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I QUATTROCENTO COLPI DI MOLIÈRE. -di Errico Centofanti

Molière Molière

«Un giovanotto nominato Molière», dice Tallemant des Réaux [sapido biografo di suoi contemporanei], «è arrivato a Parigi nel 1658 con tutto un repertorio nuovo di commedia e di farsa».
Esordisce così l’entr’acte su Molière nelle conversazioni I Luigi di Francia, curate da Carlo Emilio Gadda e radiodiffuse nel 1952 dal raziocinante Terzo Programma di quella Rai non ancora sottomessa al capitalismo selvaggio.
Qualche altro ritaglio dal divertito racconto gaddiano: «Dopo la peregrinazione in provincia […] si installa al Petit-Bourbon […] lo protegge e lo accoglie il principe di Conti, il nano gobbo e peloso fratello del Grand Condé […] otterrà poi la protezione di Monsieur, Filippo d’Orléans, il fratello del Re, il marito di Madame, donna di sano appetito e di penna lesta e robusta che valeva l’appetito […] La susseguente demolizione del Petit-Bourbon e la protezione di Monsieur conducono la compagnia di Molière a recitare stabilmente al Palais-Royal, già Palais-Cardinal, costruito da Richelieu di fianco alle “ree Tuglierì di Caterina”, come le chiama il Carducci, e legato poi a re Luigi XIV, che lo aveva abitato con la madre Anna d’Austria, indi lo aveva destinato al fratello […] Nella sala del Palais-Royal, Molière vedrà le sue commedie trionfare nei tredici anni che gli rimangono da vivere dopo il 1660».

Reazioni vive, criterio sano
Poi, Gadda entra nel vivo dei riti teatrali: «Il pubblico parigino è ghiotto di spettacoli, ama enormemente il teatro […] Il pubblico chiama i suoi attori, li festeggia ed è loro sicuramente fedele. Ogni nuovo lavoro è un avvenimento. […] L’autore legge il suo dramma nei salotti dei privilegiati […] Gli inviti per le avanti-prime i gazzettieri se li contendono. E ogni compagnia ha il suo “oratore” fuori del teatro, l’imbonitore pieno di parole e di lodi, un pazzariello che deve stuzzicare a chiacchiere l’appetito di tutti per vincere le titubanze degli incerti […] Il pubblico dei palchi, fatto di signori o di ricchi, sa pazientare e comprendere. È riservato, misurato nei giudizi. […] Ma la platea, dov’è la gente di quartiere, ribolle e si agita: stanno sempre in piedi, ignorando le panche. […] Discutono, poi ascoltano a bocca aperta, poi fischiano, si accalorano, crocchiano delle noci, mangiano dei chinotti […] Questa parte degli ascoltatori è la piú appassionata […] La platea è il miglior pubblico di Molière. Reazioni vive, criterio sano, mancanza di preconcetti e di pregiudizi di qualsiasi tipo: quello che ci vuole per Molière».
Infine, questo è Molière come Gadda lo immagina sul palcoscenico: «La buffonata epica delle commedie-balletto è attinta dalle zone profonde del linguaggio e dello spirito francese, dalla verve indiavolata del suo proprio genio […] utilizza e succhia nel vortice il latino maccheronizzato, gli scatti ginnici del maestro di scherma e la danza surreale dei sarti e dei cuochi, un italiano talora puro, tal’altra fatto barocco e pseudo-veneto o pulcinellesco […] Un ciclone folle e impeccabile seguita a piroettare su se stesso, descrivendo un cerchio eternamente perfetto d’attorno al carciofo della vanità. Da cui si libera una margherita innamorata».
Perché parlare di Molière e perché farlo per il tramite di Gadda? L’occasione la propone il calendario, dato che questo 2022 contiene il compleanno numero quattrocento di Molière e, notoriamente, anniversari, ricorrenze, centenari e compleanni in cifre tonde sono sempre circostanze suggeritrici del soffermarsi su riflessioni straordinarie, se non addirittura escatologiche. In questo caso, c’è pure una spinta proveniente dalle cose d’oggi, come di seguito si vedrà.
Quanto al tramite, di sicuro quelli di Sipario sono lettori che, pur non necessitando di scoprire chi sia Molière, potrebbero gradire quel minimo di supporto circostanziale assicurato dal delizioso ma quasi sconosciuto contributo di un evocatore d’eccellenza quale fu Gadda.

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Parigi, Cimitero di Père-Lachaise: la tomba di Molière.

Nulla manca alla sua gloria
Superfluo non è, invece, rammentare che Molière fu per l’anagrafe Jean-Baptiste Poquelin (Parigi 1622-1673) e che il suo modo d’essere autore, attore e produttore, attivo nell’ambito della propria arte quanto nella e per la comunità, lo costituisce a modello per chiunque faccia teatro. Superfluo non è nemmeno dar conto di una sfiziosa minuzia: nonostante la gloria lo benedicesse già in vita, l’altezzosa Accademia di Francia, dopo il non averlo accolto tra i suoi presunti “immortali”, in quanto “commediante”, ponderò lungo un intero secolo prima di dedicargli una statua con la riparatoria (?) incisione «Rien ne manque à sa gloire, il manquait à la nôtre (Nulla manca alla sua gloria, egli mancava alla nostra)».
La vita di Molière appare incastonata nell’arco di un paio di secoli. Quando lui nasce, nel 1622, Shakespeare se n’è andato da sei anni, Calderón ha appena varcato il suo primo quarto di vita, a Lope restano da spendere gli ultimi tredici anni, mentre per la venuta al mondo di Goldoni di anni se ne devono aspettare altri ottantacinque: è l’eredità di queste cinque vite inscritte in quell’arco bisecolare a comporre la classicità della drammaturgia moderna. Per di più, l’eredità di Molière, attraverso la Comédie-Française, esprime un tratto specialissimo con il personificare alcune peculiarità esemplari della missione caratterizzante qualsiasi organismo di produzione teatrale, specialmente se a gestione pubblica.
La Comédie, che per i parigini è affettuosamente la “Maison de Molière”, nacque nel 1680, allorché i superstiti di quella che era stata la compagnia teatrale di Molière vennero chiamati a costituirla da Luigi XIV, il Re Sole. Oggi, è una delle più gloriose e la più antica tra le istituzioni teatrali attive nel nostro pianeta, è riconosciuta dalla Francia come parte del patrimonio pubblico da tutelare, persevera nella tradizione che data dalla sua fondazione di mantenere ben viva la propria compagnia permanente di attori, cura attivamente il patrimonio drammaturgico nazionale e il decentramento dell’offerta teatrale, è un teatro di Stato la cui conduzione fa capo alla gente di teatro e non agli apparati burocratici.

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Parigi: la sede della Comédie-Française.

Il “corpo unico”
Ecco, sono questi accenni a certe peculiarità esemplari della Comédie che spingono a parlare proprio adesso di Molière, come dicevo poc’anzi. Infatti, ricordava il nostro Direttore, in un recente editoriale (Sipario 853-55, pag. 5), che il teatro a gestione pubblica teorizzato e praticato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler annoverava questa peculiarità, tra le fondamentali: «produzione, autori e interpreti costituiscono stabilmente un “corpo unico” che agisce in un preciso spazio volto a raccogliere il loro operato».
Proprio su quel “corpo unico” si fonda il concetto di stabilità, per una struttura che garantisca continuità e professionalità in quanto presidio dell’interesse pubblico a far teatro e a funzionare come istituto culturale, cioè come promotore e stimolatore d’una permanente elaborazione creativa e critica in seno alla società.
Sfortunatamente, queste peculiarità, che restano vivissime nella Comédie-Française, hanno finito invece con l’affievolirsi – e talvolta con l’estinguersi – nella realtà quotidiana dei teatri italiani a gestione pubblica: le compagnie permanenti di attori non esistono più, gli apparati burocratici hanno quasi del tutto marginalizzato i ruoli della gente di teatro, il patrimonio drammaturgico nazionale è diventato un concetto sostanzialmente simbolico. Il “corpo unico” nell’accezione di Grassi e Strehler non c’è più.
Inoltre, dove sono finite le missioni che per il teatro a gestione pubblica formano l’essenza della propria riconoscibilità quale patrimonio pubblico da tutelare? Cioè, l’essere presidio stabile di professionalità creativa e l’addestrare i cittadini a mantenersi curiosi, aperti al confronto e impegnati nello sviluppare le proprie capacità critiche?
Il nostro Paese ha già vissuto pericolose stagioni degenerative. D’una di esse s’era ben avveduto Giorgio Strehler quando annotava: «questa specie di sordità umana e culturale, questo imbarbarimento di rapporti, questa specie di oscuro freno di ogni volontà creativa, di ogni slancio costruttivo dell’intero Paese, di cui tutti siamo in qualche misura responsabili e che ha coinvolto anche quel piccolo riflesso del mondo che è il teatro, pubblico e no».

Attualità dell’antico
Quelle di Strehler sembrano parole pensate oggi, ma in realtà risalgono agli anni tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta del Novecento. Occorre accorgersi di quel che va accadendo e porvi riparo. Pensare a Molière, a quel che lui seppe essere, a come la Comédie ne tramanda l’afflato operativo: tutto questo può offrire ispirazione e sostegno.
Molière, ogni sera, dal palcoscenico aveva saputo ammaliare e divertire il pubblico, addestrandolo a non lasciarsi contagiare dall’ipocrisia e dal bigottismo che dilagavano tra i “benpensanti”. La lotta per non lasciare che Tartufo e le altre sue creazioni venissero soffocate dalla censura era stata una lotta per la vita, di se stesso e del suo popolo.
Poi, era venuta quell’ultima sera. Molière aveva recitato il Malato immaginario e, come ogni sera, s’avviava a rientrare nella vita reale. Ogni sera è sempre così: il conclusivo chiudersi del sipario genera una sorta di dissolvenza incrociata che sul venir meno della verità tragica del palcoscenico lascia riaffiorare l’inquietante finzione della vita reale. Quella sera, però, la vita reale non fece in tempo: era il 17 Febbraio del 1673, l’ultima sera di Molière, ultima sul palcoscenico e ultima nella vita.
Come ormai s’è capito qui, a fine lettura, un titolo come I quattrocento colpi di Molière ha ben poco da spartire con il film capolavoro diretto nel 1959 da François Truffaut. Irresistibile è stata la tentazione di prendere in prestito un titolo leggendario qual è I quattrocento colpi per movimentare un elementare colpo di dialettica numerale il quale, in fondo, altro non è se non un giocoso coup de théâtre, certamente meno brillante di quelli nati quattrocento anni fa con Molière ma in ogni caso buono per rendere omaggio, con un colpo solo, a due tra i protagonisti della storia universale dello spettacolo.

Ultima modifica il Venerdì, 11 Marzo 2022 18:41

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