La recentissima messa in scena, nell’aprile 2025, della Salome di Richard Strauss (1864-1949), che ha inaugurato la Stagione del Maggio Musicale Fiorentino nel Teatro del Maggio, ha riacceso in Italia i riflettori su un capolavoro che è molto amato e dunque molto rappresentato, soprattutto nei teatri d'oltralpe.
L'indiscusso valore artistico di un'opera come la Salome del musicista tedesco si colloca in un periodo in cui la temperie musicale europea si era ormai scossa dall'incanto dei geni operisti italiani e rimaneva in qualche modo ancorata agli stilemi del genio operistico tedesco per eccellenza, Wagner, del quale inevitabilmente si sentivano echi ovunque, anche nella sinfonica; tuttavia, era un periodo di sommovimenti armonici e melodici, che trovavano nello Strauss espressione concreta e di altissima qualità, non sempre apprezzata da colleghi e critici contemporanei, ma ben presto universalmente riconosciuta.
Però non è questa la sede per discettare sulle qualità artistiche dell'opera in questione, né per valutare la messa in scena fiorentina dell'aprile 2025, con la sempre discussa regia di Emma Dante, che ha dato lo spunto di partenza alle presenti riflessioni. Qui s'intende cercare di decifrare in cosa consista il vero fascino dell’opera d’arte intitolata col mitico nome principesco, che si presenta ambivalente: sia musicale che letteraria, perchè originata dall'ingegno sopraffino di un genio come Oscar Wilde (1854-1900).
Lidia Fridman Salomé a Firenze 2025
Un confronto tra l'opera letteraria e quella musicale sarebbe altrettanto improbabile: entrambe sono indipendenti l'una dall'altra, anche se l'opera di Strauss possa apparirne un “derivato”. Entrambe sono dei capolavori a se stanti, con una valenza propria e con un fascino che afferra in entrambi i casi lo spettatore e non lo lascia più. E' proprio questo strano, ambiguo fascino, che andrebbe sondato, per cercare di comprendere come possa un'opera senza musica affascinare altrettanto quanto la stessa opera, dotata di cotanta musica; ed affascinare in modo analogo. E come, al contrario, possa un'opera musicale, che ha come libretto l'opera letteraria, non averne snaturato in nulla la freschezza, né alterato l'ispirazione, né soverchiato la poesia con una rimarchevole sonorità musicale.
La Salomé di Oscar Wilde nacque, in francese, durante un soggiorno del drammaturgo a Parigi come tragedia in un atto unico, nel 1891. Era stata scritta appositamente per Sarah Bernhardt, la quale, nonostante l'avesse provata ripetutamente, si era rifiutata di portare in scena il personaggio a causa delle intemperanze e degli scandali che coinvolgevano Wilde. La tragedia è ispirata alla figura di Salomè, figlia di Erodiade, ed alla sua storia, riportata nei Vangeli di Marco e Matteo, pur tacendone il nome. Fu per compiacere lei che Erode ordinò la decapitazione di Jokanaan, cioè di Giovanni Battista, nella tradizione cristiana.
Salomé - Aubrey Beardsley
Uscita in volume in francese nel 1893, Salomé di Wilde venne pubblicata nel 1894 con le storiche illustrazioni liberty in bianco e nero di Aubrey Beardsley. La traduzione in lingua inglese venne affidata Lord Alfred Douglas (Bosie), amante di Oscar Wilde, ma in realtà, poiché il giovane non si dimostrò all'altezza, venne sostituita con un'altra rimasta anonima, ma approvata da Wilde.
Fu Hedwig Lachmann, a sua volta, a tradurre in tedesco Salomè di Oscar Wilde per l'opera di Richard Strauss, lì dove il nome della protagonista, in tedesco, perse l'accento finale, per acquisire quello tedesco ritratto.
A suggerire a Strauss di musicare la Salomé di Wilde fu il poeta Anton Lindner, che ne curò anche una prima riduzione. Ma Strauss preferì ricorrere alla traduzione tedesca della scrittrice Hedwig Lachmann, il cui libretto corrisponde quasi integralmente all'originale francese di Wilde. La partitura fu iniziata nel 1902 e fu completata nel 1905. Strauss adattò la traduzione della Lachmann alla musica, solo tagliando e spostando alcune battute.
L'Opera Salome fu rappresentata per la prima volta il 9 dicembre 1905 alla Königliches Opernhaus di Dresda e l'esecuzione destò grande clamore per il soggetto e per le soluzioni musicali di Strauss.
Fu da allora, si ritiene, che s'insinuò nell'appassionato e nell'intenditore il dualismo di cui sopra. Oltretutto questo turbinìo di traduzioni avrebbe potuto nuocere all'originale, nato nel dolce idioma francese. Dal francese, all’inglese, al tedesco, ne passa. Eppure, lì dove si trova, l'idioma tedesco è perfettamente adeguato al clima che trasuda non solo dall'originale francese di Wilde, ma anche da quello inglese e dalle innumerevoli altre lingue in cui il testo è stato tradotto, italiano compreso.
G. Bonaspetti e Sem Benelli, tradussero la prima versione italiana, messa in scena a Milano nel 1904, ma ne seguirono molti altri, tra cui Carmen Margherita Di Giglio, traduttrice dell'edizione bilingue italiano-francese, Raoul Montanari, Rosanna Farinazzo e Domenico Porzio.
Lyda Borelli Salome
Come sempre accade, le finezze dell'originale opportunamente trasferite nelle traduzioni contano moltissimo, anche se all'apparenza si tratti di un testo piuttosto breve e che poi dia l'impressione di essere "semplice", sia da recitare che da mettere in scena; ma la storia della Letteratura e del Teatro ci insegna che non c'è mai nulla di "semplice" se non in apparenza, così come non può esserci nulla di "improvvisato". Dunque Salomé, personaggio controverso e cavallo di battaglia di innumerevoli dive del teatro di prosa anche italiano, da Eleonora Duse, a Lyda Borelli, a Rosabianca Scerrino, è molto di più di ciò che possa sembrare ad una prima lettura, sia in messe in scena "tradizionali" sia in produzioni che trascendano i limiti della tradizione.
Indimenticabili alcune di quelle teatrali, tra cui spiccano i lavori di Carmelo Bene (che si piccò anch'egli di tradurre), Steven Berkoff, Al Pacino e Yaël Farber; al cinema da citare in particolare il capolavoro muto (!) di Ugo Falena (1910) in cui brillava Alla Nazimova nella parte di Salomé, ed il film di Ken Russell.
Considerando fin dall'inizio in questa sede, come esempio, la suddetta attuale messa scena dell’opera di Strauss a Firenze, diretta dalla fin troppo fantasiosa immaginazione della Dante, se si voglia cercare un termine di ipotetico paragone per cercare di capire quale sia la chiave di lettura del “segreto” dell'Arte della “strana coppia” Wilde-Strauss, si ritiene essere il caso di fare riferimento anche ad una rapresentazione dell’opera in prosa. In particolare, per valore artistico e ponderazione nella lunga gestazione, quella andata in scena a Volterra nel 2018, nell'ambito del XVI Festival del Teatro Romano, regista Simon Domenico Migliorini.
Alla Nazimova
Gran differenza c'è, ovviamente, tra l'enorme palcoscenico del Teatro del Maggio fiorentino e il gioiello di Antonio da Sangallo il Vecchio a Volterra, il Chiostro nel Palazzo Minucci Solaini della Pinacoteca Comunale, ubicazione scelta dal regista e attore toscano per la messa in scena dell'opera di Wilde nella traduzione italiana di Domenico Porzio, con interventi drammaturgici dello stesso Migliorini.
Richiesto sul perché di questa scelta letteraria, il Maestro ha risposto con molta semplicità che, dopo lungo, attento paragone tra le varie traduzioni in italiano e delle stesse con l'originale francese e la traduzione inglese, la versione del Porzio era quella che meglio si adattava alle sue corde ed ai suoi intenti, che erano anche di rivisitazione e interpretazione del tutto originale, titolando, fra l'altro “EroSalomè”, in una crasi chiara dei concetti esplorati ed evidenziati in scena, quale “Primo studio” sull’opera di Wilde, in realtà già spettacolo compiuto.
Ben diversi, ovviamente, quindi, rispetto alla versione operistica fiorentina, anche mezzi e intendimenti scenici, atmosfera generale e ambientazione, lì dove al costume rosso seduttivo di Salomé del soprano Lidia Fridman nella produzione della Dante, andava in contrasto il nudo pressoché integrale della protagonista a Volterra, l’attrice Ambra Falcone. Ma non era determinante che il Narraboth di Migliorini fosse la bellissima, compianta attrice Roberta Geri, una donna, dunque; mentre nella produzione della Dante, Narraboth fosse necessariamente un tenore, Eric Fennell, vestito oltretutto con un costume discutibile e indistinguibile dagli altri armigeri, in una porcellanata imitazione delle armature dei pupi siciliani. Infatti tutto questo, in fondo, ha fatto da contorno per l'occhio e l'orecchio del musicologo esigente, a fronte comunque di un'ottima esecuzione, con sul podio il M°Alexander Soddi; e ne è nato, sul momento, il naturale accostamento dell'opera musicale con la prosa dell'originale impressa nel ricordo volterrano.
Da tutto ciò scaturiscono queste righe di riflessione, in una sorta di attonimento, mai provato in altre occasioni nella visione delle medesime opere teatrali, nel verificare lo splendore artistico intrinseco di entrambe le versioni. Valore che non collide, che ne determina la valenza preziosa sulla stessa lunghezza d'onda, che emana la stessa energia che trascina lo spettatore allo stesso, identico modo, con la medesima, incontenibile potenza.
Ambra Falcone Salomé Volterra
Sta proprio qui il mistero: come possono le parole e i silenzi di Volterra pareggiare i conti con la musica di Firenze? Come può la musica non affogare nel “rumore” la parola, con le sonorità sinuose, ma imponenti di matrice tedesca dello Strauss? Eppure, a Firenze, pur scorrendo davanti agli occhi uno spettacolo dalla regia non sempre condivisibile, l'opera risultava vincente. E lo stesso accadeva a Volterra per quella letteraria in italiano, nelle pause e nelle espressioni di una recitazione da manuale, in cui il Migliorini regista si era riservato entrambe le parti di Jokanaan e di Erode: non si sentiva affatto la “mancanza” della musica, in un'ambientazione fascinosa di frutta fresca, di profumi di fiori e di passi felpati sui tappeti.
Potere dell'Arte, della grande Arte: entrambe le rappresentazioni possono essere esempi più o meno condivisibili di gusto teatrale, in due diverse branche, in luoghi totalmente diversi e con mezzi e modi totalmente divergenti. MA si prende atto che la Salomè di Wilde e quella di Strauss affascinino entrambe allo stesso modo.
L'opera di Wilde non aveva bisogno dell'opera di Strauss, l'opera di Strauss non “ha usato” il capolavoro di Wilde, ma lo ha modellato e trasfigurato sulla stessa lunghezza d'onda e si è fuso così intimamente con esso che discernere quale sia “il segreto” di tanta capacità risulti impossibile.
Nell'opera letteraria è il suono flautato della parola poetica che basta a se stesso; la capacità evocativa di atmosfere e paesaggi, l’impianto compositivo breve, intenso e doloroso come una frustata che la rende così affascinante. E, di rimando, è la parola tedesca cantata ad integrarsi perfettamente con la musica ed a rendere la medesima atmosfera di stupore lunare, di perversione e di tragedia dell'opera in prosa.
E infine, inevitabilmente, si finisce per chiedersi se la protagonista Salomé sia Salome e viceversa. Innegabilmente è lo stesso, identico personaggio nelle due versioni. Nulla cambia in lei, che parli, che canti, che taccia, che danzi. Lo stesso per Jokanaan (a Firenze il baritono Brian Mulligan): tonante, ascetico, affascinante tanto da essere mortale per se stesso. Cosa vuole Salomé-Salome? Vuole la carne o vuole l’anima del Battista? Vuole la testa del profeta per vendetta o vuole esprimere il proprio contorto mondo interiore, forgiato e scaturito da incesti, crudeltà, ambiguità, perdizione, possedendo ciò che ormai è da lei stessa stato reso “inutile’’ sia alla carne che allo spirito?
Sono stati versati fiumi d’inchiostro da chi abbia cercato di scandagliare l’ego e l’inconscio della seduttiva fanciulla. Una piovra di lussuria o una lussuria paradossalmente innocente perché connaturata? Talmente connaturata da non rendersi conto della propria disumanità? Ella vuole ed ha ottenuto la testa, i capelli, la bocca, la lingua di Jokanaan…Ma significa che abbia preteso ciò che Jokanaan, per la prima volta le ha mostrato nella potenza dell’ascetismo profetico: la bellezza della purezza? Oppure che ne abbia ricercato e poi cercato di troncare l’anima, che nessuno dei tiranni lì possiede? Ha un’anima Salomè-Salome? E' la vergine lunare e intoccabile idealizzata da Narraboth o è un aborto di crudele disumanità? Tutte le risposte restano in sospeso, ogni interrogativo resta aperto.
Straordinario capolavoro di costruzione psicanalitica volutamente indecifrabile, scaturito dal genio di Wilde e mutuato da quello di Strauss così intensamente e profondamente che diventi impossibile determinare e definire una protagonista dall'essenza leggibile e decifrabile nelle parole, nelle pretese, nei fatti, né in prosa né in musica.
Dunque, infine, due capolavori assoluti in uno, o un capolavoro assoluto in due? Lo/li si intenda come più piaccia.
Natalia Di Bartolo