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PIRANDELLO, FOLLE ENRICO IV. -di Pierluigi Pietricola

Mario Mattia Giorgetti Mario Mattia Giorgetti

Volendo fare un volo pindarico ignorando pagine e pagine di studi, perché non chiedersi: di Hölderlin e la sua follia cosa è trasmigrato nell’Enrico IV di Pirandello?
Domanda difficile da eludere, soprattutto dopo aver la lettura del testo di Yannis Hott, Pirandello, Folle Enrico IV.
Partendo dalla celebre pièce del drammaturgo siciliano, in un alternarsi continuo fra teatro e metateatro – in ciò recuperando e modernizzando la lezione pirandelliana – Hott giunge ad una conclusione che, di per sé, non conclude. Quale? Può formularsi così: in un mondo malato che si finge sano, conviene più esser folli senza nascondersi oppure far finta di nulla e proseguire in un’esistenza ipocrita come niente fosse, consapevoli che quest’ultima follia è più grave e patologica?
Interrogativo al quale un altro se ne aggiunge: chi è Enrico IV? Hott suppone sia lo stesso Pirandello, che mascherandosi dietro al suo personaggio ha avuto la possibilità di dire ciò che pensava senza timori.
È noto quanto Hott sia autore provocatorio, e volutamente. Ma la sua è una sfida alla logica comune mediata dall’arte, usata come osservatorio di privilegio e punto dal quale operare un sano distacco. Perché nulla è più foriero di confusione ed equivoci quanto avere la pretesa di emettere un giudizio nell’istante in cui si è prossimi ad un evento e sprovvisti di una prospettiva.
Hölderlin e Pirandello usarono la follia per distaccarsi e criticare il mondo cui appartenevano. Ma l’uno lo fece come cifra esistenziale, l’altro come escamotage artistico. Hott ha voluto colmare questo divario inscenando personaggio e attore, uomo e maschera; e mostrando come un pensiero, oltre le forme attraverso le quali si manifesta, ha comunque una sua efficacia.
E così, ripercorrendo la storia del protagonista pirandelliano fino alla sua decisione di vivere per sempre nella follia, Hott accusa l’attuale società di essere malata, perniciosa, velenosa. Meglio, molto meglio una sana alienazione, purché recitata con consapevolezza.
Ma cos’è follia secondo il nostro autore? Se ne desume quanto Heidegger in un suo saggio affermò: non pazzia, ma un altro modo e pur sempre sano di pensare, sebbene diverso da quello cui si è abituati.
Così facendo, l’opera di Pirandello è assurta a materiale mitico: storia vivente che conduce ad un livello di conoscenza che non è erudizione, ma materiale attraverso il quale giungere ad una consapevolezza altrimenti inattingibile.
Pirandello, Folle Enrico IV, nella bellissima, puntuale e suggestiva lettura che Mario Mattia Giorgetti ci ha offerto, è l’ennesima controprova del coraggio artistico di Hott e del suo modo di vivere coltivando la speranza – auguriamoci non vana – di poter cambiare l’ordine che il mondo è andato assumendo.
Perché la follia dell’Enrico IV pirandelliano non è soltanto una metafora di rivolta pacifica, ma un appello a far sì che l’individuo sviluppi un suo modo di comprendere, trascendendo quelle forme – per lo più neglette – che il mondo offre spacciandole per sane e ponderate.
Hott, così, ci insegna a dubitare senza rinunciare al piacere del gioco mentale: la follia, forma di intelligenza suprema che gli antichi ricercavano e che oggi andrebbe recuperata nella sua accezione originaria.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 10 Ottobre 2022 11:40

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