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FESTIVAL INTERNAZIONALE del CINEMA di BERLINO. “Favolacce" dei Fratelli D’Innocenzo. -di Gloria Reményi

"Favolacce | Bad Tales" by Fabio & Damiano D'Innocenzo, ITA, CHE 2020, Competition © Pepito Produzioni, Amka Film Production "Favolacce | Bad Tales" by Fabio & Damiano D'Innocenzo, ITA, CHE 2020, Competition © Pepito Produzioni, Amka Film Production

Nella provincia di Roma è arrivata l’estate. I bambini hanno ricevuto le pagelline, gli adulti organizzano grigliate, i grilli friniscono e si soffre di caldo. Bruno (Elio Germano), che all’andare in spiaggia preferisce crogiolarsi a casa nel suo sudore di disoccupato col Suv, decide di installare una piscina prefabbricata in giardino che finisce per diventare meta di tutti i bambini annoiati e accaldati del quartiere: “La versione economica di un’estate normale”, per dirla con il cinismo della voce fuori campo (Max Tortora). Ma ben presto Bruno quella piscina appena acquistata la distrugge. Lo fa senza un motivo reale, ma soltanto per provare il gusto di annientare la felicità altrui e per dare sfogo alla propria rabbia. Per giustificare l’accaduto ricorrerà al razzismo: “Sono stati gli zingari. Zingari senza piscine”, dirà ai due figli preadolescenti Dennis (Tommaso Di Cola) e Alessia (Giulietta Rebeggiani).

Quella di Bruno che in accappatoio distrugge la piscina dopo essersi fatto un ultimo bagno serale è una delle scene più emblematiche di Favolacce, il nuovo film dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, presentato in concorso e premiato al 70esimo Festival internazionale del cinema di Berlino con l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura. Ricordiamo che i fratelli D’Innocenzo non sono due filmmaker soltanto giovani, ma anche autodidatti, dunque due artisti che rappresentano un caso raro in un panorama cinematografico sempre più omogeneo in quanto a background accademico dei registi e dunque degli stili e delle questioni che riesce a sollevare.

Favolacce è ambientato nella provincia residenziale romana, più precisamente nella località di Spinaceto, ma allo stesso tempo sembra di avere a che fare con un “non luogo” che nella sua squallida e inquietante banalità potrebbe trovarsi ovunque. Qui gli abitanti sono come le villette a schiera in cui vivono, tutti simili tra loro, né ricchi né poveri, ignoranti, sguaiati, volgari e violenti. Ci sono padri che alla festa di compleanno di una bambina del quartiere danno libero sfogo alle loro brutali fantasie erotiche su una delle madri presenti; ci sono genitori che combinano una sorta di appuntamento “romantico” tra i due figli nemmeno adolescenti con la scusa di favorire il contagio del morbillo; ci sono madri e padri che hanno reazioni spropositate se un*a figlio*a rischia di soffocarsi con un boccone, fa una domanda considerata fuori luogo o si prende i pidocchi.

Testimoni e vittime di tutto questo squallore sono i bambini, che nel film contemplano con scettico distacco il mondo adulto senza però potersi sottrarre ai suoi effetti distruttivi. Il loro è un punto di vista “vergine e scevro di rancore”, come hanno dichiarato i due registi in conferenza stampa e, verrebbe da aggiungere, un punto di vista più colto, maturo, equilibrato di quello dei loro genitori; un punto di vista che i fratelli D’Innocenzo avevano fretta di portare sul grande schermo visto che la scrittura della sceneggiatura risale a dieci anni fa, quando avevano diciannove anni. Oggi ne hanno trentuno e non volevano correre il rischio di diventare presto “troppo adulti” per raccontare questa favola noir e lo sguardo dei bambini che la popolano.

In Favolacce il punto di vista dei bambini domina in effetti la narrazione, pur venendo sapientemente filtrato da una seconda prospettiva, quella di una figura adulta che nel film è presente soltanto sotto forma di voce fuori campo: una persona che dichiara di aver ritrovato tra la spazzatura il diario di una bambina, di averlo letto e, poiché incompiuto, terminato di proprio pugno. È questo il pretesto narrativo del film che si sviluppa come il racconto del contenuto di questo diario.

Ma non è soltanto la presenza di una figura che racconta – che nel corso del film si sovrappone inevitabilmente alla voce narrante, interna del diario – a costituire un richiamo diretto alla favola. Anche la stilizzazione dei personaggi, volutamente non complessi, bensì ridotti a tipizzazioni umane è un chiaro tratto di questo genere letterario. Allo stesso modo l’ambientazione è solo apparentemente realistica. Il malessere che serpeggia tra case e personaggi è difficilmente formulabile a parole, ma sin dall’inizio palpabile, anche grazie alle musiche che riescono a creare un effetto stridente sul piano sonoro. Ed ecco che nell’atmosfera profondamente sinistra di Favolacce si rende evidente l’eredità della recente collaborazione dei D’Innocenzo alla sceneggiatura di Dogman di Matteo Garrone.

Con Favolacce i due registi non riescono soltanto a innovarsi rispetto al loro primo film, La terra dell’abbastanza, presentato due anni fa proprio alla Berlinale nella sezione Panorama, ma osano anche esplorare un terreno ancora poco battuto nel cinema italiano, quello del fantasy. Un genere che nell’interpretazione dei fratelli D’Innocenzo riesce a restituire uno sguardo duro e spietato sul reale come pochi film ben più realistici sono in grado di fare. E questo reale non sembra essere altro che gli orrori dell’Italia degli ultimi trent’anni.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Marzo 2020 19:31

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