lunedì, 14 ottobre, 2024
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Dopo il debutto lo scorso anno “UNA TEMPESTA” replica per due giorni alla GORGONA, regia di Gianfranco Pedullà. -di Valeria Ottolenghi

“Una Tempesta”, regia di Gianfranco Pedullà “Una Tempesta”, regia di Gianfranco Pedullà

Dopo il debutto lo scorso anno “Una tempesta” replica per due giorni alla Gorgona
Una recensione/presentazione per lo spettacolo dei detenuti, regia di Gianfranco Pedullà
7 e 8 settembre: un’esperienza da non perdere in dialogo con Shakespeare

“Una Tempesta”
con: Valerio Andreucci, Daniele Bergero, Piero Bergero, Marius Chiriac, Calogero Delia, Pietro Figus, Isuf Fisti, Zef Ndreca, Paolo Ottino, Emilio Tropea
e con Chiara Migliorini, Anita Donzellotti, Emilio Bartolotta, Bruno Bellillo, Jezim Kukka, Bruno Biondillo, Filippo Ronga,
drammaturgia e regia: Gianfranco Pedullà,
musiche: Francesco Giorgi
scenografie: Giovanna Mastantuoni,
costumi: Veronica Di Pietrantonio
disegno luci: Gianni Pollini
in collaborazione con la Casa di reclusione di Gorgona
con il sostegno della Regione Toscana

Non c’è da meravigliarsi se nel comunicato stampa del Teatro Popolare d’Arte si legge “a grande richiesta” per le repliche di “Una tempesta” alla Gorgona, 7 e 8 settembre: spettacolo visto lo scorso anno al debutto è rimasto impresso alla memoria a lungo, amatissimo come tutta “La trilogia del Mare”, i primi due eventi dedicati rispettivamente alla figura di Ulisse e ai grandi miti che ancora sanno affascinare, maestro guida Gianfranco Pedullà, capace di stimolare e saper ascoltare, realizzando insieme, in gruppo, soluzioni di grande fascino. Una teatralità forte, semplice, immediata, che però attinge a un profondo sapere, anche storico: recente la pubblicazione del vasto, fondamentale saggio dedicato a Silvio d’Amico. E’ quindi questa una recensione – di “Una tempesta”, vista lo scorso anno – e una presentazione/ invito per andare alla Gorgona a incontrare un’opera straordinaria per i sentieri dell’isola, partendo e tornando al mare, con i protagonisti che trasmettono sempre una speciale gioia, anche nei passaggi drammatici, che nasce dalla consapevolezza del ruolo, del gruppo, dall’autostima singolare e plurale, frutto di un appassionante impegno laboratoriale. Tutta la “Trilogia del mare” – progetto sostenuto dalla Regione Toscana che da venti anni promuove, unico in Italia, attività di teatro in carcere diffuse nel proprio territorio, attualmente in dodici istituti di pena – possiede queste magiche caratteristiche, ma “Una tempesta” pare una sorta di meta, merito anche del profondo dialogo con Shakespeare, i tanti significati visibili e nascosti. Pedullà sottolinea come, tra tante congiure, Prospero – condannato a morire con la sua bambina dal fratello che voleva tutto il potere solo per sé – ristabilisca una giustizia riparatrice, senza vendetta, E nella bellissima isola di Gorgona, lo stesso Prospero detenuto lì, questo pare assumere un valore particolare, echi che rimbalzano tra i pensieri. 

All’isola di Gorgona, 7 e 8 settembre. Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

gorgona Una Tempesta Botticelli

E’ il palcoscenico l’isola di Prospero. Si avverte sempre un soffio di malinconia a questo pensiero: “La tempesta” è l’ultima opera teatrale di Shakespeare, e quell’addio agli incantesimi, la richiesta rivolta al pubblico perché il protagonista, capace di favolose magie, venga sciolto da ogni legame, anche lui in qualche modo perdonato, appaiono insieme di Prospero e del suo autore. Un addio alle scene. Nel capolavoro visto alla Gorgona, “Una tempesta”, terzo episodio della straordinaria trilogia “Teatro del mare”, ideazione di Gianfranco Pedullà, maestro guida e regista, in scena gli attori e i musicisti della Casa di reclusione dell’isola, il palcoscenico diviene, in una felice capriola, la mente stessa di Prospero, dando quasi consistenza a quelle parole fin troppo usate, noi tutti “della materia di cui son fatti i sogni”: il mondo del pensiero, la terra delimitata dal mare, comunque confine, lo spazio dove recitare, essere altro da sé, divengono un tutt’uno, sempre più condiviso, anche dagli stessi spettatori, che ascoltano, come immaginazione di Prospero/ Shakespeare, invenzione drammaturgica, anche alcune delle ultime battute degli altri protagonisti, proprio quando gli spiriti vanno ormai dissolvendosi “nell’aria sottile”.

Già: un sogno? Come credere davvero al pentimento? Quando e dove e come viene dichiarato? Tante le congiure: quella delle origini, con Antonio che condanna a morte il fratello Prospero, duca di Milano, e la piccola figlia Miranda, per esercitare in autonomia tutto il potere; quella istigata da Antonio perché Sebastiano compia la stessa scelta, uccida il fratello Alonso per diventare lui re di Napoli; quella comico grottesca di Calibano con Stefano e Trinculo per impossessarsi dell’isola.  Ecco allora il pensiero di Prospero: bisogna trovare un giusto finale “per questa favola”. Intanto: la pazzia. I quattro che si ritrovano insieme, gorgiera e qualche corona, tutti la spada, Alonso, Sebastiano, Antonio “e il buon Gonzalo”, utopista confuso, sembrano smarrirsi, perdere il senno. Lì Prospero decide d’incontrarli, “contro il furore al fianco della ragione”. Perdonati! Molti abbracci. Gonzalo turbato: “se  ciò è essere o non essere dire io non saprei”. Pensieri registrati di Prospero, così anche per Ferdinando e per Miranda che trova così  bella tutta quella umanità, “splendido mondo nuovo!”. Anche Calibano sembra  allora capire. Ma sia pure solo visione immaginata da Prospero/  Shakespeare alla ricerca del lieto fine, sembra proprio vero il sentimento di libertà di Ariel. Meglio, degli Arieli, un gruppo che si muove coordinato, bravissima Chiara Migliorni nell’esserne parte e guida.

Davvero un lieto fine? Pedullà (bisogna dunque aggiungere anche lui tra i creatori/ artefici?) rinuncia ai pensieri di morte di Prospero. Si sentiva così Shakespeare senza il teatro, con il ritirarsi dalle scene, “un pensiero su tre / sarà per la mia tomba”? Il personaggio di Prospero della Gorgona indossa un costume di grande bellezza e pensiero, con elementi di rete e molteplici strisce di stoffa di tanti colori a evocare indefinite figure arcaiche, sciamani di mondi perduti. Nel momento del saluto, nel punto più distante del molo, lasciato cadere il mantello, figura stilizzata, ricorda l’isola che sta per abbandonare, lui comunque esule, straniero. E anche se gli Arieli e Caliban l’avevano sentito come loro padrone, Prospero riconosce di aver solo assorbito voci e suoni di quella terra magica, affinità complesse come tra scena e attori, macchinisti, registi, tutti coloro che operano per creare nuovi mondi. Ma: era ora di andare. “Rinuncio a questa rozza magia”. Spezza la bacchetta magica e la butta nel mare “più profondo”. Sì, la favola dev’essere bella: di fronte, sulla spiaggia, tra ampi teli colorati, si stanno svolgendo le nozze tra Ferdinando e Miranda, uniti i regni, illusione di pace futura. E si può fingere di non ricordare che Shakespeare vedeva dietro ogni corona lotte di conquista, la quiete solo breve tempo di passaggio. Quando, chi, dove la prossima congiura? Ma è tempo di festa, di balli, di gioia collettiva, tutti insieme, attori - bravissimi, una densa, limpida coralità - e spettatori, in una speciale corrente di commossa, esaltante partecipazione. 

gorgona Una tempesta Botticelli

In “Ulisse o i colori della mente”, prima tappa di questa trilogia, altre isole e altri ritorni, il protagonista è al suo approdo solo un mendicante nella sua casa, ancora Nessuno, “La mia vita è un labirinto…Quando vedo la via d’uscita inciampo e ritorno indietro”: inquietudini di chi resta e non sa del domani, ancora il mare la grande attrazione. Con “Metamorfosi” il mondo si fa ancora più instabile, tutto in perenne trasformazione, immaginando Ovidio esule, povero Prospero senza bacchetta magica, il mare come confine di prigionia: ogni cosa può diventare  altro, lui sempre lì. I primi due spettacoli della Gorgona quasi un’immersione nella cultura shakespeariana che per molte vie deve aver influenzato quella “Tempesta” d’addio tra concreta realtà esistenziale, il carcere, l’attesa per partire, e gl’infiniti strati simbolici, metafore di pensiero e d’emozione, l’isola  paesaggio dell’anima, nella letteratura, nel cinema, stimolo per immaginare avventure, svelamenti della natura umana, visioni d’utopie (già: il buon Gonzago!).

Gli echi dei significati possibili - così  come per la tempesta e l’acqua - sono presenza discreta nello spettacolo, lasciando piuttosto spazio, respiro, a una condizione concreta e universale. Ma c’è la musica! Allora tutto si fa fluente, la fascinazione ambigua, legata all’incanto delle magie degli Arieli, molteplici i suoni, quello del mare innanzi tutto, vero e finto, agli altoparlanti nel scendere a riva, nell’ascolto naturale, quando, nelle prime scene, Prospero padre racconta a Miranda (Anita Donzellotti) la loro storia, e quando, al termine, Miranda sposa Ferdinando e quella bacchetta del potere teatrale, immaginifico, viene fatta cadere tra le onde. Lo spettacolo possiede una sua circolarità: nasce dal mare e lì ritorna. Ed è Caliban - che alla Gorgona suona la batteria, le parole così scandite - a ricordare come l’isola sia piena di rumori, “suoni e dolci arie/  che danno piacere e non fanno male”. Ancora una volta eccellente il lavoro di Francesco Giorgi che ha curato le musiche, rendendo protagonisti gli stessi detenuti, collaborazione di Pamela Cerchi

gorgona una tempesta Botticelli

Accenti diversi, ma in più passaggi si coglie l’influenza di Eduardo, la sua “Tempesta”, una lunga battaglia per la traduzione, le voci, le sonorità, anche per lui esperienza di vita, similmente a Peter Brook, viaggio nella conoscenza, per gli interpreti ma anche per gli spettatori. Ritornano le gorgiere, le spade come segni di un altro tempo, le reazioni forti tra i personaggi, anche tra Prospero e Caliban, che ricorda come fosse sua l’isola, le gentilezze ricevute, avendo però lui tentato poi di stuprare Miranda. Prospero colonizzatore così tradito!? Un’isola abitata da tanti Calibani come lui! Nello spazio del teatro, una zona piana dove si svolge tutta la parte centrale dello spettacolo, si utilizzano diverse pedane, si alternano i dialoghi - e si odono canti. “Tutto procede come previsto, gentile spirito, due giorni ancora e ti libererò per questo”. Ma quanto, quanto può sembrare lungo quel tempo ai tanti Arieli dell’isola?

Molte le parti comiche, con lo sperduto Gonzalo (quante cose abolirebbe! Macolando parole, ma forse anche desideri per chi è privato della libertà personale, “ogni abbondanza per nutrire il mio popolo innocente…”), ma  si ride soprattutto con Stefano e Trinculo. Sono gli Arieli a sorvegliare il gruppo di naufraghi che, in quel mondo a parte, poco sapendo del loro destino, continuano comunque a pensare al potere. E’ la tarantella a trattenere le azioni, “All’erta, all’erta!”. Per  Calibano c’è invece il ritornello, “Bano Bano, Calibano”. Le azioni scorrono veloci. Il testo shakespeariano è mantenuto nei suoi passaggi essenziali. Tutti gli interpreti concentrati, sereni nei loro ruoli, consapevoli di ogni battuta. 

Infine libero Ariel. Dove? In quell’isola di suoni insieme a Caliban? Teatro nel teatro con la scoperta dei costumi. E ormai la scena è proprio la mente di Prospero. Tutto si dissolverà nell’aria, “le torri  ricoperte di nuvole, i palazzi sontuosi, i templi solenni…” E’ ormai tempo del “giusto finale”. Prospero rinuncia alla vendetta. Teli colorati vengono stesi sulla riva del mare dinnanzi agli sposi. E’ musica la libertà degli Arieli. Colmi di entusiasmo e di commozione gli applausi, caldi, ripetuti. Davvero un’esperienza: indimenticabile. Resta nell’acqua a galleggiare quella simbolica zattera…

Valeria  Ottolenghi

Ultima modifica il Giovedì, 29 Agosto 2024 07:54

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