La ventottesima edizione del festival “L’Arlecchino Errante”, un progetto della Scuola Sperimentale dell’Attore, si è tenuta a Pordenone dal 3 al 10 settembre. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Ferruccio Merisi.
“L’ “Arlecchino Errante” ha come sottotitolo “festa internazionale dei teatri instabili”; cosa sono per te i “teatri instabili”?
E’ una locuzione da cui spero traspaia un po’ di ironia. Sono instabili perché non sono Stabili. Intesi questi ultimi come quei macchinoni tanto benemeriti quanto ormai costituzionalmente impossibilitati a produrre un teatro veramente vivo. Il paradosso è che tra i punti deboli degli Stabili c’è il fatto che oggi raramente esprimono compagnie stabili; mentre tra i punti forti degli instabili c’è senz’altro quello di fare riferimento spessissimo a nuclei artistici oltremodo stabili...
Poi comunque “instabili”, nel nostro sottotitolo, contiene anche la trasformazione realistica del termine “inquieti”, che un sondaggio ci ha notificato come poco gradito al pubblico; e del termine “irrequieti”, più accettato ma che non suona bene con la parola Teatro. Tutti epiteti però che suonano bene invece vicino al nome di Arlecchino, l’eterno ragazzaccio Errante che abbiamo scelto come simbolo di una ricerca testarda e sempre affamata.
La “re-invenzione dell’Umano”, tema di questa edizione, a teatro passa anche per le nuove tecnologie? O quali sono, secondo te, in sintesi, le vie per questa re-invenzione?
Con “Reinventando l’Umano” non abbiamo voluto indicare un’urgenza né tantomeno rivendicare una prospettiva sociale o etica. Semplicemente abbiamo trovato questo comune denominatore negli spettacoli che ci hanno affascinato, al punto di invitarli per il pubblico e per la gente con cui vorremmo convivere sempre meglio. Tutti questi spettacoli sfondano, allargano o cambiano il concetto di umano a loro precedente. E occorre dire che questo benedetto “concetto di umano” non è un assioma articolato di cui qualche fede religiosa o qualche parte politica possa appropriarsi. E’ semplicemente il punto di vista che osserva la realtà (o, secondo Einstein, la crea). Alcuni artisti sono all’opera per reinventare il punto di vista. Credo che queste azioni producano sorprese e nuove visioni, nuove solidarietà, nuovi aspetti della realtà che viene osservata, o creata. Ogni strada è utile e affascinante. E quelle che abbiamo presentato noi non sono le uniche.
Quanto alle nuove tecnologie, certamente il teatro può interagire con esse, purché sulla base di una necessità teatrale, con tutto ciò che questo significa, e non di un banale e generico aggiornamento.
Teatro La Ribalta. Foito Franco Moret.
Come reagiscono gli spettatori di oggi, abituati come sono alla connessione pressoché continua alla rete con i propri dispositivi, alla pacifica invasione del teatro nelle vie e nelle piazze della propria città? Cosa si coglie di peculiare nelle loro reazioni?
Viviamo oggi quasi in uno strano rovesciamento. Percorriamo spesso le strade e le piazze nell’intervallo tra le azioni di connessione nel virtuale, o addirittura durante queste azioni. Così è lo spazio urbano a diventare pressoché virtuale, mentre i dispositivi di connessione offrono una realtà aumentata e moltiplicata.
Con il teatro abbiamo offerto, con riscontri di gioioso gradimento, dei momenti di riconquista del senso di realtà a favore dello spazio urbano: condividere esperienze dal vivo, sentire le azioni dell’abitare come solide e fisiche, riassaporare la forza di gravità e la visione delle prospettive profonde, riconquistare il tempo della materia, diverso per ogni evento ...
Se devo azzardare una peculiarità, direi che, dopo i primi momenti dedicati al rito turistico-fotografico di consegnare frettolosamente la meraviglia di cui erano testimoni ad una improbabile memoria - o alla roulette della condivisione virtuale immediata- , mi è proprio sembrato che tutti gli spettatori si siano presto dimenticati del cellulare...
Franco Acquaviva