venerdì, 29 marzo, 2024
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Il Paradiso negli occhi di Riccardo. Il Teatro delle Albe conclude il viaggio nella Commedia di Dante. -di Nicola Arrigoni

Il Paradiso negli occhi di Riccardo. Foto Silvia Lelli Il Paradiso negli occhi di Riccardo. Foto Silvia Lelli

Distesi per terra, su tappeti circolari che assomigliano a pianeti, si osserva il cielo stellato, mentre Ermanna Montanari «canta», «recita», «dice», «danza» con la voce il XXXIII canto del Paradiso… E mentre il XXXIII trova corpo vocale in Montanari il cielo stellato si anima di luci e lo stupore della visione di Dante Alighieri si fa esperienza emotivamente coinvolgente che porta sul piano senziente ciò che si legge negli ultimi versi della Commedia: «A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amore che move il sole e l’altre stelle». Ci si sente infinitamente piccoli al cospetto della volta celeste e al tempo stesso parte di quel tutto che il viaggio oltremondano di Dante racconta con l’urgenza del poeta di ritrovare sé stesso e il suo stare nel mondo.

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E viene da pensare che questo sia il senso di quel verbo: trasumanar che ricorre in tutto il Paradiso delle Albe, ultimo tassello della chiamata dantesca che dal 2017 fino ad oggi, con una pausa dovuta alla pandemia, ha portato Marco Martinelli ed Ermanna Montanari a chiamare a raccolta i cittadini ravennati per costruire insieme alla città che ospita le spoglie di Dante Alighieri, il viaggio oltremondano, poetico, visionario della Commedia. Ed è il «Trasumanar significar per verba/ non si poria» che fa da pungolo, da sfida non solo all’azione poetica di Dante, ma anche all’azione teatrale di Martinelli/Montanari che ha visto la partecipazione di 600 cittadini, coinvolti dietro le quinte e in palcoscenico, protagonisti di un rito collettivo che come tale si fonda sulla ripetizione e sulla partecipazione, ma anche sulla necessità di aprirsi a un mondo altro, andare oltre, trasumanar, appunto. Andare oltre la natura umana, pur rimanendo umani. E dopotutto è quanto accade a Dante e quanto Martinelli e Montanari vanno con determinazione e convinzione perseguendo col teatro e nella loro storia di poeti della scena, una scena che s’invera nella città e la trascende, uno spazio che è mediato dal corpo e dalla voce dell’attore e sa essere luogo comune e di accoglienza dello spirito e dei corpi.
E allora è il senso della ‘ripetizione’ - che è proprio del rito - a dare il via all’ultimo capitolo del viaggio di Dante in Paradiso. Come accadde per l’Inferno e il Purgatorio, l’itinerario parte dalla tomba di Dante e si snoda in una salmodiante processione guidata da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari di bianco vestiti. Una costante nelle tre Cantiche realizzate dalle Albe, un modo per entrare coralmente in una dimensione altra, trasumanar il nostro status: da spettatori a pellegrini dello spirito. E non è poca cosa. Non è dunque un caso che fra suggestioni sonore e barchette di carta appese al balcone del palazzo Malagola, un chiaro riferimento al verso «O voi che siete in piccioletta barca», si arrivi davanti al cancello dei giardini e lì le due guide segnino ogni spettatore con tre cerchi ripetendo: «Tre giri di tre colori e una contenenza», ovvero la visione della Trinità. La loggetta Lombardesca è squillante nel bianco del marmo che fa da contrasto al rosso dei mattoni. Nelle nicchie ci sono cinque statue barocche alla maniera di Gian Lorenzo Bernini, al pian terreno i musicisti Vincenzo Core alla chitarra elettrica, Raffaele Marsicano al trombone, Giacomo Piermatti al contrabbasso, Gianni Trovalusci ai flauti e Andrea Veneri live electronics con la vocalist Mirella Mastronardi, impegnati a costruire ed eseguire il tappeto sonoro del viaggio paradisiaco, composto da Luigi Ceccarelli.

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I viaggiatori/pellegrini si siedono davanti alla loggia, a far loro da corona sono i cittadini della chiamata, bambini di bianco vestiti scorrazzano in bicicletta e ad un certo punto una bambina corre, traccia dei segni nell’aria, come se scrivesse su una lavagna invisibile chiedendo, attraverso i versi di Emily Dickinson, «Che cos’è il paradiso?», un interrogativo ricorrente in tutta la messinscena, un quesito che chiede di far spazio dentro di noi a un possibile Paradiso. Il mistero del vivere e del morire, il troppo amare o l’invito ad abitare le possibilità dell’esistenza sono i tasselli di una narrazione/visione che nel Paradiso delle Albe è una sequenza di tableaux vivants che rendono mobile e mai fiacco lo stare degli astanti. Così le statue della loggetta si animano e sono di volta in volta le anime con cui Dante parla, Piccarda Donati, Giustiniano, Cunizza Da Romano, San Tommaso, San Pier Damiani, San Pietro, agiti con ieratica espressività da Alessandro Argani, Camilla Berardi, Roberto Magnani, Laura Redaelli, Alessandro Renda, Salvatore Tringali.

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La drammaturgia del Paradiso è un mix di testo dantesco con innesti poetici da Emily Dickinson a Ezra Pound, ma anche a Papa Francesco con parole durissime sulla violenza del capitalismo, piuttosto che sulla necessità e sull’urgenza di ricostruire comunità. E fa strano trovarsi puntato un kalashnikov da parte di soldati che cercano di giustiziare Cacciaguida, interpretato da Luigi Dadina, che offre una sofferta intensità alla profezia dell’esilio, pronunciata dall’antenato di Dante. Poi irrompono i bambini che scacciano i soldati e Cacciaguida s’allontana. Come per l’Inferno e il Purgatorio, la forza delle Cantiche messe in scena da Martinelli e Montanari sta nella capacità di costruire situazioni in cui la parola poetica si sposa all’azione scenica, in cui la lingua dantesca diventa trampolino per una riflessione exratestuale che immette nell’oggi e nelle domande universali del senso dell’esistenza. Tutto ciò trova nel Paradiso una sua elegiaca e dolcissima potenza contemplativa e in azione che trascina dentro, che rende noi spett-attori, al pari di chi recita e di chi agisce, di quei cittadini/comunità che hanno accolto l’invito del Teatro delle Albe a mettersi in gioco. Così l’ingresso di un gruppo di cittadini con ceste piene di pane e la distribuzione eucaristica del «mangiare Dio» assume una particolare forza, una sua potenza non solo evocativa, ma anche di gusto, di introiezione della visione ultima, della volontà di ficcare lo sguardo nell’immagine dell’Uomo fatto Dio che è dentro di noi, che è consustanziale e può permetterci di trasumanar, di andare oltre la nostra natura umana per farci parte del tutto e per far sì che il tutto viva nell’uno. Ed è la divagazione di Marco Martinelli a fare sintesi e a farlo guardando alla lezione architettonica di due giganti dell’arte barocca Bernini e Borromini in perenne contesa. Bernini che usa come punto di vista l’occhio umano (frontale e ortogonale) e Borromini, invece, che nega l’ortogonalità e richiede allo spettatore una disponibilità totale, costringendolo ad alzare gli occhi al cielo. E alla fine ciò è quanto fa Teatro delle Albe, lo ha fatto chiedendo ai cittadini di partecipare al viaggio del loro concittadino Dante Alighieri, lo ha fatto invitando gli spettatori a diventare parte di quel viaggio. E allora anche il ritroso adolescente di 16anni, Riccardo non ha dubbi e all’invito di Marco Martinelli di sdraiarsi sul tappeto per farsi coccolare dalle stelle del cielo non oppone resistenza, offre il suo sguardo e si misura con l’infinito… Alla fine del XXXIII canto del Paradiso il commento è: «Papà, che emozione…». Ed è forse questo il paradiso: gli occhi che brillano di un ragazzo al cospetto con la bellezza del rito teatrale e della creatività, gli occhi che ridono in un trasumanar che sa di futuro e di salvezza.

Ultima modifica il Venerdì, 19 Agosto 2022 17:58

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