Altri addii
LA MORTE LUCIANO DE CRESCENZO
INGEGNO IRONICO-RINASCIMENTALE
di Angelo Pizuto
Se fosse razionalmente possibile aprire una petizione rivolta alla "commare secca" affinchè, almeno sino a tutto agosto, conceda armistizio alle "sventure della condizione umana" (e dell'artista, in particolare), sarei il primo firmatario. Invece è solo una futile chimera, mista alla rabbia dell'hybris, della "rivolta" dell'uomo contro "l'ottusità e la stupidità degli Dei".
Come non detto.
Autore (persona) amabilissima, di squisita ironia ed "antica, apotropaica" sapienza, lo scrittore partenopeo, nato nel 1928, avrebbe compiuto novantuno anni il prossimo 18 agosto, ma non "lo sapeva" poiché afflitto da una malattia incurabile e neuro-degenerativa.
Ingegno poliedrico, onnivoro, neo-rinascimentale, De Crescenzo (matematico, ingegnere, regista, cabarettista e affabulatore come natura lo fece) ha avuto però una vita intensa e ricca di soddisfazioni ("forse per venire fuori indenne dal fallimento del mio giovanile matrimonio", da cui ebbe l'unica e amatissima figliola Paola), con almeno due grandi passioni: la prima che lo portò -appena universitario- alla scuola di Renato Cacioppoli, quindi a lavorare alla Ibm "quando i computer erano grandi quanto due stanze"; la seconda, a fare lo scrittore, abbandonando il tanto mitizzato "lavoro sicuro" (vera roulette russa per chi è nato a Sud) a metà degli anni Settanta, probabilmente incitato dall'amico e sodale Renzo Arbore, scapestrato, intraprendente e "scanzonato" pugliese "quel tanto da bastare" (non a caso, anch'egli piantò in asso, poco dopo la laurea, l'improbabile carriera forense, fra Napoli e Foggia)
L'esordio di De Crescenzo avviene, nel 1977, con Così parlò Bellavista, pubblicato da Mondadori come tutta la sua opera a seguire. Sarà un romanzo destinato a diventare un bestseller e da cui sarà tratto anche un film omonimo, da lui diretto: nel libro fa la sua comparsa il personaggio (omonimo ed eponimo) del professor Bellavista, borghese senza spocchia e "vice portinaio" occasionale, che impartisce lezioni di vita (milanese comparato al partenopeo) all'ingegner De Crescenzo: irresistibile nel suo distinguere l'umanità fra "uomini d'amore" e "uomini di libertà" (e sarebbe un trattato di antropologia spiegarne la differenza)
Fin da subito, lo scrittore, alla vocazione di romanziere, affianca (con lodevole esito) quella di "divulgatore di filosofia": con opere quali i due volumi de La storia della filosofia greca (1983 e 1986), prima e dopo Socrate, che raggiungono il vasto pubblico, facendo dell'ex informatico (ironico, felpato, abilissimo nello sfottò elegante) uno degli autori più venduti in Italia e all'estero.
De Crescenzo, del resto (e a conti fatti) ha scritto, con entusiasmo e dedizione, una quarantina di opere, tradotte in 21 lingue e ha venduto oltre 14 milioni di copie nel mondo. Tra i suoi titoli più noti: Oi dialogoi (1985), Fosse 'a Madonna! (2012), Garibaldi era comunista (2013) e Stammi felice (2015).
Molto tempo prima dell'autobiografia Sono stato fortunato si era raccontato con divertito umorismo in Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo (1989), pur'esso rivelatosi un bestseller.
Lo scrittore è stato anche attore (memorabile nei panni di se stesso nel film di Renzo Arbore FF.SS. – Cioè: «...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?», 1983), regista (di Così parlò Bellavista, 1984, Il mistero di Bellavista, 1985, e altri) e sceneggiatore (fra tutti, Il pap'occhio, 1980).
Tornando alla carriera letteraria, con il volume Non parlare, baciami (2016), aveva poi trovato una peculiare sintonia con i "più giovani", un canale per parlare ai ragazzi di amore e filosofia con le frasi del libro condivise sui social o diventate hashtag.
Con l'ultimo lavoro, Napolitudine (2019) firmato con un altro partenopeo doc, Alessandro Siani, De Crescenzo, irresistibile istrione, inventa il modo (e un mondo), seduto al tavolino di un bar della Capitale, di catturare l'attenzioni di una scolaresca di bambini in gita. In quelle pagine, per raccontare il profondo rapporto con la città natale l'autore, che viveva Roma, scriveva: «A me Napoli manca sempre, persino quando ci torno ad abitare, ma per poco».
Più amore di così? Peraltro ricambiato e mai incrinatosi...