Cristiana Morganti e Cristina Caprioli,
due italiane al festival di danza contemporanea
Tanz im August di Berlino
di Gloria Reményi
Sono tante le donne – tra coreografe, personaggi e interpreti femminili – cui la 29esima edizione del festival di danza contemporanea Tanz im August di Berlino ha voluto dare una voce. Donne femministe e donne attiviste, donne delicate e donne animalesche, donne che ridono e donne che soffrono, donne diverse, ma sempre donne oltre gli stereotipi cui troppo spesso vengono confinate anche sulla scena. Accanto a Rocío Molina, Dorothée Munyaneza, La Ribot, Sasha Waltz, Mathilde Monnier e tante altre ancora, Cristiana Morganti e Cristina Caprioli hanno rappresentato l'Italia, sebbene entrambe facciano base all'estero da circa trent'anni, la prima in Germania, la seconda in Svezia.
Ballerina, coreografa, nonché ex allieva di Pina Bausch, Cristiana Morganti ha presentato per la prima volta in Germania Jessica and me, assolo autobiografico in cui ripercorre la propria carriera confrontandosi con l'ingombrante eredità della maestra. «Per formazione e disciplina sono una danzatrice, ma dentro di me mi sono sempre sentita attrice. Da bambina ho cominciato con la danza classica anche se non ne ero pienamente convinta. L'universo del cinema, del teatro e della musica mi attirava molto più del mondo delle danzatrici diafane. Ho continuato perché mia madre era contenta e perché ero abbastanza dotata, ma il fatto di non potermi esprimere a parole era per me una sorta di mutilazione. Quando nel 1986 vidi Viktor di Pina Bausch compresi cosa avrei voluto fare. Pina era l'incrocio perfetto tra danza e parola. Con lei potevi esternare parlando ciò che non potevi esprimere danzando. Tuttavia nei suoi spettacoli le parti recitate erano sempre piuttosto esigue. Oggi mi rendo conto che la danza rappresenta il mio "habitat", mentre i momenti recitati sono la sfida più appassionante» racconta Morganti che con Jessica and me vuole e riesce ad affrancarsi dal riduttivo titolo di "ex danzatrice di Pina". «Credo di aver percorso un lungo tratto della strada verso l'autonomia artistica. L'ironia spiccatamente italiana, il contatto diretto con il pubblico e il ritratto umanizzato del danzatore sono elementi che plasmano il mio personale universo. D'altro canto sento di trovarmi ancora nella fase di ricerca, anche se oggi sono consapevole di quanto l'eredità di Pina, assunta inconsciamente e simbioticamente in quasi 20 anni di collaborazione al Tanztheater Wuppertal, non rappresenti un ostacolo, ma piuttosto un aiuto e un sostegno» conclude l'artista.
Ex danzatrice professionista, coreografa dagli anni '90 e fondatrice della compagnia ccap, Cristina Caprioli ha portato in scena la sua ultima produzione A line_up in cui riflette sul concetto di intrattenimento applicato alla danza contemporanea. Più vicino all'attivismo che a uno spettacolo negli intenti, A line_up si inscrive in un ampio progetto di ricerca sul senso della coreografia e sul suo ruolo nella complessa società moderna. «Il sistema capitalista ha snaturato il significato originale del termine "intrattenimento", pratica che per definizione implicherebbe un impegno intellettuale ed emotivo eccezionale, mentre oggi è associata a semplificazione e superficialità. Uno dei format più emblematici dell'industria dell'intrattenimento capitalista è il musical, genere che con A line_up ci proponiamo di decostruire dall'interno, prendendo le mosse da A Chorus Line, una delle produzioni più longeve di Broadway, e opponendoci alle sue logiche binarie, stereotipate e conservative» così Caprioli. Il risultato è una messa in scena in cui predominano le linee curve, storte, non convenzionali, in cui i ballerini sono costantemente fuori equilibrio o leggono (non recitano) in modo monotono biografie più o meno assurde. Caprioli spiega: «Si tratta di una danza che non riproduce i segni formali noti, ma che apre il corpo a una grafia diversa. Attraverso l'esperienza estetica provocata dal segno sconosciuto puntiamo a far scattare l'engagement necessario per la pratica dell'intrattenimento. Sfruttando l'etichetta mainstream del musical per portare in scena qualcosa di "inconcepibile", cerchiamo di proporre un'economia alternativa all'interno di quella esistente, non a margine della stessa. In altre parole il nostro obiettivo è entrare nel sistema per riconsiderarlo, esattamente come fece A Chorus Line negli anni '70, ma in direzione opposta».