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Creare spettatori visionari per migliorare il mondo. -di Nicola Arrigoni

Creare spettatori visionari per migliorare il mondo
di Nicola Arrigoni

Oggi lo spettatore contende il ruolo all'attore, il coinvolgimento del pubblico, la sua formazione vanno per la maggiore e non c'è manifestazione o festival che non siano tentati di affidare una parte della loro proposta a una riflessione sul pubblico e per il pubblico. Audience developement e audience engagement sono i due anglicismi che definiscono questa tensione. L'impressione è che in questo intreccio di ruoli, in questa necessità di interrogare e coinvolgere il pubblico ci sia un meccanismo più da audience che da reale necessità di riflettere sulla funzione del pubblico, ci sia una necessità di rincorrere quell'ansia partecipativa e di apparentamento comunitario che spopola grazie ai social; forse dimentichi che la condizione stessa del teatro è di per sé social e partecipativa, altrimenti non sarebbe teatro.
L'etimologia del termine spettatore non lascia ombra di dubbio. Il termine deriva dal verbo spectare che vuol dire stare a guardare, la desinenza -torem di spectatorem è la parte che definisce quello stare a vedere, la posizione di osservatore. A questa condizione di colui che guarda non si può disattendere, lo spettatore è partecipe nel momento in cui compartecipa a una visione, nel suo spazio e tempo. Se fa altro diventa altro, da spettatore si fa attore. Ma c'è un modo per considerare il punto di vista dello spettatore quello di una visione responsabile. Qual è la responsabilità dello spettatore che non sia un mero riguardante'. Sono interrogativi questi ricorrenti sulla scena- in quel teatro post-drammatico che ci vuole rubare anche la possibilità dell'illusione di credere vero il far finta del teatro -, ricorrenti in platea, quando organizzatori di festival, direttori di teatri (più raramente) cercano di fare del pubblico un interlocutore attento. Interrogativi ricorrenti anche negli spettacoli che chiedono la partecipazione attiva dello spettatore: spettacoli per uno o più spettatori. In questo scenario l'esperienza di Kilowatt Festival e del gruppo degli spettatori Visionari, ogni anno chiamati a selezionare spettacoli da portare al Festival di Sansepolcro. Ma nella condizione della visione c'è il rispetto del ruolo dello spettatore/pubblico e al tempo stesso c'è la voglia di invitare a partecipare a quel racconto che è il teatro, è la proposta di un festival capace di offrire visioni alternative alla realtà e a tratti anche alla quotidianità del linguaggio.

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Per questo per Lucia Franchi e Luca Ricci lo spettatore è un visionario, una convinzione che è anche il bel titolo del libro – pubblicato da Editoria & Spettacolo - in cui si racconta non solo dell'esperienza di Kilowatt Festival, ma anche dell'idea, del pensiero che ha portato a costruire una comunità cangiante di visionari e a far in modo con tutti i rischi connesse che le persone coinvolte inseriscano «l'arte nell'orizzonte delle loro pratiche più o meno giornaliere, anche a discapito di una certa purezza dell'approccio». Tutto ciò è ben definito dai due autori e direttori del festival di San Sepolcro: «Quello dei Visionari è un laboratorio di partecipazione democratica e orizzontale, in cui lo scambio di opinione sull'arte promuove l'impegno sociale verso una collettività. È un esperimento di cittadinanza attiva, come quando gli abitanti di un quartiere si riuniscono per decidere se e come vogliono investire delle economie per realizzare un'opera pubblica nella zona in cui vivono». Nel caso dell'idea e della prassi portata avanti da Ricci e Franchi non si tratta di risistemare un parco, di imbiancare delle aule scolastiche, ma di far propria la possibilità di vivere e condividere il teatro, l'arte e la cultura nella convinzione che «la bellezza e l'arte contribuiscono ad accrescere le competenze di un individuo; attraverso di esse le persone diventano più partecipi, e hanno maggiore incidenza sociale». Gli spettatori Visionari – una trentina e più di volontari che ogni anno accolgono l'invito della direzione artistica di Kilowatt Festival di visionare insieme e selezionare alcuni spettacoli da proporre al festival – sono un avamposto di una rinnovata «capacità di critica. (...) Se l'arte dimostra come ognuno possa conoscere, affinare e dunque esprimere il proprio punto di vista, tale autonomia di pensiero si estende a ogni sfera del vivere sociale, anche al rapporto tra individuo e potere».
Ciò che colpisce dell'idea degli spettatori Visionari prima e poi del volume di Luca Ricci e Lucia Franchi non è solo l'appassionante narrazione di una esperienza nata sul campo, costruita passo passo a Sansepolcro, ma è soprattutto il pensiero, l'elaborazione di una forte consapevolezza che muove i visionari e con loro lo staff del festival e la comunità di Sansepolcro: «L'arte nasce dalle esperienze, e il suo provocare emozioni ne costituisce l'essenza e il completamento». Tutto ciò nel non esaltante scenario che non è certo esaltante considerando un sondaggio sui consumi culturali dei cittadini Ue datato 2017 per cui nei precedenti dodici mesi il 38% non ha visitato monumenti o siti storici, il 49% non è entrato in musei o gallerie, il 56% non ha assistito a eventi culturali dal vivo, il 69% non si è recato in biblioteche e il 73% non ha visto un film culturale. Percentuali destinate a crescere nel caso dell'Italia. In tutto questo l'azione di Kilowatt e dei Visonari rischia di essere una goccia nel mare magnum dell'indifferenza, ma rappresenta comunque un segnale che fare qualcosa per crescere insieme nel segno della civitas e della communitas è possibile. Una battaglia per la civiltà, un'azione piccola che procede per contagio e che ostinatamente frequenta l'idea che l'esperienza dei Visionari non intenda sostituirsi agli artisti, né tantomeno ai direttori artistici, ma voglia essere un modo per l'idea di non essere all'altezza di raffrontarsi con l'arte. Per questo Lo spettatore è visionario di Franchi e Ricci non è solo il racconto di un progetto, di un pensiero volto a costruire una comunità intorno all'arte e allo spettacolo, ma si crede sia di più, è l'atto di fiducia nella capacità dei singoli di operare insieme, di avere una visione, di mettersi in gioco, incarnando alla fine quello che è il movimento essenziale dell'arte: «volgersi verso qualcuno e, guardarsi reciprocamente, scoprirsi all'altro e scoprire se stesso nell'altro, è riconoscersi e anche divergere, provando a guardare fuori di sè».
Lucia Franchi – Luca Ricci, Lo spettatore è un visionario, Editoria & Spettacolo, Spoleto, 2019, pp. 168, euro 15.

Ultima modifica il Domenica, 01 Dicembre 2019 18:45

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