CYRANO DE BERGERAC di Franco Alfano al Metropolitan Opera di New York
Prima opera della stagione 2017-2018, Cyrano de Bergerac di Franco Alfano, composta dal 1933 al 1935, in scena al Metropolitan Opera di New York il 2 maggio 2017, è stata proposta come un sontuoso, bellissimo set cinematografico, animato da scene di massa coreografate da Thomas Baird, nella produzione diretta da Francesca Zambello, con le scene curatissime di Peter J. Davison, illuminate assai opportunamente da Natasha Katz e con i bellissimi costumi d'epoca ricreati da Anita Yavich.
Spettacolo tanto atteso e tanto pregnante a vedersi al primo impatto, che si sono levati dal pubblico applausi all'apertura del gran sipario giallo del Met.
Ma, al di là della produzione, del tutto degna del teatro newyorkese, dove era già stata messa in scena solo due volte, occorre sottolineare come Cyrano de Bergerac sia un'opera musicalmente molto ardua.
I pareri qualitativi sull'operato di Alfano sono discordi. L'illustre musicologo Guido M. Gatti sostenne che l'opera soffrisse di "Una scrittura vocale tortuosa e difficile". In effetti non si scherza, tra un influsso e un'altro di Debussy e degli impressionisti francesi, di Ravel, di Strauss e di Puccini, soprattutto pensando ad Alfano come produttore di "canto gridato", secondo i suoi detrattori, che non amarono mai la sua conclusione di Turandot.
Ma Franco Alfano, checché se ne discuta, era un gran musicista. Lo si potrebbe definire un "sinfonico descrittivo", ovvero un artista che non affonda nell'animo umano, ma che lo descrive minuziosamente, così come i paesaggi e le ambientazioni, in cui è maestro, nella sua scintillante Sakùntala. Quindi, le notazioni negative non possono riguardare la qualità della sua musica: anche in questa opera, nata col canto in francese, non c'è nulla lasciato al caso, non una sfumatura fuori posto, né un'incongruenza stilistica nell'arco dell'intera partitura. Un finissimo esteta della concertazione, oltre che dell'orchestrazione, Franco Alfano. Dunque, se l'insieme può apparire a tratti non solo dissonante ma anche poco gradevole, si stia certi che il risultato è assolutamente voluto, studiato addirittura.
Però, in effetti, quanto a complicazioni armoniche e melodiche, in Cyrano de Bergerac si cammina sul filo del rasoio e, fin dall'ingresso del protagonista in scena al primo atto, si delinea un tracciato canoro e orchestrale di improba difficoltà.
Sul podio a New York il M° Marco Armiliato; in scena, protagonista nel ruolo del titolo, il tenore Roberto Alagna.
Non un duello alla Cyrano, tra i due celebri musicisti, ma un'intesa ammirevole. Il Maestro Armiliato ha mostrato di sapere il fatto suo fin dalle prime battute, ben conoscendo il modo di governare la grande orchestra del Met, tenendola bassa quando occorresse, perché in effetti, la notazione stilistica di Alfano è comunque quella quella di far risaltare il canto sulla musica in molti punti dell'opera.
Nella ballata d'ingresso di Cyrano, innanzitutto. E qui si è iniziato ad ascoltare il protagonista, ma anche a guardarlo, perché canto ed azione scenica in quest'opera si fondono intimamente.
Quel che Roberto Alagna ha dimostrato all'ingresso in scena è stata la grande dimestichezza col saper cantare in rapido movimento durante l'azione da spadaccino e, soprattutto, con sul naso la protesi che il personaggio gli impone.
Per via del naso di Cyrano, il tenore ha dovuto emettere e modulare i suoni in maniera diversa dal solito, assoggettandosi volentieri, con grande padronanza del proprio strumento vocale, al trucco che gli ha imposto di utilizzare diversamente il naso rispetto alla norma nella tecnica del canto. Se fosse stato un tenore che canta "col naso" non ne sarebbe venuto fuori. Ma Alagna utilizza a proprio piacimento i risuonatori che la Natura gli ha donato e quindi ha saputo evitare l'"effetto molletta" con cui tutti i tenori che affrontano questo ruolo devono fare i conti; e, soprattutto cantando al Met, ha saputo valutare, nel cambio d'emissione, anche la portata della proiezione che una sala come quella richiede. Senza fare una grinza, Alagna ha cantato con sul viso un trucco cinematografico, curato dagli ottimi truccatori del Met, al quale si è sottoposto per giorni di prove, tra calchi e impronte, per ottenere l'effetto estetico e funzionale migliore possibile.
Al culmine di una carriera sfolgorante, il celebre tenore ha realizzato oggi al Metropolitan Opera un progetto studiato da anni, concretato "in assaggio" a Montpellier nel 2003, voluto e perseguito con la caparbia consapevolezza di essere, per ragioni umane e caratteriali oltre che vocali, l'interprete "ideale" per questa parte. Questa esecuzione al Met, inoltre, ha messo in atto le modifiche allora da lui apportate per quella messa in scena, insieme ai fratelli David e Frédérico, alla partitura originale che era stata arbitrariamente rimaneggiata, ripristinando tagli ed acuti, in una versione dei "Fratelli Alagna" riconosciuta dalla Ricordi.
Dunque, già al primo atto, la voce di Alagna si è imposta come decisa protagonista, supportata dalla brillantezza dei suoni orchestrali ed ha sfoggiato tutta la propria natura francese, culminata nella finezza dell'accento musicale di quel famoso "Je touche!" che tanto ha reso celebri i duelli dell'eroe di Rostand.
E, se lo stile compositivo di Alfano è asciutto ed il canto è di estrema difficoltà, tra il gran clangore degli ottoni e i gravi profondi degli archi, quel che si è notato immediatamente è come nell'opera non vi sia un solo accento di serenità e tutto parli in funzione dell'anima di Cyrano. Alfano ha saputo descrivere in musica la profonda angoscia esistenziale del protagonista e l'ha espansa all'intera opera, estendendo tale stato d'animo a tutti gli altri personaggi.
Tutto, quindi, è filtrato attraverso il punto di vista di Cyrano; e Cyrano non è sereno: mai. Dà segni d'inquietudine in ogni momento dell'opera e Alagna ha saputo cogliere in pieno anche questo aspetto fondamentale.
Neanche negli echi popolareschi nella rosticceria all'inizio del secondo atto si è rilevato qualcosa di realmente sorridente e la scena della lettera è stata interpretata dal tenore franco-siciliano con grande spirito di suggestione, su una musica che è arduo definire "bella" secondo i canoni correnti, ma in cui gli accenti del protagonista, come il suo modulare quei ripetuti "Ah" nel successivo duetto con Roxane sono stati declinati con mille sfumature d'espressione.
Magnifica la Roxane della statunitense Jennifer Rowley, voce limpidissima, squillante, di grande proiezione, d'intensa resa emotiva ed anche scenica.
Quest'opera, quindi, ha un particolarissimo filo conduttore, in cui la dolcezza, anche nell'amore, trova assai poco posto: tutto è molto intimistico, legato ad un sottile filo d'angoscia delegato sopratutto alla vocalità del protagonista. Roberto Alagna, quindi, ha voluto sottolineare il lato spavaldo del personaggio, ma ha premuto l'acceleratore sull'introspezione psicologica, che Alfano gli ha offerto non risolta e l'ha risolta con le proprie risorse.
La difficoltà del suo canto, senza un attimo di concessione alla melodia orecchiabile, oltretutto, pretende estrema perizia. Non esiste nel testo che qualche assonanza, non c'è alcuna rima: una prosa pregevole di Henry Caïn da Edmond Rostand, che messa in musica può diventare una trappola mortale per gli interpreti. Ma Alagna è sembrato cantare in trance, immedesimato nel personaggio come non mai, forse ancor più di come appare nei propri sentitissimi don Josè o Canio, dalla potenza caratteriale simile. Un Cyrano aspro, disincantato, più maturo rispetto a quello ascoltato e visto a Montpellier.
Una profonda rabbia, inoltre, ha covato all'interno della sua interpretazione. La rabbia impotente di chi sia nobile e voglia esserlo, al di là di qualsiasi egoismo, ma con la consapevolezza terrificante della totale assenza di speranza. Dunque una profonda aderenza d'interpretazione rispetto allo spirito compositivo di Alfano, che fa del suo Cyrano più un eroe del sacrificio d'amore che della nobiltà d'animo.
Aspro, violento, terribile, il Cyrano di Alagna è diventato un gigante, mosso dalle frustrazioni indicibili che la Natura gli ha inflitto, donandogli, insieme al naso deforme, anche un animo nobile ed un'intelligenza piena di talento e di rara profondità.
La consapevolezza della propria superiorità frustrata ha trovato nell'interpretazione del celebre tenore accenti che hanno preso il sopravvento perfino sull'amore per Roxane, sovrastando tutto e tutti e facendo diventare Cyrano quasi un eroe tragico da teatro greco. Il personaggio è stato da lui amato, studiato, introiettato al punto tale da creare una fusione impressionante tra finzione e realtà. Afflitto, rabbioso, generoso e ferito a morte fin dall'inizio, il suo Cyrano s'immola con una nobiltà che è intrisa anche di una volontà crudele di autodistruzione.
Ma è ben nota anche la perizia scenica dell'Alagna, che ha strappato perfino risate al pubblico durante l'inizio della scena del balcone: pure gran prova d'attore, anche in questo specifico momento, insieme al giovane tenore brasiliano Atalla Ayan nella parte di Christian, che ha qualche assonanza con la vocalità del collega, ma una pasta più scura e meno squillante.
La scena del balcone è stata il culmine qualitativo dell'intera rappresentazione. Splendida l'orchestra diretta dal M° Armiliato, sotto il canto del protagonista, in un crescendo emotivo tutto trasmesso allo spettatore, fino alle lacrime. E' il cuore di Cyrano che ha cantato nel dire un "ti amo" disperato e crudele a chi non si sarebbe mai potuto raggiungere. L'emozione "del" e "nel" canto è stata tracimante, in un flash di verismo alfaniano, ma in un'astrazione interpretativa lunare di Roberto Alagna, lì dove la luna del Cyrano di Rostand non viene mai evocata.
Anche lo splendore sonoro degli acuti della Rowley, Roxane, convinta di dialogare con Christian, sono stati sottolineati dalla splendida orchestrazione di Alfano ed il "Monte!" imperioso e dolente di Cyrano a Christian, ripetuto, reiterato, concluso con l'aggiunta di quell'"animal" dal tono umanissimo di quasi invidioso rimprovero, ha fatto sì che il pubblico non riuscisse più a trattenere gli applausi, coprendo le battute finali del secondo atto.
All'inizio del terzo atto, l'orchestra ha sottolineato sotto il canto di Cyrano i suoni della Natura, riportando alla mente quella Sakùntala a cui si accenava, dai suoni pittorici e "futuristi" più che "impressionisti", considerata da molti il capolavoro del musicista.
Di rilievo anche il coro vocalizzato dei cadetti di Guascogna: preludio alla battaglia e ottima prova specifica del Coro del Met, magnificamente diretto da Donald Palumbo durante tutto l'arco dell'opera.
Al terzo atto, prima dell'arrivo di Roxane, il canto di Roberto Alagna ha virato verso un'oscurità profonda. Non era "canto italiano", non era "canto francese". Chi scrive non è d'accordo con chi ha rilevato come Alfano avesse alleggerito apposta la tessitura dell'opera per de-francesizzarla. Qui non c'era né Italia né Francia, c'erano Alfano e gli interpreti, in un terzo atto di grande portata scenica complessiva, spettacolare come un film, in cui il la Rowley ha strappato applausi a scena aperta.
Dopo i momenti orchestrali epici sulla battaglia alla fine del terzo atto, si è giunti ai pii accenti all'inizio del quarto, con lontani accenni di serenità: non c'è pace neanche nel chiostro, solo una calma apparente, dettata dalla consuetudine alla preghiera ed alla penitenza. Così come nell'intera opera non c'è mai sentore di pace.
Soave il coro delle suore, con un'orchestra che si è piegata ai toni sommessi e con uno oboe espressivo che ha fatto compagnia a Roxane, insieme all'arpa ed agli archi: il quarto atto sarebbe stato tutto da ascoltare ad occhi chiusi, se non si fosse rischiato di perdersi un'azione scenica da manuale.
Anche in questo finale celeberrimo, Roberto Alagna non ha lasciato nulla al sentimento di dolcezza: disincantato, ma non mai rassegnato, più che mai vocalmente oscuro, Cyrano ha dato inizio alla propria gazzetta da moribondo.
Da qui la tragica conclusione, in un crescendo d'emozione sonora e scenica. Dizione, fraseggio, pronuncia erano perfetti: tutto il francese di Alagna, il "suo" francese era lì, quasi parlato. Un bel clarinetto si è dispiegato sotto la lettura della lettera e da lì gli archi si sono poi aperti agli acuti della disperazione mortale del protagonista ed al guizzo estremo d'orgoglio per il suo "panache".
Splendido il finale anche da parte della Rowley Roxane, degli altri personaggi e dell'orchestra: un unico brivido ininerrotto che ha scosso gli spettatori e li fatti poi esplodere in un'ovazione finale interminabile, assolutamente meritata da tutti gli interpreti.
Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic