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(RACCONTA UNA STORIA) - "APPUNTI DI SCUOLA" di Barbara De Marco

Appunti di Scuola
di Barbara De Marco
  
Rebecca disponeva pazientemente gli attrezzi del mestiere sul banco: smalto rosso, limetta, cotone, foglio a quadretti, pennarelli, evidenziatore, elastico per capelli. La luce della tarda mattinata entrando dalla finestra accanto a lei illuminava piacevolmente quei piccoli oggetti, rifrangendone i colori ovunque.
Non esisteva nient’altro.
Da molto lontano le arrivava la voce dell’insegnante di storia, il brusio dei compagni inquieti, il rumoreggiare di penne, matite, astucci. Nel suo piccolo mondo chiuso, sciarpone fino al mento per nascondere gli auricolari, stendeva meticolosamente lo smalto acceso sulle unghie consumate, la pelle mangiucchiata ai lati.
Pensava all’ultimo incontro con sua madre.
“Sai, mi risposo. Il mese prossimo… E’ tanto che te lo volevo dire…”  aveva annunciato, così, semplicemente, un pomeriggio a Firenze dove viveva ormai col suo compagno. Angelica, bionda e slanciata, ancora bellissima, si era separata dal marito tre anni prima, andandosene via da Trento, lontano, portandosi via Marta, la sorella maggiore di Rebecca. Lei era rimasta lì assieme al padre e soprattutto a due vecchi nonni un po’ rimbambiti che vivevano con lei. Il padre in realtà non lo aveva visto molto, ultimamente, tutto preso a costruire una casa nuova dove, diceva, sarebbero andati a vivere tutti insieme, lui, lei e l’altra. Già, perché c’era sempre un’altra, dietro o un altro.
La realtà era che lei era stata lasciata coi nonni, anni luce di distanza tra loro, un mondo di incomprensione.
“Insomma Rebecca, adesso basta! E togli tutte ‘ste cose dal banco!” strillò la prof di Tedesco, piombandole improvvisamente davanti e raccogliendo con foga tutti i suoi piccoli tesori.
“Cerca di seguire un po’, non puoi continuare così! Cosa dobbiamo fare con te?”
Ecco, di nuovo, la domanda che le facevano tutti.
Cosa si doveva fare con lei?
Ma a lei in realtà non importava, non sentiva niente di fronte ai continui rimproveri dei professori, di suo padre, dei nonni. Le scivolava tutto addosso, come l’acqua della doccia, niente.
“Ma guardi che stavo seguendo, eh!” replicò con voce volutamente stridula, “e poi non sono solo io, c’è un sacco di gente che chiacchiera là dietro”.
“Ma va là, almeno noi non scambiamo l’aula per uno studio di estetista!” la rimbeccò Giulia.
I soliti stronzi, tanto non capiscono niente, non vale neanche la pena di ribattere, pensò Rebecca. E’ sempre la stessa storia, ce l’hanno tutti con me.
E ora questa di sua madre.
Una doccia fredda. Sapeva che sarebbe successo prima o poi, ma si era sentita lo stesso come se le avessero dato un pugno nello stomaco, quel pomeriggio a Firenze. 
Ma tanto cosa cambiava in realtà, pensava Rebecca mentre soppesava tra le mani il flaconcino di tranquillanti che aveva trovato quella sera, quasi per caso, nell’armadietto della nonna. La sua vita faceva già schifo prima, andava tutto a rotoli e le sembrava che nulla valesse la pena. Le sigarette, ecco, qualche bevuta con gli amici; era tutto lì in fondo, concluse mentre osservava quel mucchietto di pastiglie che spiccavano candide sul palmo della sua mano.
Tutto il resto non contava.

Ultima modifica il Lunedì, 30 Marzo 2020 10:36
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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