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"Theatre on a Line" di Cuocolo/Bosetti, con Roberta Bosetti, via telefono fino al 7 giugno. -di Nicola Arrigoni

Roberta Bosetti Roberta Bosetti

Theatre on a Line di Cuocolo/Bosetti, con Roberta Bosetti,
produzione Cuocolo/Bosetti, Teatro della Tosse di Genova, Teatro di Dioniso di Torino,
via telefono fino al 7 giugno.
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Stasera si va a teatro… Ehhh… Ma se i teatri sono chiusi fino a data da destinarsi, a causa dell’emergenza Covid-19? Eppure l’emozione è la stessa, o quasi. L’appuntamento è telefonico, fissato per le dieci di sera. Meglio abbigliarsi come si deve, giacca compresa. Se si va a teatro – almeno secondo un nostalgico rito borghese – bisogna essere vestiti in maniera acconcia, per rispetto del luogo. Così si dice in provincia, quando i teatri sono quelli con i palchetti e le poltroncine rosse. Nessun velluto, nessuna poltroncina, ma una sedia e una scrivania Ikea, tutto molto informale. Ma l’emozione è la stessa di quando attendi che si apra il sipario… tu… tu…tu… il telefono dà libero.
Preparazione prima di comporre il numero e affidarsi alla voce calda di Roberta Bosetti dall’altra parte della cornetta di Theatre on a line di Cuocolo/Bosetti, performance nata nel 2011 e riproposta dal Teatro della Tosse di Genova e dal Teatro di Dioniso di Torino. «Pronto. Ciao. Sei lì…. Io non riesco ad immaginare che faccia hai. Tu come mi immagini? Cosa vedi? Puoi descrivermelo?»: domande, fame di dialogo, silenzi impalpabili e una voce che pian piano si fa carne, persona che chiede all’immaginazione di chi sta dall’altra parte di mettersi in moto, di edificare visioni. E alla fine questo non è forse il teatro? Condividere l’immaginazione come afferma William Shakespeare nel prologo dell’Enrico V? La ricerca di dialogo, la conversazione, i silenzi che – drammaturgicamente – suggeriscono la possibilità dello spettatore al telefono di inserirsi sono i puntelli di una confessione intima, come intima sa essere una telefonata, di quelle di un tempo che non prevedevano l’opzione della videochiamata o la frenesia dei messaggi whatsapp.
«Parla con me. Parla con me, ti porterò al sicuro. Tu sei nell’unico posto nel quale non si entra in contatto col pubblico. Ormai è dappertutto. Qui verrai preservato. Parla con me» è l’invito che arriva dall’altra parte della cornetta. E improvvisamente il luogo privato – la casa – diventa spazio condiviso, pubblico. Pubblico è chi sta al telefono in Theatre on a line, in uno spazio privato, casa propria. All’inizio temi di intervenire e qualche domanda cade nel vuoto, poi si prende coraggio, fino al punto (un po’ sadico) di voler vedere quanto regga questa richiesta di partecipazione nelle maglie larghe o strette della drammaturgia. C’è anche modo di riflettere se quello a cui si sta partecipando e vivendo sia teatro, se lo sia anche senza la presenza fisica dell’attore, se possa esserlo anche accontentandosi o affidandosi esclusivamente alla voce dell’attore/attrice. Riflessioni e pensieri che non nascondo l’urgenza (questa, sì, attuale) di ripensare la semantica del teatro in tempo di Ciovid-19. Ma forse questa è una tendenza connaturata nell’agire teatrale, un agire che è parte stessa dell’esigenza dell’uomo di interrogarsi, di mettersi in gioco, anche sotto la minaccia del contagio o forse proprio perché sottoposto alla minaccia della peste. Poi accade qualcosa, accade che sorga la voglia di condividere il silenzio e la fame di conoscere cosa quell’altro che per lavoro fa finta di… abbia in realtà da dirci.
La sfida partecipante si tace, si tace non solo perché, forse, il racconto in sé non lascia più spazio, ma più probabilmente perché è tanta la voglia di affidarsi alla voce carnale e calda dell’attrice. C’è la casa come rifugio (rispecchiamento di finzione e realtà attuale), c’è il bisogno di dirsi, di svelarsi. In questa intimità claustrale è una via percorribile, forse, più di altre volte, più di quando era facile uscire, magari per andare a teatro. Il sogno di quella donna/bambina che esce nel mondo finisce con essere il nostro, fra voglia di libertà e paura, ricordi e voglia di immaginare un futuro… Tutto ciò è nel caloroso dirsi di Roberta Bosetti, meglio di quella donna che una sera di maggio alle 22 si è sentito la necessità di chiamare, magari anche solo per sentirsi un po’ meno soli. In un altro tempo avremmo detto applausi, qui è bastato abbassare la cornetta e applaudire col battito del cuore.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Giovedì, 04 Giugno 2020 09:22

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