
Interpreti Mircea Cantor con gli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico
Scritto da Mircea Cantor
Movimenti di scena Dario La Ferla
Direzione del coro Simonetta Cartia ed Elena Polic Greco
Musiche Simone Caserta
Alle campane Denis Latîșev
Interventi di Lucia Lavia, Galatea Ranzi e Anna Della Rosa

Ultima performance della stagione INDA 2020 e anticipazioni 2021

Sarebbe impreciso definire l’ultimo spettacolo della stagione 2020 del Teatro Greco di Siracusa come una vera e propria chiusura della rassegna Per voci sole. Nemmeno una porta appena socchiusa dalla quale intravedere ciò che verrà, bensì del tutto aperta o, forse, sarebbe meglio dire un ponte: rivolto verso il futuro, con le sue fondamenta nel passato, a percorrere intanto questo instabile presente.

Una performance per la rinascita attraverso l'arte, l'antico e l’incontro

Per questa occasione, Mircea Cantor - artista contemporaneo di origine rumena, e premio Marcel Duchamp 2011 per l’esplorazione e la mescolanza, nelle sue opere, di diverse forme espressive - realizza una performance site specific, qui in prima mondiale. Attraverso una messa in scena fortemente simbolica, Cantor rappresenta la sua idea di rinascita dopo la pandemia, cercando la linfa vitale nella spinta a fiorire dell’uomo e nell’arte, che da sempre, nelle sue numerose declinazioni, ha permesso di risalire la china nei periodi più bui della storia. E lo fa creando associazione tra ciò che permane, nell’arte e in tutte le culture: la voce, vista come primordiale strumento, e un oggetto dalla forte valenza simbolica per tanti popoli, mistico e antichissimo, come la campana. I due elementi si incontrano, con la mano dell’uomo prima, poi con l’intero suo corpo, interagendo e fondendosi l’un l’altro. La maestria di Denis Latîșev avvia la performance con uno strumento assai singolare: una sorta di impalcatura lignea, cui sono appese, in alto, sei campane in ordine crescente, e un’unica più grande, in basso al centro; tutte animate da un sistema di corde mosse abilmente dal musicista. Sui gradoni del teatro, stanno intanto in piedi alcuni allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico che, finita l’esibizione sonora, accompagnano in coro l’ingresso in scena di due enormi campane, sorrette da altrettanti di loro. Esse vengono qui svuotate dei loro tipici significati, per trasformarsi in altri oggetti che richiamano grandi vasi, giostre che vorticano veloci, un grosso calice da versarsi addosso, condotto sul palco da una donna interamente nuda, e infine, dopo un forte rintocco, divenendo una sorta di rifugio, una regressione al grembo materno, per un uomo e una donna divisi e non più in relazione; il tutto, non perdendo mai il loro attributo sacrale.
Mi accorgo, con curiosità, che le vesti bianche dei ragazzi che animano questi oggetti, altrimenti inerti, sono attraversate da strisce di metri gialli; forse, immagino, a indicare la finitezza e la misura dell’umano in rapporto alla magnificenza antico, che però trova qui uno spazio per l’incontro e la fusione; oppure, più plausibilmente, un elemento che li connota come artisti e creatori, ovvero artefici della rinascita.
Sul finale, altri giovani allievi, vestiti interamente di nero, mettono insieme una catena del DNA incisa su scudi di plexiglass, ognuno affiancando la sua porzione, e ribadendo così l’indispensabilità dell’unione e della socialità affinché avvenga una rinascita.

Le premiazioni a Fiammetta Borsellino ed Eva Cantarella, messaggere di bellezza e giustizia

Due premiazioni sono avvenute prima dell’inizio dello spettacolo, e vi è possibile rintracciare, oltre a motivazioni di merito, un collegamento tra passato e futuro, nonché tra antico e moderno.
“Custodi della bellezza” (in memoria di Khaled al-Asaad), consegnato dalla presidente del premio Fulvia Toscano a Fiammetta Borsellino per l’ideale di giustizia lasciato in eredità dal padre, e bellezza da portare in un futuro fatto di piccole azioni volte a un grande cambiamento; e il prestigioso “Eschilo d’oro”, assegnato alla giurista, accademica e scrittrice Eva Cantarella, figlia d’arte del grecista Raffaele Cantarella, un tempo presidente della fondazione INDA, che da un secolo porta avanti la tradizione del dramma antico a Siracusa. Con lei, si è voluto dunque premiare lo studio del diritto greco e l’eredità che ha accolto e tramandato fino a noi; nel caso specifico, essa riguarda un lascito di ideali, personaggi e problemi del mondo classico che sono stati ripresi nei suoi saggi dal taglio fortemente attuale, in cui Eva Cantarella ha trattato la condizione femminile, la pena capitale e la detenzione, e ulteriori questioni di interesse anche contemporaneo.

Il teatro a venire: anticipazioni della prossima stagione

Dopo la performance di Mircea Cantor, questa cerimonia di rinascita in nome dell’antico, dell’uomo e dell’arte prosegue rivolgendo lo sguardo al domani, con gli allievi che lasciano il posto a tre attrici protagoniste della prossima stagione. Lucia Lavia, Galatea Ranzi e Anna Della Rosa attraversano la cavea (che per tutto il corso di questa speciale rassegna ha ospitato il pubblico e non, come di consueto, gli attori), e salgono sul palco dove sono state lasciate le due grandi campane a adornare, ai lati, la scena. Lì si alternano nella lettura dei loro brani: rispettivamente, Baccanti di Euripide nella traduzione di Guido Paduano, Le nuvole di Aristofane ad opera di Nicola Caldoni, e ancora un’altra tragedia euripidea, Ifigenia in Tauride, tradotta da Giorgio Ieranò. Tanto diverse le vicende affrontate, quanto gli stili recitativi delle tre attrici: intensa e matura, sebbene ancora giovanissima, Lucia Lavia, confidente, ironica e leggera Galatea Ranzi, energica e anticonvenzionale Anna Della Rosa.
Sono loro a lasciarci in sospeso con un interrogativo che forse tutti ci poniamo: il futuro, da qui al prossimo anno, è difficile anche soltanto immaginarlo, visti gli inevitabili risvolti della pandemia; dunque, queste letture saranno alla fine come i monologhi di questa stagione, o si potrà finalmente, auguratamente, interagire con più libertà anche sulla scena?

Agli spettatori, infine, un congedo inaspettato, in chiave ironica e forse un po’ provocatoria, con le ultime parole, presumibilmente di Aristofane, cui dà voce Galatea Ranzi:

“...e dunque, se vi piacciono le gag di quella gente, vi prego di non ridere mai delle mie battute.
Se invece è il mio teatro che vi par quello giusto, avrete sempre fama di gente di buon gusto”.

Arrivederci al 2021.

Valeria Minciullo

Ultima modifica il Domenica, 06 Settembre 2020 09:59

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