martedì, 19 marzo, 2024
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In Exitu: "Misculin, fool basagliano"!!! Un ricordo di Nicola Arrigoni

Claudio Misculin Claudio Misculin

In Exitu: Misculin, fool basagliano!!!
Un ricordo di Nicola Arrigoni

«Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell'atto vivo, nell'azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se l'uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera! Come può il prigioniero arrivar fuori se non si caccia attraverso il muro? Per me la Balena Bianca è questo muro». Così si esprime il capitano Achab in Moby Dick di Melville. Quel muro e quella maschera da colpire erano per Claudio Misculin la maschera della follia, facendo breccia nel muro del teatro, questo per andare a scoprire sotto la maschera della follia l'autenticità della poersona. L'attore triestino è scomparso la notte del 20 settembre a soli 65 anni, personalità del teatro della vertigine, coltivato all'interno dell'esperienza di Franco Basaglia e di quel luogo del margine che fino a tre decenni fa era Trieste: confine fra mondi.
Dire di Claudio Misculin vuol dire raccontare della follia del teatro, vuol dire sbriciolare il muro delle convenzioni e del perbenismo e guardare in faccia la maschera, meglio il volto di quella pazzia che unita alla tecnica del teatro l'attore e regista leggeva come autentico atto creativo. Storico collaboratore di Franco Basaglia, Misculin fondò nel 1974, all'interno dell'ex ospedale psichiatrico di Trieste, la compagnia teatrale Accademia della Follia, una realtà destinata a moltiplicarsi in tante altre città, dove l'attore veniva chiamato a fare laboratori e a seminare il suo mestiere. E così si raccontava in alcune riflessioni regalate a chi scrive durante la lavorazione dello spettacolo Crucifige, rilettura della passione e morte di Cristo andata in scena a Cremona negli anni di attività dell'attore all'interno dell'ex ospedale psichiatrico: «Io sono un eccessivo e, anche se dai tempi delle eroine (nell'accezione di droghe) e dei cazzotti sono passati più di vent'anni, e soprattutto dopo questo ultimo corso di normalizzazione tenuto dalla Quintiliani e chiamato matrimonio, non posso più vendermi credibilmente come 'matto', la mia indole comunque, quella, innegabilmente, è: MATTO e/o meglio SQUILIBRATO. E dall'indole: la pratica che sedimenta esperienza, che per motivi didattici diventa metodo; ed infine per motivi commerciali si fa scientifico. Il metodo di lavoro delle Accademie, e scientifico, infatti, prevede l'eccesso come terreno su cui agganciare e stringere comunicazione con il malato». Questo faceva Misculin: attraverso il teatro far cadere le maschere dei benpensanti, del pietismo, sbattendo in faccia agli spettatori la follia come possibile, artistica, veridica visione altra di stare ed essere nel mondo. Per Claudio Misculin non era il teatro a far bene alla follia, ma bensì la follia a far bene al teatro. Per buona pace delle etichette dei teatri della diversità, del sociale e del margine. La condizione della pazzia era una condizione a cui – nella scena – veniva data possibilità espressiva, veniva data patente di 'normalità', seguendo l'assunto che 'nessuno da vicino è normale'.
Il coraggio di oltrepassare il limite non per stupire ma per mettersi alla prova per rischiare il tutto e per tutto facevano di Claudio Misculin un folle, un acrobata del teatro che non si risparmiava ed era sempre pronto, ogni sera, a provarsi senza rete. In questo senso Misculin rompeva il muro, smascherava lo sguardo pietoso sulla follia, per offrire la forza di quella pazzia che trasforma e crea, che mostra il vero nella sua più alta potenza poetica. Tutto questo si traduceva nella sua capacità di pedagogo e capocomico, nel coinvolgimento che sapeva regalare ai suoi mattattori che divenivano comunità di destino. Sulla scena diretta dall'interno da Misculin ognuno poteva essere libero di esprimere la propria diversità che spalancava mondi di poesia, di angoscia, di dolore. Quei mondi di umanità dolente e marginale avevano però la leggerezza conturbante della fabula e della comicità. Potente, irruente eppure dolce e disponibile, sapeva essere duro e amichevole al tempo stesso con i suoi ragazzi. La scena era per lui uno spazio in cui dimostrare la creatività insita nella follia. I laboratori con i matti cremonesi sfociarono – a metà anni Novanta – nella realizzazione del Crucifige, sacra rappresentazione, racconto della passione e morte di Cristo intervallato dalle testimonianze di quei matti umiliati e offesi dalla psichiatria e che si affidavano al teatro come una risurrezione possibile. Lo spettacolo è stato più volte riallestito e cambiato, nel segno di una drammaturgia modulare e di mestiere che faceva sì che scene di diversi spettacoli venissero di volta riproposte e riadattate a nuovi allestimenti, nel segno di un perdurare della poetica e un sano artigianato creativo. Anche questo era il teatro di Misculin un teatro che si ripeteva nel suo messaggio di dignità umana e di gesto folle che lo rendeva potente, spiazzante, comico e tragico al tempo stesso come è il ghigno della follia che sa essere terribile e dolce al tempo stesso.
Ma si sa il berretto a sonagli è di pochi, il suo suono è assordante ma al tempo stesso ha bisogno di un orecchio finissimo per essere apprezzato. Quel cappello a sonagli Misculin lo possedeva, era il sileno che dentro di sè nascondeva l'anima bella che il mondo dischiude. Addio al fool basagliano, cavallo pazzo del teatro delle utopie possibili.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2019 01:45

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