Norma
Music Vincenzo Bellini
Libretto Felice Romani
Conductor Georgios Balatsinos
Director, sets Carlus Padrissa / La Fura dels Baus
Costumes Aitziber Sanz / La Fura dels Baus
Lighting Eleftheria Deko
Video projections design Marc Molinos / La Fura dels Baus, Alberto de Gobbi / La Fura dels Baus
Chorus Master Agathangelos Georgakatos
Associate set designer Tamara Joksimovic / La Fura dels Baus
Tree and crane designer Ignacio Infiesta / La Fura dels Baus
Costume lighting Imanol Gómez / La Fura dels Baus
Music preparation of soloists Domna Halari, Chryssanthos Alissafis
Music preparation of chorus Ermioni Nastou
Conductor's assistant, band conductor Katia Molfessi
Director's assistants Mireia Romero Miralles / La Fura dels Baus, Natasha Triantafylli
Associate director Sophia-Eleni Xezonaki
Orchestra and Chorus of the Greek National Opera
Italian Opera Cycle • New Production
Co-production with La Fura dels Baus
as part of the Athens Festival
Odeon of Herodes Atticus
5, 7, 9, 11 June 2019
Cast del 05.06.2019
Pollione Arnold Rutkowski
Oroveso Raymond Aceto
Norma Carmen Giannattasio
Adalgisa Cellia Costea
Clotilde Violetta Lousta
Flavio Yannis Kalyvas
Band musicians
Flute Evangelia Neoudaki
Clarinets Ilias Skordilis, Mario Adrover Pardo
Trumpets Konstantinos Nikas, Nikos Koulouris, Christos Oreopoulos
Horns Nikos Anyfantis, Manos Ventouras
Trombones Kostantinos Tzivas, Ioannis Kokkoris, Petros Karatsolis
Percussion Thanassis Papadimitriou
Additional chorus
Sopranos Yolanda Athanassopoulou, Lyudmila Bondarenko, Niki Chaziraki, Christina Michalaki, Marina Retchkalova-Botini, Ana-Maria Samson, Irini Zerva
Mezzo-sopranos Antonia Despouli, Georgia Markouli, Magda Tzavella
Tenors Nikitas Gritzalis, Nicholas Katsiyannis, Alexandros Masmanidis, Panagiotis Lambridis, Stamatis Pakakis, Panagiotis Pantoulias, Michalis Platanias, Dimosthenis Vlachos
Baritones / Basses Christos Dalianis, Yannis Kontellis, Alexandros Loutas, Spyros Sokos
Acrobats
Angelos Antonakos, Natalia Baruch, Tina Gourzi, Tasos Korkos, Triantafyllos Omiridis, Ileanna Pappa
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La prima recita della stagione operistica dell'Athens & Epidaurus Festival 2019, svoltasi la sera dello scorso 05 giugno, ha visto sulla scena dell'antico teatro imperiale ateniese la Norma di Vincenzo Bellini. L'opera del compositore catanese, che ebbe la sua première il 26 dicembre 1831 al Teatro alla Scala di Milano, fu rappresentata per la prima volta in Grecia nel 1834, al Nobile Teatro di San Giacomo di Corfù, per approdare ad Atene di lì a poco nel 1840.
L'attuale produzione, allestita nella suggestiva cornice dell'Odeon di Erode Attico, è curata dalla Greek National Opera, lo stesso ente lirico che il 24 agosto 1960 organizzò la messa in scena di Norma all'Antico Teatro di Epidauro, ed ebbe nel cast la splendida voce della diva Maria Callas nel ruolo protagonista. Il confronto è impossibile e ingiusto, ma forse può spiegare le ragioni di un allestimento dall'impatto straniante, "a contrasto", che intende mostrarsi volutamente d'avanguardia in ragione del suo essere svincolato dal contesto storico tradizionale e proiettato nel futuro.
Il luogo dello svolgimento è immaginato essere un'isola di plastica sita ad est nel Mare Nostrum, nel prossimo 2050. La trama ‒ come si legge nel libretto ‒ muta nella seguente: «Il villaggio dei Druidi è sopravvissuto ai catastrofici effetti del cambiamento climatico, in un isola di plastica collocata in un luogo remoto del Mediterraneo orientale. Essi venerano i resti di un antico albero di plastica, che serve a loro a raccogliere acqua potabile, mediante cui hanno cercato di creare la vita artificiale, alcuni batteri che si nutrono di plastica e lentamente la riciclano sul fertile suolo. I Druidi hanno preservato una collezione davvero completa di semi che brillano nelle tasche dei loro abiti, ed essi sperano che questi consentiranno a loro di recuperare la vegetazione estinta a causa del cambiamento climatico. Il dramma dei Druidi che dimorano nell'isola di plastica è che non hanno figli, perché sono divenuti sterili e la loro comunità sta progressivamente invecchiando. Soltanto Norma è riuscita a procreare due figli, in conseguenza della relazione avuta con Pollione, il console di un'invadente corporazione europea che vuole dominare la regione».
Ed ancora, in riferimento alla scenografia creata dalla compagnia catalana La Fura dels Baus ‒ sono presenti un albero spezzato, un altare, una pietra e due ampolle rituali, oltre che ad una piattaforma mobile ‒ e dichiaratamente ispirata alla nietzschiana Nascita della tragedia, si aggiunge che «l'intenzione è quella di creare un sincero esercizio per riconciliare l'autentica alchimia della nostra era con il lato più oscuro di un costante vuoto dell'anima. In un certo senso, nella società moderna noi lasciamo ai nostri figli, che pure sono parte di noi, un mondo insostenibile. Questo spiega precisamente perché l'acqua scartata del Mediterraneo sarà riciclata sulla scena per essere parte del paesaggio insieme alle isole di plastica».
Al netto dell'attualizzante resa drammaturgica, non avulsa da velate seppur riconoscibili allusioni politiche, come anche del manifesto impegno di sensibilizzazione sociale ‒ "complice", fra l'altro, l'eccezionale coincidenza della prima rappresentazione con la Giornata Mondiale dell'Ambiente (il 5 giugno) ‒, chi scrive è dell'opinione che, seppur si possano trovare elementi lodevoli sul piano etico per quanto attiene alla tentata mozione degli animi, la sceneggiatura proposta della Norma pecchi un poco di hybris, ovvero forzi la trama al limite del consentito da una "rielaborazione", che appunto dovrebbe innovare nel rispetto della tradizione, non "riscrivere" o "sovrascrivere". Del resto, "attualizzare" significa vivificare qualcosa di già presente, cogliendone il sempre valido messaggio, non aggiungere alla memoria qualcosa di estraneo e appartenente ad una tradizione altra, per epoca, problemi, sensibilità mutati. È pur vero, e di questo occorre dare meritorio atto, che il progetto è estremamente coerente, e in questo drammaturgicamente riuscito e di sicuro impatto riflessivo. Se, come ci è chiesto di immaginare, nel 2050 la natura sarà sempre più estinta, sostituita da un mondo di plastica, finto omogeneo e sostanzialmente morto nella sua capacità di eternarsi, non c'è da stupirsi se ben poco resta della Norma, un capolavoro musicale e testuale dal fascino profondo, evocato tanto dall'esotismo barbaro quanto dal primigenio e druidico attaccamento alle forze della natura.
In un susseguirsi alla vista di immondizia e plastica, misto al meccanico agire di sovrastrutture geometriche e artificiali su una scena naturalmente antica, che di per sé nulla avrebbe richiesto di aggiuntivo per apparire teatralmente efficace, l'attenzione è inevitabilmente richiamata dal messaggio sociale, distolta più volte dall'autentico fil rouge belliniano. Quando la distrazione interrompe l'intimo accordo che si crea fra astanti e attori, anche lo spettacolo perde in forza espressiva, riducendosi ad esecuzione. Triste è il disorientamento che ne consegue, specie quando risultano oscurati momenti magici come, per esempio, l'aria "Casta diva". Eppure, se l'acquisita consapevolezza del problema ambientale non può che scuotere l'animo dei presenti, una parallela mestizia sorge dall'osservare come sia il taglio interpretativo sia la messa in scena inducano un'alterazione della poeticità originale. Se, come è stato ricordato da Emanuele D'Angelo (in «Ha vinto amore». Norma: Medea-Didone in Arcadia, «La Fenice prima dell'Opera», 2014-2015, 4, pp. 47-68), il colto librettista Felice Romani ha forgiato la fisionomia della druidessa Norma «intrecciando il mito "tragico" della furente Medea con quello "elegiaco" della patetica e commovente Didone», viene da chiedersi da che cosa e in che modo da una interpretazione così attualizzante e straniante possa trasparire l'atmosfera arcadica e romantica della Norma. In altre parole, se la plastica sta all'inquinamento ambientale come l'apparenza e la falsificazione stanno all'inquinamento culturale, come può una "Norma plastificata" comunicare la solenne raffinatezza formale dello stile di quest'opera, ovvero «l'efficacia della pittura» e «la mestizia e la soavità dei colori», che proprio il letterato Romani riconosceva come tratto peculiare del carattere della sua amata Didone-Norma?
Non resta, forse, che dedurre che quella prodotta dalla Greek National Opera, e ben eseguita da tutti i complessi artistici coinvolti, sia la giusta e triste Norma dei nostri decadenti tempi, dinanzi alla quale occorre agire e reagire con forza per ripristinare quel sistema valoriale che, col salvaguardare l'ontologia della natura cosmica e umana, può consentirci anche di forgiare il nostro futuro senza alterare l'autenticità del messaggio del passato.
Selene I.S. Brumana