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T*Danse – Danse et Technologie. 
Festival Internazionale della Nuova Danza di Aosta IV edizione. -di Franco Acquaviva

Laszlo Fulop in "FU-FB". Foto Filippo Maria Pontiggia Laszlo Fulop in "FU-FB". Foto Filippo Maria Pontiggia

T*Danse – Danse et Technologie

Festival Internazionale della Nuova Danza di Aosta
IV edizione

20 > 27 ottobre 2019
Aosta - CITTADELLA DEI GIOVANI Via Garibaldi, 7

Direzione artistica: Marco Chenevier e Francesca Fini,
Organizzazione: TiDA Théâtre Danse.

Visitato il 23 ottobre 2019

Una cittadella dei giovani che diventa cittadella dell'arte performativa, dopo una quaestio che aveva scomodato anche il TAR di Aosta: ed ecco l'attribuzione della gestione della struttura a TiDA, il gruppo che organizza il festival. Una struttura dedicata, una sorta di campus, formato da una serie di bassi edifici che circondano una piazzetta centrale circolare che richiama la pista di un circo, con le facciate che vi si rivolgono colorate da murales vivaci e la transfunzionalità di spazi altrimenti neutri che diventano sala teatrale, per installazioni, uffici, reception, caffè. Fa piacere e scalda il cuore vedere una simile struttura così affidata, quando il suo destino avrebbe potuto essere, con ogni probabilità, quello di una generica gestione "polivalente". Gli organizzatori mostrano di nutrire idee robuste in proposito e lo dimostra il denso e articolato programma del festival e la sua vocazione comunitaria e sociale, che emerge con forza nei progetti in cui sono coinvolti decine di studenti di scuola superiore in attività di volontariato o di alternanza scuola-lavoro, e nella capacità di penetrare a fondo anche nei gangli della quotidianità più spicciola del piccolo capoluogo, riuscendo per esempio a coinvolgere un numero non esiguo di cittadini nell'ospitalità in casa propria di artisti e operatori per tutta la settimana.
Un festival che prende su di sé, forse perché lo vive quotidianamente, il concetto di confine geografico e lo sposta nel campo delle arti performative, qui respirandosi un'energia concentrata e fresca, pronta a seguire i détours di una instabilità forse voluta e cercata. TiDA, Teatro Instabile Di Aosta, già nel nome prefigura, con sfumatura ironica, questa condizione, altrimenti, magari, problematica, che qui diventa invece occasione per rilanciare un discorso generale sul rapporto tra arti sceniche e comunità/società. Testando i limiti del discorso, spostando programmaticamente, nella prassi e nella teoria, un po' più in là, al limite, i ragionamenti intorno alle possibili interazioni concrete tra pubblico e opera. Come se si decidesse finalmente di portare fino in fondo la premessa che l'opera possa essere permeabile alla presenza attiva dello spettatore, pur con il rischio della dissoluzione, dell'opera, dentro al mare delle mille possibili interazioni, degli impulsi comunicativi caotici e aleatori. Marco Chenevier, oltre che direttore artistico insieme a Francesca Fini, artista egli stesso, anche nella propria prassi artistica lavora sullo iato di questa dissoluzione verso un indifferenziato, che si impone tuttavia di individuare e strutturare, giocando le possibilità dell'alea, tra apertura al magmatico degli impulsi costruttivo/distruttivi insiti in una ricezione non più unidirezionata, e esigenza di strutturare questo ampio campo indefinito. Il suo notevole "Quintetto", visto da noi in un altro contesto, da questo punto di vista è quasi un manuale d'uso, se su questo terreno sdrucciolevole fosse possibile, ma non lo è, fare di prassi norma.

FU-FB 02

Interazione del pubblico nell'opera e nuove tecnologie: come può avvenire un incontro? E' la sfida di FU-FB della compagnia danese Granhøj Dans, con Laszlo Fulop, visto nel teatro, che comincia con la distribuzione, a ciascuno spettatore, di uno smartphone con il quale egli potrà, durante l'azione, interagire sulla pagina facebook del performer, il quale a sua volta darà indicazioni, invierà link, incoraggerà i commenti, inframmezzando a momenti di racconto (autobiografico), di gioco, di partecipazione attiva di alcuni spettatori, vari frammenti coreografici. Se l'attenzione richiesta da uno smartphone è per sua natura intensiva, focalizzata, ristretta e quella richiesta dallo spettacolo ampia, spazializzata, estensiva, come è possibile far percorrere all'opera un binario le cui guide rischiano di divergere ad ogni momento secondo gli impulsi delle due opposte istanze? Nello spettacolo si alternano momenti in cui l'esigenza di dare forma dovrebbe forse prendere il sopravvento, e altri in cui la dispersione invece dà luogo a effetti aleatori, forse ipotizzati più come probabilità che come certezza evenemenziale. Per esempio la cadenza casuale con cui gli spettatori manovrano i loro smartphone, nell'azionare il link appena inviato, dà vita, nell'improvvisa oscurità della sala e della scena a un suggestivo paesaggio di volti illuminati dai display e dal riverberarsi a eco delle musichine o del parlato dei brevi video linkati. In altri momenti è più evidente la preoccupazione di strutturare, quando per esempio, ed è forse, insieme al finale, uno dei momenti più interessanti dello spettacolo, Fulop danza sul ritmo della traduzione simultanea Google in inglese e italiano di una poesia ungherese, con effetti larvatamente comici per l'assurdità della resa in italiano del traduttore sintetico e per la calzante ironia con cui è condotta la sequenza coreografica. La pioggia poi non ha impedito di assistere al breve Shadowpieces della coreografa svizzera Cindy Van Acker. Stéphanie Bayle, danza sulla pista circolare della piazza del campus: un lavoro dalla lentezza quasi sacra, dove l'intensità e il nitore di una segmentazione gestuale condotta con attenzione microscopica si unisce alla luminosa evocazione come di partner invisibili, sorretta dalla forza di uno sguardo e di un'attitudine fisica che disegnano linee e volumi pieni di presenza nel vuoto e nella instabilità perigliosa dello spazio pubblico.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Venerdì, 01 Novembre 2019 07:29

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