Perfetto incontro con “Tovaglia a quadri” al Castello di Sorci/ Anghiari
Commedia ilare, divertente, ma ad alta densità di pensiero. In scena gli abitanti del paese
“Mattimonio”, prova di matrimonio con follia, ricordando Adalgisa Conti, Basaglia e la 180
XXIX edizione di “Tovaglia a quadri”
Anghiari, Castello di Sorci
“Mattimonio”
Drammaturgia di Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini
Regia di Andrea Merendelli
Interpreti: Stefania Bolletti, Samuele Boncompagni, Elisa Cenni, Giulio Detti, Pierluigi Domini, Andrea Finzi, Sergio Fiorini, Rossano Ghignoni, Flavia Gramaccioni, Giovanna Guariniello, Fabrizio Mariotti, Miranda Neri, Fabrizio Scartoni, Giulio Serafini, Katia Talozzi
Oggetti di scena e costumi di Svetlana Mikova
Consigli musicali di Mario Guiducci
Tovaglia a Quadri 2024 è una produzione dell’Associazione Culturale Compagnia Teatro Stabile di Anghiari ed è realizzata con il supporto di Regione Toscana, Provincia di Arezzo, Unione Montana dei Comuni della Valtiberina Toscana, Comune di Anghiari, Residenze Artistiche Toscane, Rete Teatrale Aretina, Associazione Pro Anghiari e con il contributo di Busatti, Baldi Group, Biokyma, Caffè River, Coingas, Piccini Paolo, Vimer.
“Mattimonio” è inserito nel programma degli eventi previsti da Normali Mai, progetto sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Si ringrazia: Rocchini Cerimonia Uomo e la Cooperativa L’Albero e La Rua.
La più completa, ricca esperienza dell’estate. Con la chiara risoluzione di non voler mancare più ai prossimi appuntamenti di “Tovaglia a quadri”, di cui certo si sapeva, ma in tempi di molte coincidenze (in particolare l’impegno in giuria di Ermo Colle), Anghiari non così facile da raggiungere. O forse c’era un fondo nascosto di pregiudizio? l’idea di uno spettacolo nel chiassoso chiacchiericcio della tavola creava diffidenza? Ben si ricorda il dispiacere per gli allestimenti lasciati scorrere così, neppure si fosse davanti a uno schermo, durante la pur amata pastasciutta antifascista a Casa Cervi. Chissà! Grave però arrivare all’incontro quando la “Tovaglia a quadri” è arrivata alla ben XXIX edizione! Inevitabile mettere in luce le affinità con Monticchiello: anche qui si lavora tutto l’anno, in scena gli abitanti del paese, rielaborato ogni volta drammaturgicamente un tema che sta a cuore alle persone del territorio ma che sempre sa acquistare un carattere universale, in termini politici ed emotivi, in un tutt’uno.
Ci sono però notevoli differenze da Monticchiello. Intanto: la cena non crea disturbo, ogni portata inserita nella narrazione. Il servizio ai tavoli velocissimo, anche chi porta crostini e bringoli in qualche modo “nella parte”, alcuni con veri interventi nella narrazione. La recitazione non è frontale ma si distribuisce nello spazio, tra i tavoli, ogni sera centottanta commensali. Una decina le repliche ogni estate - e ogni volta lunga è la lista d’attesa di chi vuole partecipare. L’impegno particolarmente complesso: il pubblico vicino, distribuito in ampiezza ai lati. La coralità una felice conquista, anche attraverso battute che corrono da un punto all’altro dello spazio, diverse le apparizioni anche in verticale, con interventi dalle finestre del Castello di Sorci. Inizialmente la “Tovaglia a quadri” trovava spazio all’interno di Anghiari, ma con il covid e il desiderio di maggiore libertà (non c’è problema per l’orario di chiusura per esempio) si è rivelata eccellente la soluzione del bel castello di Sorci, isolato, distante pochi minuti in auto. “Mattimonio” il titolo dello spettacolo 2024, che condensa matrimonio e matto - e in effetti ci si trova alle prove di uno sposalizio e si parla di follia, anche perché la futura sposa, considerata un po’ strana, evoca una figura che il paese ricorda, l’Adalgisa Conti. Uno spettacolo a più livelli di difficile definizione, capace di far convivere comicità e denuncia, memoria tragica e farsa, riflessione sociologica e coraggio nelle scelte individuali - e tutto in perfetto equilibrio.
A cosa si potrebbe pensare con questi ingredienti?: durante la prova di un matrimonio si scopre che una giovane donna, Flavia, detta “la contessina”, futura sposa di Pierluigi, già madre di una ragazzina, Miranda, non è in verità l’erede del conte (e del castello, dove pure Flavia vive); che i genitori dello sposo, lei donna Germana particolarmente opprimente con il figlio, vedono di buon grado queste nozze immaginando Flavia ereditiera; che Flavia, figura affascinante, che ama fare il bagno nuda nel fiume, ha mostrato sempre delle fragilità; che Miranda è proprio figlia di Pierluigi o forse no, perché c’era anche Don Samuele, a quel tempo non ancora sacerdote, comunque forse ancora ora innamorato di Flavia, quel ferragosto di qualche anno prima a fare il bagno nel fiume…come conseguenza la nascita di Miranda…Non solo: ci sono i genitori “adottivi” di Flavia, Katia e Fabrizio, che hanno anche una figlia vera, Elisa, avvocato, che con Giovanna, giardiniera e fioraia, mette il luce, con statistiche e battute folgoranti, i mali che derivano dal matrimonio, molte le colpe degli uomini… E con finale in allegria: Pierluigi avverte come aria vitale Flavia, non importa se giudicata donna troppo “libera”, al diavolo quella madre che vorrebbe continuare ad accudirlo come un bambino. Si riprendano i confetti e stiano lontani dal loro amore. Escono quindi in letizia Flavia, Pierluigi e Miranda. E: viva la vita!
Sì: sembra un vaudeville con un tale intreccio, tanti personaggi, molte occasioni per ridere, segreti rivelati che riguardano infedeltà, genitori incerti, avidità, un meccanismo perfetto, abile, elegante, una commedia a intreccio, di sapiente costruzione, battute brevi, sfumature caricaturali, il ritmo rapido, incalzante. Ma tutto cambia se si mette invece in evidenza, in quello stesso spettacolo, l’ampio spazio, denso, problematico, dedicato alla vita nei manicomi, al ruolo fondamentale di Basaglia, all’importanza della legge 180, avendo come nucleo essenziale di riferimento una storia vera, quella di Adalgisa Conti che, fidanzata per sei anni con Probo, dopo un anno di matrimonio viene fatta rinchiudere dal marito come pazza, solo perché ribelle, indomabile. Tutto questo nella stratificazione data dalla concretezza dell’esperienza del territorio, Anghiari, dove Basaglia tornava spesso: era proprio lì quando, arrivata la notizia dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini, suo amico, aveva dettato, carico d’angoscia, l’articolo per il Corriere.
Ebbene sì: Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini hanno compiuto l’impresa, apparentemente impossibile, di fondere meravigliosamente, con rigore e ritmi perfetti, la commedia futile, scherzosa, ironica, divertente, bello sentire scorrere le risate tra il pubblico, con la profondità di tante tematiche che collegano passato e presente: ora sì non è più possibile far rinchiudere la moglie, la compagna, in manicomio se proclama la propria autonomia, ma non è sintomo estremo della stessa volontà di dominio l’uccisione di tante donne proprio in questi nostri anni? E quanto vasta è la prepotenza invisibile che sta prima e intorno? Facilmente potrebbe rischiare Flavia se Pierluigi non sentisse per sé il piacere della libertà di lei, la sua fresca indipendenza carica anche di sensualità, lei così aperta al mondo, l’opposto della madre, donna Germana così fastidiosa, possessiva, asfissiante.
Ma per “Tovaglia a quadri” i valori vanno ben oltre l’eccellenza drammaturgica, con la sintesi di “Mattimonio”: c’è la recitazione corale, le battute sempre brevi, anche nei passaggi più tesi, coinvolgenti, la capacità di mantenere i ruoli per voci, posture, sguardi e un senso di consapevolezza collettiva che, gioia per gli interpreti, conquista per ogni singolo interprete e per il gruppo, si trasmette felicemente al pubblico. E in tavola cena toscana naturalmente, sei portate, tra cui lo stracotto di chinina al Chianti, torsolo e cantucci con vinsanto del contadino e caffè d’orzo al rum. A tenere viva l’attenzione, una sorta d’imbonitore con qualche tic (si pettina di frequente i radi capelli), c’è Sergiò, maître e wedding planner: perché qualsiasi cosa accada, tra discussioni, dubbi, gelosie, litigi, lui ha ben chiara la finalità della serata, avere tutto pronto per la cerimonia, che avrebbe dovuto aver luogo la settimana seguente. Per questo ci sono lì anche due manichini uomo/ donna, uno specchio da atelier e una coppia di sarti, i fratelli Sartini, uno strepitoso duo comico: uno taglia e l’altro cuce, sempre seri e concentrati, un po’ come Groucho con Dylan Dog. Anche durante il tempo dedicato al cibo, alle pause (che tali propriamente non sono mai), loro prendono le misure, usano ago e filo al tavolo con vecchia Singer (o Necchi?).
Tra gli aiutanti per il buon esito della cerimonia ci vuole naturalmente anche la giardiniera, qui Giovanna, figura strepitosa che con leggerezza rende metafora ogni vegetale (“la gramigna maschio è infestante e subdola…controlla tutto e domina”), una delizia l’alleanza con Elisa, avvocato, figlia di Katia (ostessa) e Fabrizio (ex infermiere al manicomio di Arezzo, la sua aggressività - mai fisica - denunciata come “malattia professionale”): è davvero necessario trovare uno sposo per essere felici? Ruoli ben definiti, per marito e moglie, quelli tra Donna Germana e il geometra, detto Matone, i genitori di Pierluigi, futuro sposo, tirchi entrambi, ma con i soldi, già pronti a restaurare quel castello che forse già sentono un po’ loro - e da dove appaiono a tratti Fabrizio, “padre a metà”, e Flavia, che entrerà “in scena”, tra i tavoli, a spettacolo avviato da tempo, una visione folgorante, una presenza teatrale forte, intensa, bella la solidarietà con la figlia Miranda che, cuffia in testa ad ascoltare musica, apparentemente distratta, sa cogliere molte verità, anche che il prete, Don Samuele, sembra ancora innamorato della sua mamma…
Per Flavia si parla di cure mediche e ha delle cicatrici alle braccia, “ogni sbaglio un taglio”, ma anche gli spilli che inghiottono casualmente prima uno e poi l’altro dei fratelli Sartini acquistano valore simbolico: qualcosa davvero difficile da deglutire, “da mandare giù”. E’ affascinante Flavia, un potere d’incanto di cui è consapevole, ma con una sorta d’innocenza. Anche Giulio, uno dei camerieri, ne è sedotto - e cercherà di rendere impossibile il matrimonio. Lei una “mattarella”. E’ Fabrizio a ricordare l’inferno manicomiale, con Giovanna che sa come “muoiano dentro” i fiori di quei giardini, come al Paolo Pini “dove sfioriva la rosa di Alda Merini”. Gli argomenti scivolano l’uno sull’altro. Davvero dovrebbe sposarsi Elisa, che ha tra le mani gli incartamenti di un’infinità di divorzi? “Appassire insieme o separarsi…”: perché, ricorda la mitica Giovanna, l’innamoramento ha un arco biologico davvero breve…
Con l’arrivo di Don Samuele crescono le occasioni di risate veloci, aforismi inaspettati, sotto certi aspetti il doppio di Giovanna, scettici, sfiduciati entrambi. “Sposarsi oggi è da matti, se ve lo dice il prete… tremenda una vita in due con quel ‘per sempre’ sul groppone…Semplici le separazioni? Dobbiamo rendere difficilissimi i matrimoni!” Ma è sempre Flavia, anche quando canta o lascia sporgere i piedi alla finestra, a far nascere nuovi pensieri, lei consapevole della propria divergenza. Citando non a caso una lettera dell’Adalgisa, “Io sono la peggiore di tutte. Per colpa mia perché non sono sottomessa e umile a cedere ai suoi voleri…”, verso cui si sente profondamente solidale: dove c’era il manicomio ora c’è l’università, avesse potuto studiare…Ma qui il racconto diventa comune, ciascuno qualche battuta per tratteggiare la figura di questa giovane donna rinchiusa tra le sbarre per lunghi decenni, fino alla morte, 1983, a 96 anni.
“Una sessualità misteriosa…l’ultima strega, superstizioni…semplicemente una donna libera”. Sembrano a tratti come sovrapporsi l’immagine di Flavia e di Adalgisa. Miranda confessa che più volte si è vergognata per sua madre, ma che per lei va bene così…E per Pierluigi? Ma arriva Giuly con la fisarmonica - e uno dei Sartini tira fuori la chitarra: si canta, insieme, a gruppi distanti. “Bringoli al sugo finto!” E scende allora, finalmente, inquietante, Flavia, lo sguardo seduttivo e limpido. Si porta dentro un turbamento che le provoca pena e sfrontatezza, cita il Serenase, che muta la persona, sottrae il desiderio di cantare e ballare…Era stata lei a chiedere il TSV, il Trattamento Sanitario Volontario…Era nata sbagliata? Ma cita Probo…ancora un’identificazione con l’Adalgisa? Il marito era morto con l’esplosione alla caserma dei carabinieri, insieme ai due figli avuti da un’altra donna, 18 agosto 1944, una bomba lasciata lì dai tedeschi.
E Miranda sa a memoria i versi di Alda Merini, la poetessa preferita dalla mamma e che scrive di Adalgisa Conti “fatta ricoverare in circostanze analoghe alle mie”. Don Samuele da bambino voleva sposare Flavia: presto così accadrà, anche se lui in altro ruolo. Tossisce la contessina: “ognuno ha i suoi spilli”. Si ricorda Basaglia: i manicomi “crimini in tempo di pace”. Del resto ognuno ha le proprie angosce più o meno represse, vari i segni esterni, visibili, Elisa è ossessionata dalle doppie punte, il parroco si morde la mano…Già: “Da vicino nessuno è normale”, c’è una rassegna teatrale a Milano con questo titolo, e proprio all’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. Ma Giulio non si vuole arrendere, cerca di provocare Pierluigi perché s’ingelosisca, lui però sa quanto sia importante Flavia: “ogni volta che mi sento mancare la guardo, l’ascolto e la sua poetica è ossigeno. Con lei ho capito che il cuore non è un algoritmo”
Grande, grandissimo teatro, colto e popolare, commedia divertente con nodi di problemi autentici, un ritmo perfetto, ottima la cena, una commovente coralità, tutti bravi, affiatati, una carica di energia per gli spettatori: perché così accade dopo uno spettacolo di assoluto pregio come “Mattimonio”, ci si sente meglio, con nuove forze e la voglia di applaudire ancora e ancora, tanti i “bravi!” dal pubblico.
Valeria Ottolenghi