«Ora bisognerà capire come fare in modo che questi ragazzi lavorino. Bisognerà operare affinché questa esperienza di alta formazione si concretizzi in una opportunità professionale», sono le riflessioni a voce alta di Pietro Valenti, direttore di Fondazione Emilia Romagna Teatro a metà percorso della maratona dei Santa Estasi. Atridi: otto ritratti di famiglia, il lavoro di fine corso della scuola di alta formazione per attori di Ert, condotto da Antonio Latella. In merito si veda l'intervista al regista pubblicata su www.sipario.it. Riferire di Santa Estasi chiama in causa il contesto: la visione di filata degli otto spettacoli, la riflessione sulla scrittura drammaturgica e registica (estetica), la consapevolezza che Santa Estasi è l'atto finale, il rito 'celebrativo', l'approdo di un viaggio e di un percorso formativo che ha visto coinvolti sedici attori, selezionati su oltre 500 candidature, sette giovani drammaturghi per un totale di sedici settimane di lavoro (formazione). Per questo non ci si può fermare all'analisi estetica, ma si chiama in causa anche l'etica e la politica. E dopotutto Santa Estasi è stato ed è – verrà infatti riproposto con ogni probabilità l'autunno prossimo all'interno di Vie, sempre a Modena – un progetto/spettacolo che ha avuto la forza di interrogare la comunità teatrale. Ha mostrato che è possibile fare politica e poetica insieme, ha acceso l'attenzione della città – Modena – su un percorso che ha visto il Teatro delle Passioni come laboratorio di una permanenza dell'arte che fa pensare che un'alternativa al mero consumo culturale sia possibile.
Estetica – Dire di Santa Estasi è dire di un'esperienza da spettatori, ma dire anche della volontà di Antonio Latella di andare alle origini del teatro, di rifondarne il senso, o meglio di ribadire come il senso di fare teatro oggi stia nella volontà di regalarci un'altra realtà, semplicemente un altro punto di vista, la possibilità di sentire che uno sguardo differente sul mondo è possibile, magari affacciandosi sull'abisso. Ed in fondo è quello che ha fatto Antonio Latella nel chiedere ai sette drammaturghi: Riccardo Baudinio, Marina Folena, Matteo Luoni, Camilla Mattiuzzo, Francesca Merli, Silvia Rigon e Pablo Solari di riscrivere e in fondo riflettere col pensiero agito dello stare in scena sulla vicenda degli Atridi, su otto ritratti di famiglia, una famiglia in cui la genitorialità, il peso di essere figli, l'errare nel senso del ritornare da Troia e dell'inciampare lungo il cammino sono un tutt'uno di un vivere travolto dal fato, raccontato ora con rabbia, ora con disperazione, ora con un senso di impotenza, ora con bruciante violenza. Gli eroi della saga degli Atridi sono uomini che errano, vagano e sbagliano, eroi proprio perché si prendono la responsabilità dei loro errori, perché sbagliando indicano la strada a noi mortali. Una tavola, una serie di divani, degli specchi, una parte di scenografia del Servitore di due padroni, un forno, delle stoviglie fanno da elementi scenici ad un interno/esterno che si costruisce con i corpi e l'agire lo spazio dei sedici attori: Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco, Christian La Rosa, Leonardo Lidi, Alexis Aliosha Massine, Barbara Mattavelli, Gianpaolo Pasqualino, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Emanuele Turetta, Isacco Venturini, Ilaria Matilde Vigna, Giuliana Vigogna.
La tragedia classica diviene storia familiare e il faticoso ed esaltante susseguirsi della saga degli Atridi accentua – anche nella stanchezza dello sguardo dello spettatore – questo senso di appartenenza a un mondo altro, il sentirsi coro di una storia fatta di madri e padri, di figli sacrificati e di genitori ammazzati, di incesti e violenze, di castità negate e sangue che scorre per una pace impossibile, per una felicità definitivamente perduta o semplicemente sempre da conquistare. Santa Estasi ribadisce la condizione dello 'stare fuori' a cui invita l'intera operazione, una condizione di separatezza che accomuna attori e spettatori, partecipi entrambi di tempi e spazi annullati in un presente eterno del qui e ora della scena affacciata sull'eternità del mito. Ed è questa la sensazione che regala la lunga maratona di Latella, un'immersione in una dimensione altra e alta che il regista partecipa con assoluto impegno e grande intelligenza. La fisicità e l''essere presenti a loro stessi e ai loro personaggi' degli attori della scuola di Ert sono ampiamente ripagati dalla voglia di fare, di inventare e dall'intelligenza registica e attoriale di Latella che regala a ogni tassello dei ritratti di famiglia il suo guizzo di genio, la sua citazione, il suo pensiero sul teatro. Si spazia dal coro di Elena in cui il lavoro su voce e ritmo è sublime, alle citazioni della grande lezione registica di Massimo Castri con quel cavallo giocattolo che racconta del Castri ammaliato dalla favola e che nella favola andava a cercare il rimosso del nostro vivere quotidiano. Non è un caso che Latella abbia dedicato il lavoro al regista toscano, anche in ricordo di quando per Castri Latella vestiva i panni di Pilade nell'Ifigenia con Anna Maria Guarnieri...
Insomma la storia di formazione di Latella si intreccia con l'intensità del pensiero registico messo al servizio di questo lavoro di fine corso. Anche la propensione pedagogica e didattica – che si possiede o non si possiede – è naturaliter eredità castriana... Santa Estasi è dunque un lavoro pienamente latelliano, è stata senza dubbio la condizione migliore in cui Latella potesse lavorare, provando e riprovando, cercando e ricercando insieme ai suoi giovani attori, tutti coinvolti in un errare non senza meta, ma certo senza l'assillo della meta, tentando e ritentando per trovare l'occasione di raggiungere quello stato di estasi che ti permette di essere autenticamente e di sollevare il sipario sul non detto del nostro stare al mondo. Ed è questo che fanno gli attori/allievi di Latella, è questo che accade nella saga degli Atridi, una saga di famiglia che non conosce la polvere del tempo e contiene tutte le sfumature del nostro sentire umano, scottante materia di verità.
Formazione – Presenti, intensi, tesi fino allo spasimo sono così gli attori 'sacerdoti' del rito latelliano. Ciò che Antonio Latella ha fatto in Santa Estasi è mostrare che – se adeguatamente guidati e selezionati – gli attori italiani nulla hanno da invidiare ai grandi attori stranieri; ha messo in evidenza come la formazione e l'espressività vadano di pari passo, come essere attore voglia dire sapersi muovere, saper usare la voce come un cantante, saper elaborare il proprio ritmo recitativo e condividerlo con gli altri. La formazione messa in atto nelle sedici settimane di lavoro da Antonio Latella sottolinea come il teatro sia un gioco molto serio, in cui in palio ci sono le anime di chi lo fa e i sogni, le aspettative, la fame di risposte o di interrogativi di chi si affida alla 'finzione' del teatro per essere ammesso a qualche brandello di verità. Per questo assistendo a Santa Estasi non si è partecipato solo a un lungo e bellissimo spettacolo teatrale, ma ci si è abbeverati dalla fontana di energia ed entusiasmo degli attori, di quei corpi, quei volti che interrogavano gli astanti, che cercavano nel loro 'essere autentici e veri' un dialogo reale ed emotivo con chi era lì a rubarne il respiro, a spiarne i dolori e in fondo a vedere se avevano la stoffa per portare a termine l'ardua impresa affidata loro dal regista. Per questo Santa Estasi è stato un saggio, un assaggio di cosa è possibile fare se si investono fondi e forze, tempo e intelligenza su giovani interpreti, come si possa rinnovare il teatro d'arte partendo dal suo tassello principale: gli attori. In questo senso l'azione formativa messa in atto da Antonio Latella è un'azione di ri-fondazione del teatro, è un atto di fiducia nelle potenzialità elevate all'ennesima potenza poetica degli attori, è la dimostrazione che un teatro/altro è possibile, che i grandi racconti della scena sanno conquistarsi il sudore e l'entusiasmo non solo di chi li fa e li incarna, ma anche di chi via assiste.
Etica/politica – Ecco perché la riflessione del direttore Valenti chiama in causa l'etica e la politica. La volontà è quella di non tarpare i sogni dei giovani attori e non solo per atteggiamento paternalistico, ma per la consapevolezza che solo con la formazione e il coinvolgimento di giovani adeguatamente formati si può pensare di rinnovare o meglio ri-fondare il teatro. Dopotutto in questi anni si susseguiranno gli anniversari del settantesimo della fine del secondo conflitto mondiale, anniversari della nascita di istituzioni culturali e associative sorte dalle macerie della guerra, realtà che ebbero la volontà politica ed etica di rifondare il Paese dopo il Ventennio. Antonio Latella nei suoi lavori sulla verità e la menzogna: Servitore di due padroni, Natale in Casa Cupiello, il Peer Gynt di Ibsen in Siberia, il recente Edipo a Basilea continua il suo viaggio alla ricerca di un altro teatro possibile, un teatro che ha nell'attore il suo fulcro e nel lavoro di sala il laboratorio di una regia materica, una regia del tentare e ritentare per trovare la chiave giusta, l'immagine che raccoglie il senso e lo comunica potente e poetico. Santa Estasi è questo, è il tentativo di pensare in grande il teatro, è l'atto politico di restituire il teatro al suo valore comunitario, di ribadire la separatezza del teatro e al tempo stesso la sua forza simbolica di offrirsi come rispecchiamento della realtà e delle sue molteplici forme. Per questo motivo il progetto di Santa Estasi in scena da aprile a giugno al Teatro delle Passioni ha rappresentato un esempio di teatro d'arte offerto alla curiosità della città, con i tempi per permettere al passaparola di far crescere le presenze degli spettatori e di fare in modo che la comunità si appropriasse di un racconto articolato e impegnativo ma per certi versi unico. In questo senso Santa Estasi rappresenta – in chiusura della stagione 2015/2016 – la dimostrazione di come sia possibile fare teatro con ambizione e intelligenza, di come la complessità sia vincente sulla banalità delle semplificazioni, come l'antico rito del teatro con i suoi racconti mitici rappresenti un'occasione di crescita per l'intera comunità e contribuisca a dare speranza ad una nuova partecipazione estetica e civile all'elaborazione di un pensiero sul nostro presente.