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POMPEII THEATRUM MUNDI 2019 - "SATYRICON", regia Andrea de Rosa. -di Giuseppe Distefano

"Satyricon", regia Andrea de Rosa. Foto Mario Spada "Satyricon", regia Andrea de Rosa. Foto Mario Spada

Satyricon
di Francesco Piccolo, ispirato a Petronio

regia Andrea de Rosa
con Antonino Iuorio, Alessandra Borgia, Anna Redi, Francesca Cutolo,
Noemi Apuzzo, Michelangelo Dalisi, Flavio Francucci, Andrea Volpetti, Lorenzo Parrotto, Serena Mazzei
scene e costumi Simone Mannino

disegno luci Pasquale Mari

sound designer g.u.p. alcaro
Produzione Teatro stabile Napoli-Teatro Nazionale, Teatro di Roma-Teatro Nazionale,
Fondazione Campania dei Festival–Napoli Teatro Festival Italia
Al teatro romano di Pompei, per la rassegna "Pompeii Theatrum Mundi", dal 4 al 6 luglio 2019

Ballano per quasi tutto il tempo. Un'azione reiterata, nevrotica, ossessiva, con brevi attimi di pausa. E intanto, tutti i personaggi mondani in scena, parlano di cibo, di piatti prelibati, di menù succulenti del tipo: «Spaghetto con pesto di maracuja al fumo di venghè e misto di alghe con croccante di pane. Vitello all'essenza di liquirizia bruciata su fondu di radicchio trevigiano sbianchito. Carpaccio di Kobe con tegole di grana, lamponi e fiori». Vere golosità, non c'è che dire! Tutto ruota intorno al cibo, ma solo immaginato, gridato, esaltato, mentre s'impegnano per tutto il tempo dello spettacolo in vacue chiacchere, blaterando di social, di moda, di sesso, di letteratura, di media e ogni genere di argomento, compreso il teatro; mescolando, nel calderone ciarliero, luoghi comuni, frasi fatte, senza senso, che però rivelano un malessere mai consapevole, un disordine del corpo e dell'anima. Ma per poter affermare di esistere bisogna stare a tempo, al ritmo stressante della vita quotidiana. Lo indica il metronomo, al centro del proscenio. Quando inizia a battere, attivato da tre balordi annoiati, Ascilto, Encolpio e Gitone, prende avvio la grande festa nella casa di Trimalcione, l'ex schiavo arricchito giunto dall'Oriente, rozzo e ignorante crapulone, di strabordante vitalità, narrato da Petronio. Nel Satyricon del poeta latino, il regista Andrea De Rosa, nella riscrittura contemporanea del drammaturgo Francesco Piccolo ispirata alla satira sulla decadenza dell'impero romano, trova spunto per un'intelligente lettura sul decadimento del nostro tempo, della confusione e dello smarrimento, della vacuità e del vuoto che contraddistinguono la società di oggi. «Provare a riscrivere e rendere contemporaneo il Satyricon, usando i tic linguistici della mondanità decadente di oggi – dichiara Piccolo - è sia elettrizzante sia in qualche modo naturale». E non si può fare a meno di pensare, durante lo spettacolo, a La grande bellezza il film di Paolo Sorrentino. Ad accomunarli c'è il trionfo di volgare ricercatezza e realismo di una fauna umana "romana", che fotografa intellettuali umanamente falliti, arrampicatori sociali, cafoni di ogni ceto, giovani donne velleitarie, tutti impegnati in una nevrotica vita notturna transitando da una festa all'altra. Qui siamo in quella dell'epicureo Trimalcione che, sguaiatamente, esaltandosi ripete: «Portate da magnà!! portate da magnà pe' tutti! Cibo! Food! Comida! Che finché magnamo e bevemo semo vivi e chi è vivo... nun è morto!». Per quasi tutto il tempo egli troneggia dentro una sorta di separé rialzato di tende filiformi, con al centro un cesso dorato, come lo è, il color oro, la scena kitsch di pavimento e fondale. Tutti i personaggi hanno una propria identità: sono l'Attrice Impegnata, la Donna delle canzoni, la Ragazza Anoressica, la Signora Disperata (disperata perché si lamenta: «Vado a tutte le feste, ma odio andare alle feste perché non c'è mai una sola festa e quando vai a una festa ce n'è sempre un'altra più bella e tutta la vita penso che sono andata alla festa sbagliata e che l'altra festa era più bella»), l'Intellettuale; e poi Ascilto, Encolpio e Gitone i tre nullafacenti ragazzi di borgata; e Fortunata, moglie di Trimalcione, l'unica voce fuori dal coro, perchè vegana, che parla dell'amore per gli animali, dell'amore al prossimo, del sogno di un mondo diverso. Il regista l'ha voluta nuda, sempre in proscenio e rivolta verso il pubblico, sdraiata sopra dei cuscini anch'essi dorati, spesso osservandoci con uno sguardo innocente. Nell'impoverimento linguistico, che è il tratto peculiare del testo elaborato dalla drammaturgia di Francesco Piccolo; in questo continuo flusso di digressioni in cui predomina il linguaggio popolare, permeato di espressioni proverbiali, icastici modi di dire, saggezza da marciapiede, Fortunata sembra essere l'unica a dire cose con un minimo di senso, di valore. Nel suo vaniloquio risponde frasi come: «Gli uomini non devono uccidere le donne. La gente non deve vivere nella povertà. Cosa stiamo facendo noi per questo paese?». Ci si avvia al finale dopo un'acme folle e orgiastico di corpi seminudi - e con in volto maschere di teschio -, di azioni sessuali mimate, di frenesia e divertimento, mentre la scena si ricopre di una colata schiumosa che fuoriesce dal water. Poi, sulle ultime battute, tutto tristemente si esaurisce e si spegne. Spossati, smarriti, tremanti, con ancora qualche accenno di ballo, si posizionano fermi sulla parete frontale. Il dialogo che segue tra Trimalcione e Fortunata, dopo un lento ballo amoroso tra i due, è fatto di resoconti e insulti, di rivalse e improperi, fino ad una rappacificazione con lui che prende in grembo lei piangendo lacrime di pentimento e di dolore, e facendogli dire: «Ma che te credi, Fortunà, pure a gente superficiale c'ha na sofferenza dentro. Pure chi va 'a e feste se po sentì solo. Pure i cafoni c'hanno un gusto loro. Pure gli stronzi se mettono a sognà. Tu e l'amici tua tutte ste cose ve le scordate. Ma io ve voglio di' na cosa: nun è bello pensà pe tutta 'a vita d'avè sempre ragione, nun è importante avè ragione, poi uno se fissa e vo fa sempre le cose giuste, e poi crede da fa sempre le cose giuste e poi nun s'accorge più d'a gente che vive, che more, che sta male, che soffre, che vo capì...» E si avvia a rappresentare il funerale pulp di se stesso inscenando, dentro una botola, la propria fine tagliandosi le vene – schizzi rossi lanciati sulla parete – e consegnandosi all'aldilà senza essere morto. Alle lacrime di Fortunata che lo terrà tra le braccia mentre tutti vanno via, reagirà Gitone che tornando indietro le proporrà di cambiare vita: «Che vantaggio ne avrai se ti lasci morir di fame, se ti seppellisci viva? Non vuoi tornare a vivere? Non vuoi, cacciati questi pregiudizi da donnetta, goderti le gioie della luce per quanto è possibile?». Bella prova di tutti gli attori, con, in testa, un appropriato, grottesco, reboante Antonino Iuorio, con stazza da boss, e Alessandra Borgia, Anna Redi, Francesca Cutolo, Noemi Apuzzo, Michelangelo Dalisi, Flavio Francucci, Andrea Volpetti, Lorenzo Parrotto, Serena Mazzei.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Sabato, 13 Luglio 2019 09:32

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