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INEDITO SCALDATI - Conversazione con LIVIA GIONFRIDA. -di Pierluigi Pietricola

"Inedito Scaldati", regia Livia Gionfrida "Inedito Scaldati", regia Livia Gionfrida

Aprirsi alle coincidenze per assaporare l’essenza della vita. Questo insegnava a riscoprire in noi Elémire Zolla in un libro bellissimo, Aure. I luoghi, i riti
Di coincidenze, difatti, si sta parlando. Nel 2013, quasi dieci anni fa, un grande poeta e drammaturgo disse addio al mondo: Franco Scaldati. Ma le sue creazioni, la sua poesia, ciò che d’importante resta - per citare Nicola Chiaromonte - dell’esistenza di un poeta: tutto questo è più che mai vivo e presente.
“Per me si tratta di un’occasione particolare - ci racconta Livia Gionfrida - perché l’ultimo spettacolo di Scaldati andò in scena proprio al Biondo di Palermo, e precisamente in Sala Strehler, dove fino al 3 aprile saremo noi”.
Inedito Scaldati: questo il titolo che Livia Gionfrida, attrice e artista di immenso spessore, ha voluto dare al suo spettacolo che intende riscoprire e rievocare la componente shakespeariana del grande poeta e drammaturgo siciliano.
Siamo in un condominio, in un quartiere squallido privo di bellezza, dove tutto è grigio, piattume, arida geometria, barbaro interesse. In questa parte di mondo vi abita lui: l’ultimo Poeta che, in attesa di raggiungere la luna, decide di tentare un esperimento: proiettare i suoi sogni sugli abitanti del palazzo: una lavascale, un giovane disabile, un muto e un topo.
Un amore, quello per Scaldati, nato - come ci rivela Livia Gionfrida - da un interesse in particolare: “La sua poesia. Sono più che mai convinta che di poesia abbiamo bisogno. Ma di poesia in senso particolare. Per spiegarmi meglio: di quella bellezza speciale nella quale ti ritrovi senza che te lo aspetti. Oggi assistiamo ad una perdita di potenza delle parole, ridotte ad uno stato miserevole, vuote di significato. Con questo spettacolo, partendo proprio da Scaldati, desidero ritrovare il potere della parola, quest’arte antica con cui si riusciva a guarire imperatori, principesse, pulci: tutti. Oggi come oggi l’abbiamo persa. E non a caso Scaldati diceva: c’è una grande gomma con cui stiamo cancellando le parole, le stelle, i fiumi. Penso che uno dei doveri dell’azione teatrale sia quello di fermare questo processo di decadenza. Come? Semplicemente recuperando il senso più vero e immediato del teatro: ritrovarsi, unirsi”. 

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Diceva Alberto Savinio, all’inizio di Alcesti di Samuele, il teatro è parola. D’accordo. Ma come conciliarla con ciò che per antonomasia tutti pensano essere l’essenza del teatro, l’azione? 
“Parole e azione vanno sempre di pari passo. Per agire abbiamo necessità di un’analisi interiore e di una comunità all’interno della quale questa analisi possa essere compiuta. Per far ciò, quale strumento usare se non le parole? E quale luogo migliore se non il teatro? Con la mia compagnia stiamo appunto lavorando per condividere con il pubblico un’esperienza che dalla parola porti, in modo spontaneo e inatteso quasi, all’azione”.

Poesia e rivoluzione, poesia e cambiamento: un connubio dunque imprescindibile?
“Sì. Perché penso che sia proprio nella poesia che la parola possa ritrovare il suo significato più profondo. L’esperienza poetica, se autentica, è un’immersione che l’uomo compie nella parte che più gli è ignota. E conoscere questa parte vuol dire mettersi sulla via del cambiamento”.

A questo punto una domanda è d’obbligo. Oggi come oggi, tutto ciò che è poetico - o artistico - è bandito come superfluo, discorsi per anime belle, ma nulla di più. Sentendo te, le cose non stanno così e non si può che essere d’accordo. Perché le parole hanno perso quell’importanza che invece dovrebbero avere?
Scaldati diceva: squadre di assassini braccano i poeti, li isolano anche dagli affetti per eliminarli. Con le parole avviene lo stesso. Individuare il colpevole è abbastanza facile. Per me è il tardo capitalismo. Questa livella crudele e spietata che ha annebbiato tutto, anche - purtroppo - il nostro spirito”.

Un messaggio forte, di grande e vivifica attualità. In tutto ciò come vivi il tuo rapporto col pubblico, soprattutto in anni difficili come questi ultimi?
“Indubbiamente abbiamo perso qualcosa che necessariamente dobbiamo ricostruire; ma questo va fatto insieme con il pubblico. Mi riferisco, nello specifico, proprio al rito teatrale. Ma bisogna farlo in modo diverso da come è avvenuto fino a qualche anno fa e da come si sta tentando di ripetere - con scarsi risultati secondo me - ancora adesso. Le dinamiche, specie quelle improntate al commercio, debbono cambiare. Più spazio alla ricerca, più coraggio nell’accogliere proposte in grado di rinnovare poetiche ormai stinte, note a tutti e che hanno fatto il loro tempo. Quello che sto facendo io con il mio laboratorio al Biondo di Palermo insieme a dei giovani va in tale direzione. Teatro, attore e pubblico debbono fare luogo insieme. Ecco perché i miei laboratori sono aperti. Mi piace lavorare in modo inclusivo”. 

Veniamo allo spettacolo col quale sei in scena in questi giorni.
Scaldati per me è sempre stata fonte di ispirazione. E ci tenevo che lo si conoscesse anche nei suoi aspetti poco noti. Non a caso ho deciso di intitolare lo spettacolo in modo un po’ provocatorio: Inedito Scaldati. Dopo aver portato in scena il suo Pinocchio, ho riflettuto sulla radice shakespeariana delle sue opere. E così ho cercato, frugato, rintracciato alcuni lavori tutt’ora ignoti. E poi, forte della collaborazione col braccio destro di Franco, Melino Imparato, ho preso in esame una sua messa in scena inedita”. 

Inedita in che senso?
“Inedita per i testi, ma anche per il tentativo di proporlo come non ci si potrebbe aspettare. Scaldati stesso desiderava essere tradito. Così per l’occasione mi sono inventata una storia nella quale ho immaginato un poeta per protagonista, che abita in un quartiere fantasma, e dove egli gioca a proiettare il suo Macbeth sugli abitanti del palazzo. 
Un teatro, quindi, che non è solo evocazione di fantasmi come nei Sei personaggi, ma dove i personaggi stessi si ribellano andando contro il loro creatore, rivendicando una vita propria. E anche questa fu una cifra tipica della poetica di Scaldati: essere divorato dalle sue creazioni”.

Uno spettacolo così, con questi propositi, non può che essere conosciuto in tutta Italia. Non può restare solo a Palermo.
“Chissà se andremo in tournée. Vedremo”. 

Chiacchierando con Livia Gionfrida, artista di grandissima sensibilità, sentendo e rimeditando le sue affermazioni, viene facile ripensare alla concezione teatrale di tipo brechtiano.
Oso espormi. Condivido con lei questo pensiero.
“Sì! Il mio è certamente un teatro politico, nel senso in cui lo intendeva proprio Bertolt Brecht. Occorre restituire alla parola politica quel significato ormai perduto. Io, come Scaldati, da artista, voglio diventare una spina nel fianco”. 

E spine nel fianco come Livia Gionfrida sono, oggi e sempre, più che mai preziose. 

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 28 Marzo 2022 09:27

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