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Alla ricerca di 'un'altra ipotesi di noi stessi' - Indagine sull'umano e sul sommerso a Vie Festival 2017 di Nicola Arrigoni

Benvenuto umano di CollettivO ConeticO Francesca Pennini Benvenuto umano di CollettivO ConeticO Francesca Pennini

Alla ricerca di 'un'altra ipotesi di noi stessi'
Indagine sull'umano e sul sommerso a Vie Festival 2017
di Nicola Arrigoni

«Il teatro è tutto meno forse che spettacolo, è parola, attesa, speranza, un'altra ipotesi di noi stessi. Insomma un bel guaio»: scrive Ennio Flaiano. In quell'ironico e sferzante 'Insomma un bel guaio' c'è tutto il peso specifico del teatro in sé, del teatro – ed è ancora Flaiano a venire in aiuto – inteso come 'un'altra ipotesi di noi stessi'. Verrebbe da pensare che quell'altra ipotesi si possa declinare nella ricerca – più o meno consapevole – di ciò che siamo, di ciò che nascondiamo a noi stessi, ma anche di ciò che vorremmo essere. Vie Festival va in cerca di questa 'altra ipotesi di noi stessi' e lo fa ponendo al centro l'umano, ovvero il non detto di noi, il sommerso, l'inconscio per usare il caro vecchio Freud, ma anche il rimosso, o magari le attese disilluse, le nostre speranze infrante. L'umano e il dis-umano trovano spazio nel sottotesto di tre spettacoli diversissimi per stile, autori, genere, ma che sembrano essere legati da questa tensione a indagare 'un'altra ipotesi di noi stessi'.
Così in Benvenuto umano di CollettivO ConeticO Francesca Pennini con grande fatica per sé e per lo spettatore va in cerca dell'umano interrogando la medicina cinese e gli affreschi dei mesi di Francesco del Cossa a palazzo Schifanoia. Il legame indagato da Francesca Pennini rimane oscuro e implicito al lavoro che vede la coreografa e danzatrice invitare la platea a chiudere gli occhi e a interrogarsi sul buio, sul 'pulsare delle palpebre', sulla postura del proprio corpo, quasi a voler chiedere al pubblico di approcciarsi alla consapevolezza di una fisicità che è il medium attraverso cui noi leggiamo la realtà. Da qui l'immagine dei quattro danzatori che si presentano in mutande con gli occhi coperti dagli occhiali per la realtà virtuale. La sessa Pennini si fa bendare dai suoi ragazzi e resterà bendata per tutto il corso della performance, guidandosi e guidando quei corpi maschili che diventano segno nello spazio, oggetto da palpare, muscolatura in tensione che richiama la pietà di Michelangelo o il poliziotto che picchia l'indipendentista catalano. Insomma passato e presente si intrecciano, luoghi lontani e prossimi si fondono in un lavoro che quando si lascia andare alla fisicità dice di un 'umano' fatto di carne e sudore, di un corpo/capro appeso e di un corpo oltraggiato, ma anche di un corpo perfetto, armonia di muscoli e gesti nello spazio. Francesca Pennini – artista che sa coniugare l'intensità coreografica del suo stare in scena al pensiero – ha messo tanta carne al fuoco, ha offerto un rito primigenio dell'humanitas che lotta, che si offende e si difende da un mondo che non governa e tutto partendo kubrickianamente da una realtà futuribile, non il monolite di 2001 Odissea nello spazio, ma quei visori della realtà aumentata che ci permettono di entrare in un'altra ipotesi di mondo in cui noi siamo i nuovi primati. Benvenuto umano è di per sé uno spettacolo faticoso, criptico, senza la leggerezza dei migliori lavori di CollettivO CineticO, un lavoro forse troppo pensato che deve trovare ancora la sua chiave di ingresso all'umano troppo umano del qui e ora del teatro.

VIE Chekhov First Play Feature Image 2016 1

Un'umanità in attesa, annoiata, che aspetta l'arrivo di Platonov come un eroe in grado di dare senso alla vita: accade questo in Cechov First Play degli irlandesi Ben Kidd e Bush Maukarzel. A sipario chiuso il regista denuncia la sua inadeguatezza nei confronti di Cechov e invita il pubblico a indossare le cuffie per seguire la pièce e le sue indicazioni volte a spiegare il testo, laddove appaia oscuro e in un certo qual modo ad attualizzarlo. In mano ha una pistola e la consapevolezza che «se in un romanzo compare una pistola bisogna che spari», regola aurea enunciata dall'autore russo, ma che sarà poi disattesa nel segno di un capovolgimento alla Monty Python del testo. Così in una sorta di interno esterno sontuosamente vittoriano si svolgono i dialoghi cechoviani fra personaggi intorno a una tavola, in attesa di Platonov, a metà fra un Amleto e un Don Giovanni, un eroe borghese che sembra incarnare 'un'altra ipotesi di noi', personaggio che dà il titolo alla pièce giovanile di Cechov. Il susseguirsi dei dialoghi è per certi versi faticoso e meccanico, verboso come la peggior messinscena cechoviana, sofferto disquisire commentato in cuffia dal regista, fino a che l'arrivo di Platonov che altro non è che uno spettatore con audiocuffia, che si muove eterodiretto dal regista e rompe e irrompe nel plot cechoviano, così come un'enorme palla infuocata distrugge parte della scenografia. Da qui è un continuo gioco a stupire, i personaggi cechoviani si spogliano dei loro costumi ma non delle loro funzioni, tutti accomunati da una medesima condanna: attendere l'inattuabile, l'attesa di quel Platonov chiamato a incarnare un'altra ipotesi di vita. Fra travestimenti e disvelamenti, strizzando l'occhio a Christoph Marthaler Cechov First Play procede per accumulo di gesti, con forza destruens, trasformando i nevrotici cechoviani in tristi e disperati uomini contemporanei, il tutto intessuto da qualche suggestione metateatrale di troppo. In questo accumulare segni, in cerca di una facile rilettura contemporanea delle inquietudini messe in scena da Cechov si realizza il taglio interpretativo ma anche il limite di un lavoro che si fa apprezzare per la sua eleganza, per la compostezza e credibilità dei suoi interpreti. Ma alla fine il tutto rischia di svelare troppo scopertamente il gioco di 'attualizzazione cechoviana' e il regista si vede costretto a sostenerlo accumulando suggestioni e reiterando fino alla ridondanza il parallelismo di una società contemporanea che vive della stessa noia e sogni irrealizzabili, speranze affidate ad un Platonov qualsiasi preso dalla platea della borghesia arricchita della Russia di fine Ottocento e inizio Novecento, anzi no, la platea del XXI secolo.

vie terzopulos

In Encore del greco Theodoros Terzopoulos va in scena il duello fra maschile e femminile, la battaglia dei corpi e delle parole incarnate che sanguinano, il sacrificio e la dedizione all'altro, la passione per il possesso dell'altro. Lo spazio scenico è definito da una croce di luce all'interno della quale i due attori/performer Sophia Hill, Antonis Myriagkos si muovono, danzano, l'uno avvinghiato all'altra, legati dalla minaccia/legame di due spade che impugnano come protesi di loro stessi, segno armato di un amore che è conquista bellica, estremo sacrificio, sangue che cade sui corpi e sulle parole che dicono l'indicibile. Encore è la supplica e l'invito a proseguire, a continuare quel darsi che fa dei due un corpo unico in continua tensione, fa del loro essere un altro essere che si completa e annienta in quella divorante passione che fa sussurrare e urlare: Encore. L'elzeviro teatrale di Terzopoulos chiude la trilogia iniziata con Alarme e proseguita con Amor, visti sempre nell'ambito del festival Vie. Il regista greco mette in atto con Encore una riflessione agita in forma di pas de deux teatrale che sembra chiamare in causa l'urgenza del corpo e l'emergere del tragos. I due attori fanno delle parole e del movimento un unicum che si svapora in una sorta di discesa verso un abisso da cui è difficile emergere se non nel dissolvimento del legame stesso e nell'abnegazione dei singoli in un'altra possibilità di noi' che si fa estrema e sacrificio mortale. In Encore e nel lavoro di Theodoros Terzopoulos si avverte tutto il peso antropologico dell'eredità greca e non a caso il primo di tre volumi dedicato alla metodologia del regista greco, pubblicato da Cue Press, si intitola Il ritorno di Dionysos, un anelito alle origini del teatro e alla sua pregnanza rituale che si intravvedono in Encore che in questo contesto deve essere letto e apprezzato.

Benvenuto umano
ideazione, regia e coreografia Francesca Pennini; dramaturg e operatore Shiatsu Angelo Pedroni;
azione e creazione Simone Arganini, Andrea Brunetto, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Francesca Pennini, Stefano Sardi
coproduzione CollettivO CineticO, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Festival Città delle 100 Scale in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Progetto Corpi & Visioni – promosso da Comune di Correggio con il sostegno di MiBACT, Regione Emilia-Romagna, Centrale Fies – art work space; residenze Teatro Asioli (Progetto Corpi & Visioni), SZENE Salzburg, Teatro delle Briciole, L'Arboreto – Teatro Dimora residenza stabile Teatro Comunale di Ferrara

Cechov First Play
(il primo testo di Cechov), testo Anton Cechov, Ben Kidd e Bush Moukarzel
regia Ben Kidd e Bush Moukarzel
con Dylan Tighe, Ray Scannell, Tara Egan-Langley, Breffni Holahan, Clara Simpson, Liam Carney;
scenografia Andrew Clancy; effetti e scenografia Grace O'Hara
costumi Saileóg O'Halloran; luci Stephen Dodd; suoni Jimmy Eadie e Kevin Gleeson
coreografia Liv O'Donoghue
prodotto con l'aiuto di Battersea Arts Centre; commissionato da Battersea Arts Centre e Irish Art Centre; coprodotto da Dublin Theatre Festival, Baltoscandal e TnBA; progetto coprodotto da NXTSTP con il supporto di Programma Cultura dell'Unione Europea Dead Centre

Encore
regia e scene Theodoros Terzopoulos
con Sophia Hill, Antonis Myriagkos
musica Panagiotis Velianitis; costumi LOUKIA
luci Theodoros Terzopoulos e Konstantinos Bethanis
realizzazione dell'installazione scenica Charalampos Terzopoulos
produttore esecutivo Maria Vogiatzi foto Johanna Weber; produzione Attis Theatre.

Ultima modifica il Sabato, 21 Ottobre 2017 07:59

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