dall'opera di Platone
Adattamento e regia di Alessandra Pizzi
Con Enrico Lo Verso, e Fabrizio Bordignon, Vincenzo Iantorno,
Marilena Martina, Erica Bianco, Alice Manzati, Luca Goldoni,
Tiziano Sedona, Mattia Spedicato
Coreografie e movimento scenico di Marilena Martina
Produzione Ergo Sum
VICENZA, teatro Olimpico, 72.mo ciclo di spettacoli classici, 27 e 28 settembre 2019, in prima nazionale
Giustizia e verità sono l'eterno dramma che si scontra giorno dopo giorno, da millenni, secoli, sempre protese alla ricerca reale della verità, non solo al detto. I possibili errori giudiziari possono pregiudicare il presente e il futuro a venire di una vita, più vite. L'Apologia di Socrate tratta da Platone, e andata in scena al teatro Olimpico di Vicenza tiene a rimarcare il pensiero e la grande forza difensiva del filosofo greco a favore del suo amato maestro, Socrate appunto, ed è al contempo un omaggio anche all'umiltà, al voler far scoprire nello stesso la semplicità umana, in un'autodifesa davanti ai suoi accusatori che raggiunge negli alti versi momenti di grande, infinita prosa. Testi inarrivabili si potrà pensare, di sicuro anticipatori di coscienza, di un tentativo di protezione del diverso dalla società. La regista Alessandra Pizzi presenta nello spettacolo un coro di otto attori –danzatori che bene interagiscono con il protagonista, un abbastanza pacato Enrico Lo Verso, bravo attore di fama e presenza, con un folto barbone che rispecchia tempi e andamenti dell'opera, che guarda qui e là i suoi interlocutori, cercando nella difesa di diventare migliore di se stesso, portando alto il proprio pensiero. Il coro svolazza talvolta a destra e a sinistra, volteggia, si fa portavoce con i propri pareri su Socrate, su quelle ingiurie accusatorie che lo hanno portato fin là. E' il filosofo stesso per primo che nella propria autodifesa si rivolge ad apparenti figure inquietanti, senza scrupoli, e con una certa insistenza, a insistere anche nella sua non sapienza, a riferire con continuo strascico di parole la sua non appartenenza ai fatti contestatigli. L'errore di chi accusa va inevitabilmente a rappresentare tutti i fatti ai quali anche la recente e non cronaca ci ha purtroppo abituati, un paio qui messi se non in parallelo in una sorta di confronto duro, agghiacciante, ed è certamente a mio modesto parere, il momento migliore dello spettacolo. Ma non certo perché il testo di Platone ovviamente sia meno forte dell'aggiunta. La verità di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, che non trova spazio se non inascoltato nella condanna alla sedia elettrica per un omicidio mai commesso, e l'arringa disperata di un uomo pubblico dal nome Enzo Tortora che con la massima costernazione si rivolge ai giudici, con l'idea brivida registica di far sentire la voce vera tirar fuori dalle viscere la propria innocenza, esplodono con convinzione estrema e gelido grido ininterrotto nella bella recitazione di Fabrizio Bordignon, componente del coro e allo stesso tempo protagonista vittima due, tre volte di accuse che chiamano e vogliono solo giustizia, quella vera. Il suo muoversi con disperazione accanita sulla scena è qualcosa che in molti ricorderanno di questo spettacolo, condiviso più e più volte. Del coro serpentino visto si rammenterà invece la coesione, il loro fare squadra sia da personaggi che da interpreti, forse un pochino intaccata dall'emozione di stare su quel palcoscenico, nelle giuste, misurate e flessuose coreografie di Marilena Martina. I costumi richiamano invece poco di antico, forse legati anche a un paio di musiche dell'era moderna, Here's to you, Nicola and Bart di Joan Baez (scritta con Morricone) e il tema di The Godfather, dal film di Coppola. Inutile invece la simbolica sbarra (di ferro e acciaio?) sulla quale perorare la giusta causa. Dopo un leggero sbigottimento nella scena finale della crocifissione, il pubblico comunque ha tributato applausi e acclamato gli attori.
Francesco Bettin