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GRANDE SCHERMO: PAOLO TAVIANI, KENNETH BRANAGH. -di Angelo Pizzuto

"Assassinio sul Nilo". Regia  di Kenneth Branagh "Assassinio sul Nilo". Regia di Kenneth Branagh

“Leonora addio”
Regia di Paolo Taviani
Con Fabrizio Ferracane, Doria Becker, Claudio Bigagli, Matteo Pittirutti, Roberto Herlitzka
Prod. Italia 2022

Giunge dal Festival di Berlino il primo e sino ad ora l’unico film che Paolo Taviani realizza da solo dedicando alla memoria del fratello Vittorio, (scomparso lo scorso anno) questo colto, grumoso ritorno a certe radici pirandelliane della loro filmografia. Sin dai tempi di “Kaos” e “Tu ridi”. Film figurativamente impeccabile (nel suo uso del bianco e nero), ‘traboccante’ di cultura cinematografica sia nella documentazione iconografica (con citazioni da “Paisà”, “Il sole sorge ancora, “Estate violente” che significano il trascorrere del tempo post-bellico), sia nella virtuosa (ma non virtuosistica) ricostruzione di ambienti, atmosfere, personaggi di una certa Italia in orbace che si agita nel “post mortem” dell’ Agrigentino: avvenuta nel 1936, due anni dopo l’assegnazione dell’ “amaro Nobel”, e che poco risarciva “del tanto amaro ingoiato” in vita.
Come a suo tempo narrava Andrea Camilleri (fra sapidità e paradosso), l’urna che conteneva le ceneri dello scrittore avrebbe dovuto (per sua estrema volontà) essere disperse “ai quattro venti” nel mare antistante la sua casa natale (nella girgentina località del Kaos a strapiombo su un “Mediterraneo che è già Africa”). Adagiate invece (dopo ridicole burocrazie e paradossali peripezie) nella stessa località di Sicilia. In una sorta di masso-mausoleo dopo essere state spostate da Roma all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Venato da un composto ma ‘definitivo’ sentimento di caducità e mortalità (uniche compagne che si associano alla vita), sdrammatizzato da un senso di ‘cordoglio’ che ricusa il melodramma, “Leonora addio” (che trae il suo titolo da una della più intense, al femminile, “Novelle per un anno”) trova ‘slargo’ e sintesi drammaturgica in un incompiuto progetto dei Taviani. Spiazzando la visione verso un altro componimento della novellistica pirandelliana: la didattica proposizione, anzi la messinscena (come in “Cesare non deve morire”) del racconto “Il chiodo”, ove si narra di un assurdo delitto commesso (paradigma della banalità del Male?) da un ragazzo emigrato ‘nelle Americhe’ ai danni di una coetanea innocente.
Come a dire, e anticipando di alcuni decenni il sentimento “dell’assurdo” che, quasi mai, la fine di una vita, nel suo scorrere prosaico e dissacratorio, corrisponde a ciò che essa “avrebbe meritato”. Anelando un Nuovo Mondo disvelatosi –e tornando alle irruzioni del tragico-grottesco- anticamera di Inferi che promettevano emancipazione e riscatto. Sicchè: bene arrivarci in forma di cenere. In una narrazione di nuovo guizzante, con struttura da “matrioska” (uno strato dopo l’altro), che sembra tendere alla “astrazione di un teorema” esistenziale. Ineludibile.

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“Leonora addio” Regia di Paolo Taviani

"Assassinio sul Nilo"
Regia di Kenneth Branagh
Con Kenneth Branagh, Annette Bening, Armie Hammer, Gal Gadot, Letitia Wright
Prod. Usa 2021

Quanti e quali Hercule Poirot (che con Miss Marple compone il cosiddetto “universo”- Agatha Christie), andando a ritroso, ricordiamo in trasposizione filmica? Tutti di affrontati da attori sapidi e “consumati” senza alcun attardarsi in quel vago macchiettismo ad orologeria cui il personaggio, riduttivamente, invoglierebbe. Se, dovendo scegliere, il nostro favorito resta il meticoloso e un po’ grifagno Albert Finney di “Assassinio sull’Orient Express”, non memo divertenti (nell’etimologia di “trasportarti altrove”) emergono il Peter Ustinov, sardonico ed ex edonista adagiatosi ai piaceri della tavola; e il televisivo David Suchet, zelante, formalista, suscettibile in una serie televisiva che procede da circa dieci anni.

Spiazzante, non previsto giunge quindi uno dei maggiori eredi di Lawrence Olivier (e del teatro elisabettiano): che è l’eclettico e bulimico (di immagini) Kenneth Branagh, il più famoso nordirlandese in attività sceniche, abilissimo nel trascorrere dal cinema d’autore (è in arrivo un suo “Belfast”, bloccato dalla pandemia) a quello di “intrattenimento” e alto budget produttivo.

Intrigato nella narrazione ed ineccepibile nella sua location egiziana, “Assassinio sul Nilo” (già portato al cinema nel 1978, diretto da John Guillermin e interpretato da un cast di star ad alta parcella (oltre a Ustinov, Bette Davis, David Niven, Maggie Smith, Mia Farrow), “Assassinio sul Nilo” gode si dispiega in una sorta di narrazione intensa ma –azzzarderei- crepuscolare. Cui si perdonano alcune macchinosità o scarsa verosimiglianza (“cronometrica”) del plot narrativo che non è solo sfoggio di costumi, scenografie, fotografia spesso in penombra. Ma coscienza di quella dicotomia che spesso ‘inchioda’ la detection di Poirot: la potenza dell’
intuito e l’impotenza di ‘evitare’ che il misfatto si compia.

Noto, anzi arcinoto, agli estimatori della scrittrice, “Assassinio sul Nilo” (ambientato fra un lussuoso panfilo fluviale ed escursioni pericolose nella Valle dei Re) ha il solo ‘torto’ di basarsi su una vicenda d’amore e di morte conosciuta a menadito. Dalla quale affiorano i temi e le passioni sconvolgenti che Agatha Christie sa contrapporre al raziocinio pedante, alla ‘materia grigia’ (sempre in ebollizione) dell’investigatore belga.

Cui Branagh imprime, con forte registro naturalista, una personale brama di affermazione, coazione a ripetere, necessità di dimostrare a se stesso la qualità dei “talenti” posseduti. Specie quello umanitario. Facendo ammenda delle spericolatezze, degli equilibrismi fuori luogo, e antitetiche all’estetica claustrofobica del di quel film, che avevano pregiudicato quell’”Assassinio sull’Orient Express”. Che fu suo primo approccio all’opera della Christie.

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Marzo 2022 09:13

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