lunedì, 14 ottobre, 2024
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Nino D’Angelo? Ci ha già pensato! Se n’è già accorto! -di Valerio Manisi

Nino D'Angelo Nino D'Angelo

Sono passati i tempi del caschetto biondo. Meravigliosi, fortunati, esaltanti e intensi. Ma i tempi in cui identificare Nino D’angelo solamente per quell’innamorato caschetto napoletano, sono davvero passati. Oggi, e già da parecchi anni, il repertorio di Nino e divenuto immortale, senza tempo, e costantemente attuale. Da “Stella ’e matina” in poi, e parliamo già della fine degli anni ‘90, la svolta avuto dal maestro napoletano, è stata folgorante e decisiva. Le canzoni di Nino D’Angelo oggi, che mai andrebbe catalogato esclusivamente come “neomelodico”, sono tranquillamente accostabili alla produzione dei più grandi cantautori della cultura italiana.

A dimostrare tutto ciò, con l’stremo tentativo di essere sintetici, centinaia di brani che, oltre ad avere un forte impatto musicale, vantano quello drammaturgico, in una composizione di pensieri e parole, che restituiscono all’uditore un concentrato di bellezza, poesia, significati e insegnamenti.
“Il poeta che non sa parlare” è il prossimo progetto che a breve varcherà, verso la ribalta, le quinte dei teatri e dei luoghi d’intrattenimento del mondo. Nino D’Angelo questo è davvero: un poeta, uno scrittore, un’intellettuale della società, detentore di quella prestigiosa “laurea ad honorem” conferitegliela da chi ha perso contro la fortuna, contro i vincitori, contro i “caporali” che diceva Totò, ma che ha vinto al fianco della vita e delle sue dignità.
Quello che oggi la società vive e ha vissuto, combatte e rivendica, spesso Nino D’Angelo, con impressionante lungimiranza, l’ha già raccontato. Arriviamo tardi, signori! Nino ci ha già pensato! Se n’è già accorto! Ha già denunciato, ha già “detto”, nonostante pare l’abbia fatto appena ieri. Nell’differenza dell’élite intellettuale che analizza stereotipi, e che ha gli occhi ancora coperti da un caschetto biondo che s’è schiarito ed è diventato maturo. Dimostrato da capolavori come “Terranera”, “‘O schiavo e ‘o rre”, “Il ragù con la guerra”; o in brani come “Italia bella”, “Jesce sole”, “Jammo ja’”, “’A muntagna è caduta”, “Brava gente”, “‘A storia ‘e nisciuno”, “Vulimm’ ‘o posto”, “Terroni dance”, con precise tematiche politiche e sociali insieme, trattate con l’eleganza, la delicatezza e la sapienza di un grande autore, troppo (ma davvero troppo) poco ascoltato, poco rivalutato. Nonostante i suoi milioni di fans che lo amano e lo difendono gelosamente, ad ogni costo. A volte anche quando realmente non serve.
In tutto questo, mai ha smesso di parlare di vita, amore, famiglia, amicizia, miracoli, speranze e bellezza. Come in “Sto ‘nmano a te”, “’A canzone ‘e Tonino”, “Suonno”, “Napule e ‘a vita mia”, “‘O pate”, e ancora “Capellone”, “Senza giacca e cravatta”, “’E carezze ‘e mare”, fino alla più recente “Sona e canta”, dedicata a tutti quei ragazzi “condannati a non cambiare” da una società che ha soffocato le loro ambizioni. Senza mai abbandonare la sua terra, le sue radici, il suo napoletano. Esattamente come De André volle ad un certo punto rimarcare e imporre alla discografia italiana il suo genovese con la meravigliosa opera “Crêuza de mä”. Ed è solo con il napoletano, che traduce il sincero linguaggio del cuore, che lui (e lui solamente), riesce oggi a dialogare con la vita, con la musica e con la speranza, facendocelo avvertire fino in fondo all’anima.
L’assenza delle sue opere nelle radio nazionali è mancanza di denuncia, di testimonianza, di ricerca e di quella voce narratrice che da Napoli, unanimemente all’insegnamento di un’eterna società, riecheggia nel mondo così come sono stati capaci di fare prima di lui i De Filippo, Di Giacomo, Viviani o Bruni; oppure, oltre Napoli, De André, Tenco, Dalla e tanti altri.
Egli è un Ciak d'oro e David di Donatello come Miglior musicista; con lui ha voluto suonare Billy Preston, e tutta la sua discografia la volle il mito Miles Davis. È attore di teatro, testimone dell’arte di Viviani e maschera della napoletanità nel cinema. Non sa che farsene del “Campanilismo”, come ancora Viviani raccontava. Nino D’angelo è andato oltre. E ce lo dimostrerà ancora una volta in questo nuovo “Il poeta che non sa parlare”, che oltre ad un live rappresenterà anche un nuovo libro, a conferma di quanto non è stato ancora detto da chi dovrebbe.
“Italia Bella. Italia ca nun va'! L'Italia cu troppe stelle senza nu varietà. L'Italia 'e l'artista, che vanno a protesta', e ‘rrecchie d'e disonesti, nun sentono verità”.
La fortuna che abbiamo oggi è quella di poter vivere, toccare e dialogare con un cantautore contemporaneo che è capace di rendere poesia e musica quello che spesso i media camuffano come cronaca. E così come ci affascina la musica d’altre lingue, allo stesso modo rende quella di Nino D’angelo. Ad occhi chiusi, nel cuore e nella mente di chi spera.
Possiamo ritenerci consapevolmente fortunati, perché Nino è al nostro fianco, e … seppur oggi lui così si vuol far identificare, convincetevene: non è affatto vero che non sa parlare! Lo sa fare, lo sa fare! Eccome se lo sa fare! Accipicchia!

Valerio Manisi

Ultima modifica il Martedì, 21 Luglio 2020 10:42

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