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Mercoledì, 28 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Leon Cino è nato a Tirana (Albania) dove ha frequentato l'Accademia Nazionale di Danza dal 1993 al 1996. Nonostante la sua giovane età, in quegli stessi anni, è stato ospite al Festival della Penisola Balcanica e in diverse trasmissioni televisive albanesi. Nel 1997 si è trasferito con la famiglia a Milano, dopo aver frequentato la scuola di danza del Teatro Carcano, viene ammesso alla Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala ottenendo tre prestigiose borse di studio. Ha vinto il 3° premio del celebre Concorso Internazionale "Giovani Talenti" di Vignale nel Monferrato. Ha partecipato al celebre Concorso di Vignale Danza ottenendo il terzo posto. Nel 2001, subito dopo il diploma scaligero, Leon vince il premio Danza&Danza come miglior giovane promessa e si trasferisce negli Stati Uniti dove entra a far parte del "Tulsa Ballet" per poi arrivare, all'inizio della stagione successiva, al "Pacific Northwest Ballet". Il suo repertorio include: "Don Quixote" (Petipa), "Going for Baroque" (Val Caniparoli, che ha poi creato per lui "Misa Crolla"), "Ressamblement" (Nacho Duato), "Fingerprints" (Stanton Welsh), "Celts" (Lila York), "Carmen" (Amedeo Amodio). Rientrato in Italia nel 2003, ha partecipato e vinto la terza edizione del programma televisivo "Amici" condotto da Maria De Filippi. Nel 2004 ha ricevuto il "Premio Internazionale Gino Tani" per le arti dello spettacolo e successivamente è stato protagonista del musical "Footlose" , presente per due stagioni sui palcoscenici delle maggiori città italiane e vincitore del "Biglietto d'oro" e in seguito del musical "Io Ballo" diretto da Chicco Sfondrini e Patrick Rossi Gastaldi. Leon ha inoltre lavorato anche in ambito cinematografico. Nel 2007 è stato premiato per i 60 anni del QKKF in Albania. Tra i lavori più interessanti possiamo citare la partecipazione nel film "La città invisibile" (2010) di Giuseppe Tandoi dove ha interpretato la parte di Sorin e nel film "Nous et Lenine" (2007) di Saimir Kumbaro. Nel 2010/2011 si misura con la sua prima esperienza in qualità di produttore con la messa in scena al Teatro Greco di Roma dello spettacolo "Tra Uomo & Donna – Trittico", regia, produzione e direzione artistica di Leon Cino, coreografie di Tania Matos e Biagio Tambone. Attualmente è docente, giudice in concorsi di danza, tiene stage e masterclass in varie realtà coreutiche nazionali ed è direttore artistico di alcune scuole di danza.

Carissimo Leon, la tua formazione inizia all'Accademia Nazionale di Danza a Tirana. Raccontaci quali sono i ricordi più vivi ripensando a quel periodo?
Ero molto giovane e spensierato come tutti a quell'età. Mi ricordo delle amicizie, mi ricordo delle piccole avventure da ragazzi, ma di certo non scorderò il duro lavoro che abbiamo fatto tutti; dall'imparare ad eseguire la spaccata in modo idoneo alla corretta esecuzione degli esercizi elementari alla sbarra. Ero predisposto ad un'elasticità naturale del corpo, quindi la strada del ballo iniziò "passo dopo passo" insieme all'amore per questa bellissima e nobile arte.

Hai preso parte anche al Festival della Penisola Balcanica, per chi non lo conoscesse che tipo di manifestazione è?
Era un festival della danza e del canto per bambini, dove i partecipanti erano scelti tra i migliori dei paesi facenti parte della Penisola.

Dopo il trasferimento in Italia ti sei avvicinato alla scuola di danza del Carcano. Qual è stato l'impatto in qualità di allievo e del tuo primo saggio in Corso di Porta Romana?
La mia avventura, in termini di amicizie, iniziò al Lago di Garda. Qui le mie prime delusioni. Mi ricordo come fosse ieri: le mie caratteristiche fisiche (capelli biondissimi) tenevano tutti vicini... ma la mia nazionalità teneva quasi tutti lontani. Quindi iniziò una specie di diffidenza. Andai al Carcano di Milano con pregiudizio invece trovai amici e professori di grande valore. Ogni tanto riguardo le riprese fatte con la telecamera a nastro. Mi batte forte il cuore. È stato un successo. Almeno così lo voglio ricordare!

Mentre con la città di Milano?
Milano è la grande Milano! Una città meravigliosa; non scorderò mai le passeggiate mattutine con l'aria fresca, il Duomo, la Galleria, il Teatro alla Scala. Ma non scorderò neanche che sono stato aggredito, e grazie ai Carabinieri quella sera me la cavai solo con una maglietta strappata.

Ad un certo punto vieni ammesso alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Com'è avvenuto e su consiglio di chi hai sostenuto l'audizione?
È una storia interessante e divertente. La primissima audizione la feci proprio alla Scuola di ballo della Scala, consigliatami da una scuola di danza di Salò. Non fui ammesso perché troppo "esuberante", parola di cui per inciso non sapevo per nulla il significato, poi mi fu fatto un esempio: "Se ti chiediamo una pirouette non ne devi farne dieci..." e mi fu consigliato di andare al teatro Carcano. L'anno successivo ritentai e fui ammesso! La Scuola di ballo scaligera oltre al suo prestigio e all'aver trascorso al suo interno la mia adolescenza, mi ha preparato perfettamente al mondo lavorativo.

Un ricordo per la direttrice, la Signora Anna Maria Prina?
Lei è stata una direttrice alla quale va il merito di un grande lavoro con gli allievi, e il ricordo più bello che ho è il giorno in cui mi chiamò in ufficio e mi offrì un contratto di lavoro.

Sei rimasto in contatto con gli allievi del tuo corso in Scala?
Purtroppo abbiamo preso strade diverse, c'è da dire che il mio corso era seguito da poche persone e quindi si fa fatica a rimanere in contatto. Grazie ai Social con qualche amica sono riuscito a riprendere i contatti.

Dopo il diploma scaligero sei partito per gli Stati Uniti. Destinazione al "Tulsa Ballet" ed in seguito al "Pacific Northwest Ballet". Che periodo è stato?
Un periodo lavorativo molto intenso, oltre a farmi comprendere al meglio come funzionava il mondo del lavoro ha continuato a mantenermi in forma. Arrivavo da una forte disciplina nello studiare, mentre da quel momento in poi ci fu una disciplina nell'essere maturi e nel vedere le cose sotto un punto di vista maggiormente globale. Dallo stare in forma al continuare a crescere, per divenire più forti! Dall'Italia all'America dove le culture sono completamente differenti e come tali ti cambiano la visuale. Negli Stati Uniti non interessa la tua provenienza, l'anzianità o il nepotismo, da loro è fondamentale il "risultato" senza dimenticare che la professionalità viene giustamente ricompensata, in Italia purtroppo ciò non sempre accade!

Nel 2003 hai vinto il talent televiviso "Amici", a distanza di anni come rivedi quell'esperienza?
Era la mia prima volta in assoluto in televisione. In primis ho compreso come nascono e si sviluppano le cose al di là del piccolo schermo. Mi sono proposto ad un altro tipo di pubblico, il che è stato emozionante. Ricordo che la selezione dei talenti era molto difficile in quegli anni. Oggi grazie ai tanti talent show presenti in televisione possiamo tirare fuori con intelligenza nuove forze in qualsiasi campo, dal ballo al canto, all'intelletto e all'inventiva.

Com'è arrivato poi nella tua carriera il musical?
Il musical è arrivato proprio grazie al programma "Amici", dove chi vinceva doveva saper gestire oltre alla propria categoria anche le altre; quindi il risultato migliore si poteva vedere solo con un musical. Ricordo con piacere che "Footloose" fu un grande successo!

Anche il cinema è entrato nel tuo bagaglio d'artista, cosa ti è piaciuto maggiormente in questa esperienza?
Mi è sempre piaciuto fare l'attore. E parteciparvi è stato molto piacevole. Soprattutto conoscere gli attori professionisti e già famosi. Il palcoscenico di ogni lavoro è un universo a sé. Entrarci e farne parte è emozionante. Per quanto riguarda il lavoro, è un sacrificio piacevole da dover provare.

Oggi collabori con tante realtà coreutiche sparse sul territorio nazionale, come vedi questo mondo a molti sconosciuto?
Non tutti possono accedere alle Accademie, ma tutti desiderano ballare. Iniziare dalle piccole realtà è sicuramente il "primo passo" per capire se è la strada giusta da percorrere. L'aspetto entusiasmante del vivere è esaudire i propri sogni senza dimenticare che per fare carriera ci vuole soprattutto un allenamento costante.

Quanto è importante lo studio della danza di carattere?
È molto importante, perché quasi tutto il repertorio del balletto classico possiede la danza di carattere.

Mi parli della danza popolare Albanese, delle sue caratteristiche e particolarità stilistiche e di movimento?
Più o meno è come le danze popolari culturali in Italia, dove tutte le regioni hanno le proprie caratteristiche; quindi risulta un po' difficile definire le particolarità perché ci sarebbe molto da dire, dai generi ai costumi. Una cosa interessante è che quasi tutti i balli in Albania vengono eseguiti, per la maggior parte, dagli uomini.

Tra i tuoi maestri hai avuto grandi nomi come Bella Ratchinskaja, Iride Sauri, Paolo Podini, Leonid Nikonov, Amelia Colombini, Emanuela Tagliavia, Loreta Alexandrescu, Eliane Arditi. Per tua esperienza quanto è fondamentale avere la "giusta figura" nell'insegnamento della danza danza, soprattutto quella classico-accademica?
È molto importante, tanto quanto i professori delle scuole obbligatorie. Con la differenza che alla scuola di ballo oltre alla corretta postura fisica devi anche insegnare il giusto modo di vedere le cose. L'insegnante è Michelangelo, lo studente il Davide!

Qual è stata la primissima volta che hai calcato il palcoscenico davanti ad un pubblico con la Scuola di ballo della Scala e con quale pezzo?
Con il pezzo "Streghe" su coreografia di Biagio Tambone.

Hai danzato anche sul palcoscenico della Scala nella "Manon", coreografia di Umberto Bergna e nel "Lago dei cigni" di Rudolf Nureyev. Che emozione si prova ad entrare in scena in uno dei teatri più famosi al mondo e tanto più con una creazione del grande ballerino russo?
Indescrivibili sono le emozioni! Quando si è in una Scuola di ballo si sogna sempre di calcare i palchi più importanti a livello internazionale, soprattutto se in scena ci sarà un'opera di grandi ed immortali artisti.

Come si svolgono oggi le tue giornate e quanto tempo dedichi ancora allo studio della danza?
Oggi più che altro sono dall'altra parte e cioè sono un insegnante, e direttore artistico di alcune belle realtà. Purtroppo il tempo dedicato allo studio della danza da ballerino è ridotto, ma non smetto comunque di allenarmi tra una pausa e l'altra. Perché, citando il titolo del film con Totò, "Chi si ferma è perduto"!

Nel mondo dell'arte ma soprattutto in quello della danza non si finisce mai di imparare, giusto?
Verissimo. Ma soprattutto ci si perfeziona. Noi siamo esseri dal libero arbitrio e facciamo cose e movimenti casuali, una certa melodia la possiamo interpretare come ci pare e se si confrontano dieci persone avremo dieci movimenti differenti, cento persone altri cento differenti e così via... da qui si capisce quanto c'è da imparare!

Per concludere Leon, cosa ti ha regalato di più bello e costruttivo, l'aver scelto da piccolo l'arte tersicorea come compagna di viaggio?
Prima di tutto ringrazio mia madre che mi ha aiutato e supportato, poi tutti gli insegnanti che si sono impegnati a rendermi un bravo ballerino. Non potrò mai sapere cosa avrei fatto o provato facendo altro. Fino ad ora le avventure che ho vissuto mi hanno donato gioie e dolori. Ma posso azzardare ad affermare che l'arte della danza è la più sublime in assoluto. Possiamo dipingere, scolpire e fare tutto con il movimento del corpo!

Michele Oliveri

Lunedì, 26 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

In forte ripresa dopo l'infortunio avvenuto in scena il 29 giugno durante un gala di fine stagione a Vienna, che lo ha tenuto fermo per alcuni mesi, Davide Dato è più che mai carico di energia, di voglia di tornare a ballare e pieno di progetti. Solare, positivo, umile, con una grande carica umana e comunicativa che lo rende una persona affabile, il ventiseienne danzatore biellese, classe 1990, è uno dei nomi che da qualche anno si è imposto sulla scena internazionale. Personalità carismatica, dotato di grande tecnica, versatilità e presenza scenica, talento innato dalla musicalità insita, da maggio 2016 è primo ballerino al Wiener Staatsballett, carica conferitagli dopo una rappresentazione del Don Chisciotte, versione coreografica di Rudolf Nureyev. Nella scuola della prestigiosa istituzione austriaca ha iniziato la sua vera formazione - dopo una breve esperienza alla School American Ballet di New York -, e dal 2008 è entrato stabilmente nella Compagnia.

Si comincia sempre rievocando gli inizi, di come nasce la passione per la danza. Parliamo dei dettagli.
Ballavo fin da piccolo insieme a mia sorella Greta. Di recente ho rivisto delle video cassette di allora, e mi sono stupito nel vedere ciò che facevo. Mi improvvisavo anche mago nel teatrino della parrocchia e mi filmavo immaginandomi in una trasmissione televisiva. Era la musica a farmi muovere, appena la sentivo cominciavo a ballare. I miei genitori, visto che non stavo mai fermo, mi iscrissero, a 7 anni, ad un corso di teatro per bambini dove sono stato per un anno. Poi ho iniziato con i balli caraibici e l'hip hop, sempre con mia sorella. Facevamo le gare e viaggiavamo molto, in paese eravamo famosi. Ad un certo punto mi sono stancato, non mi piaceva più e mi chiedevo quale sarebbe stato il mio futuro. Nel frattempo, con mia sorella e un altro ragazzino avevamo creato un gruppo musicale: in estate giravamo esibendoci sui palcoscenici delle spiagge. Fui notato dalla presentatrice che sollecitò i miei genitori ad iscrivermi ad una scuola seria, consigliando il M.A.S. di Milano. I miei, pur non avendo nessuna dimestichezza con lo spettacolo, acconsentirono. Fu un grande passo, la scuola offriva una formazione a 360 gradi: recitazione, canto, diversi stili di danza, e collaborazioni anche con la televisione ed il mondo della pubblicità. Tutto ciò mi eccitava. È così che ho iniziato, approfondendo di più, in seguito, il balletto classico studiando quotidianamente con il Maestro Ludmill Cakalli tentando, poi, le audizioni.

Prima di decidere per l'Opera di Vienna c'è stata un'audizione alla scuola del Rudra di Losanna con Maurice Béjart...
Sì, con lo stesso Béjart che mi disse subito che mi avrebbe preso. Ma al Rudra, che durava due anni, si studiava soltanto il suo repertorio ed inoltre eravamo tutti di età molto diverse, dai 15 ai 21 anni. Tutto ciò mi lasciava perplesso e io, invece, volevo costruirmi una forte base classica. Scelsi di provare a Vienna inviando un video per un'audizione. Per un disguido la videocassetta non fu visionata perché era finita nel dipartimento sbagliato. Dopo un mese la direttrice di allora mi convocò ugualmente insieme ad altri ragazzi. Superai la prova e così fui ammesso al sesto corso della Scuola con una borsa di studio. Dovevo anche completare gli ultimi tre anni di studi al liceo e non è stato facile anche per via della lingua tedesca che ho dovuto imparare. Sono stati anni massacranti, di grandi sacrifici. Avevo 15 anni.

E in quel periodo, per via dei momenti difficili, non ti era venuta voglia di mollare?
Mai. In certi momenti difficoltosi avevo voglia di mollare il liceo, ma mai la danza. Non sentivo neanche la mancanza della mia famiglia, che invece, adesso, sento molto. Ai miei genitori sono molto grato per avermi sempre appoggiato e sostenuto, ed è stata una grande soddisfazione aver dimostrato loro che tutto quello che hanno fatto per me, non solo a livello economico, è stato ripagato.

Dopo 2 anni di scuola sei diventato apprendista, poi confermato con un contratto nel Corpo di Ballo, successivamente, dopo un anno e mezzo, nominato demisolista, quindi, solista e infine principal. In tutto sono trascorsi 12 anni. Si può dire che hai bruciato le tappe per arrivare ad essere étoile...
Potrebbe sembrare ma non mi sento di avere bruciato le tappe. C'è ancora tanta strada da fare, ed io voglio migliorarmi molto artisticamente e tecnicamente. Mi mancano alcuni ruoli del grande repertorio. Con la direzione di Manuel Legris ho ballato tanti pezzi diversi, classici e contemporanei, perché il repertorio all'Opera di Vienna è vario e le produzioni sono molte, anche 13 in una sola stagione.

Quali sono stati fino ad oggi gli incontri più importanti, quelli che ti hanno segnato, formato?
Tutte le persone che hanno segnato il mio percorso hanno influito nella mia vita consentendomi di fare ogni volta un passo in avanti e crescere. Provo una particolare gratitudine per Legris, il mio attuale direttore, anche se all'inizio non è stato semplice con lui. Quando arrivò alla direzione del Corpo di Ballo promosse subito 12 danzatori a demisolista, escludendomi. Con lui è stata reintrodotta la posizione di primo ballerino, che era stata cancellata da un precedente direttore. Il solista coincideva allora con il primo ballerino. Non avendomi promosso ci rimasi male. Forse aveva un'idea sbagliata di me per il fatto che l'anno prima mi avevano proposto di partecipare come concorrente alla trasmissione Amici, il programma di Maria De Filippi ed io avevo un po' esitato prima di dire di no. Per questo motivo pensavo quindi di non piacergli, anche se a inizio stagione mi affidava comunque dei ruoli importanti. Morale della favola è che mi ha fatto sudare molto, e quando ha compreso il mio modo di lavorare mi ha premiato fino a diventare solista e primo ballerino.

Quindi l'idea di partecipare ad Amici ti aveva attratto?
Da piccolo la guardavo pensando che un giorno mi sarebbe piaciuto parteciparvi. Poi a 19 anni avevo già un altro pensiero. La mia indecisione derivava dall'idea di non volermi restringere ma aprirmi a nuove esperienze artistiche. Sono così in tutto: mi stanco abbastanza velocemente di una cosa, e sono attratto da altre diverse. Mi piace sperimentare e scoprire cose nuove.

Tra le varie esperienze con le quali ti sei misurato c'è anche la pubblicità e la moda, testimonial per importanti brand, fra cui una nota marca di caffè e di automobile, oltre ad una partecipazione in un corto cinematografico, Insane Love, con Clara Alonso, la Angie della serie Violetta.
Sono proposte arrivate sempre con molta naturalezza, senza mai cercarle. Alcune di più e altre di meno si sono, comunque, rivelate esperienze positive. Mi piacerebbe farne di più. Certamente occorre dosarle, fare delle scelte oculate. Se c'è qualità, perché no? Credo comunque che le "intrusioni" di un danzatore in altri campi, oggi, con la globalizzazione generale, sono accettate. Lo vedo anche nei social, fino a qualche anno si storceva il naso quando i ballerini postavano le foto di se stessi, autopubblicizzandosi. Oggi è normalissimo, ed io sono diventato uno di loro. Tra le esperienze che reputo importanti, e che mi piace fare, c'è anche il famoso Concerto di Capodanno, che è una delle entità più caratteristiche dell'Opera viennese. Si lavora con le telecamere e non con un pubblico vero e proprio. Spesso durante la stagione facciamo tanti spettacoli molto più pesanti ma che rimangono comunque circoscritti dentro il teatro. Invece il mezzo televisivo ha un potere enorme perché così raggiunge milioni di persone. Il balletto di solito si registra ad agosto, e le immagini vengono trasmesse durante la diretta del Concerto. È un modo intelligente per raggiungere il grande pubblico.

Il successo, la visibilità, alimenta una forte esposizione di sé. Come vivi la notorietà? Che importanza dai a questo aspetto?
La notorietà, ovviamente, è una conseguenza del mestiere e appartiene inevitabilmente a tutti gli artisti. Certamente fa piacere, in alcuni casi, essere al centro dell'attenzione. È comunque una responsabilità, che porta innanzitutto a dover rispettare la propria immagine, riflettendo su ciò che è il proprio lavoro.

Tra i grandi nomi della coreografia, uno di questi è John Neumeier con il quale hai avuto modo di lavorare.
Un mito per tutti noi, che conoscevo già ai tempi della scuola di ballo. Ho danzato in parecchi suoi lavori, ma non con la sua compagnia. Per l'Opera di Vienna ha creato appositamente La leggenda di Giuseppe, e io ho danzato in Nijinskj, Vaslav, Bach Suite III. Sono stato scelto nella parte di Giuseppe e, felicissimo, ho potuto provare il ruolo con lui. L'approccio con il suo lavoro è diverso da quello che compie normalmente un ballerino classico. Non è stato facile e oggi lo affronterei sicuramente in modo diverso. Quel ruolo, comunque, lo sentivo dentro di me, e mi è piaciuto interpretarlo soprattutto nella seconda stagione in cui lo abbiamo ripreso. Ero più sicuro. Tecnicamente è molto pesante e difficile, anche perché per 50 minuti non esci mai di scena. Alcuni personaggi dei suoi balletti sono difficili da interpretare perché, credo, legati ai danzatori per cui li ha creati. Con Neumeier c'è molto lavoro mentale, che ti costringe a pensare e questo arricchisce moltissimo. Nelle sue opere ogni movimento ha un significato forte e attraverso esso riesce ad esprimere concetti e pensieri ben precisi. È una persona alla quale ci si deve affidare, devi credere in lui e seguirlo altrimenti qualcosa non funziona.

Fra i balletti interpretati fino ad oggi ce n'è uno al quale sei particolarmente legato?
Sicuramente il Don Chisciotte di Nureyev, il ruolo più difficile che io abbia ballato; e anche Raymonda, sempre di Nureyev, nel personaggio di Abderachmann, ruolo che mi ha portato fortuna in quanto, per questa interpretazione, sono stato nominato per il prestigioso "Prix Benois de la Danse" a Mosca, lo scorso maggio. Le coreografie di Nureyev sono impegnative ed è sempre una sfida interpretarle però è una grande soddisfazione, un piacere e un orgoglio riuscire ad eseguirle: ci si sente così forti che senti di poter ballare qualsiasi cosa. Un altro coreografo che apprezzo molto è John Cranko, ruoli come Mercuzio nel suo Romeo e Giulietta, o Lensky nell'Onegin, mi hanno regalato molte emozioni.

Quali sono le creazioni contemporanee nelle quali hai danzato?
Mi piace molto Vertiginous Thrill of Exactitude di William Forsythe con il quale ho avuto anche la possibilità di lavorare a Francoforte, sempre grazie a Legris. L'opportunità che mi è stata concessa la considero una vera fortuna dal momento che, spesso, le sue creazioni sono rimontate dai suoi collaboratori. Forsythe trasmette tanta energia e fa sentire bene con se stessi. A volte succede che dopo aver trascorso ore e ore in sala a provare dei passi che immagini in un certo modo, bastano poi tre minuti con la persona giusta che dona un'energia diversa, e tutto cambia all'improvviso. Con Forsythe è stato così, ricordo che focalizzava molto il fatto di dover dimostrare al pubblico quello che tu sapevi fare e non quello che non sapevi fare. Questo insegnamento spesso non è così chiaro per un ballerino, poiché siamo abituati sin dalla scuola a sentir dire diversamente.

Cos'è importante per essere un bravo ballerino?
È sempre la combinazione di diversi aspetti, ma indubbiamente il talento e il duro lavoro, la disciplina, la dedizione completa e anche un po' di fortuna.

Si può dire che si balla prima con il cuore e la mente che con il corpo? Il corpo viene dopo?
Ho la sensazione, in generale, che si stia perdendo l'essenza della danza, poiché si tende a valutare un ballerino anzitutto tecnicamente. Nel balletto classico è facile cadere in questo, può capitare che uno giri e salti magnificamente ma poi si trova a ballare con una musica e non sa muoversi. Se guardi i filmati dei grandi ballerini di un tempo si può osservare che forse erano meno puliti tecnicamente però ballavano in maniera molto più musicale. Ovviamente oggi ci sono ballerini stupendi, anche se mi sembra che alcuni hanno perso un po' questo senso e si concentrano molto sull'estetica o sulla tecnica, che certamente è importante. Quando invece c'è l'anima in colui che danza, egli cattura subito il pubblico perché arriva l'emozione. È quello a cui io aspiro, che mi piacerebbe essere, e che mi piace anche vedere negli altri. Nelle scuole di danza classica, soprattutto nelle maggiori, si guarda molto, direi quasi in maniera estrema, alle doti fisiche, quasi da ginnasta, perché la danza oggi è molto cambiata, si è evoluta con corpi sempre più dotati. Quello del ballerino è un mestiere difficile, perché costa così tanti sacrifici che se non lo si ama fortemente non lo si può fare.

Quale è la maggiore soddisfazione del tuo lavoro?
Sicuramente quando raggiungo un traguardo. È bello quando sai di aver dato tutto il possibile per raggiungere qualcosa anche se, spesso, non è esattamente come te lo immagini o come pensi sia la strada per raggiungerlo. Mi sento con la coscienza sporca se inizio uno spettacolo consapevole del fatto che avrei potuto prepararmi meglio e dare di più, o di essermi limitato nella preparazione. Cerco sempre di dare il massimo in quello che faccio.

In cosa ti aiuta la danza come persona?
Mi ha dato il senso della disciplina, e mi ha fatto capire che per raggiungere un obiettivo bisogna lavorare molto. Andare via da casa, lontano dai genitori, mi ha costretto a crescere molto velocemente. Questo ha significato diventare responsabile già da piccolo, rendendomi forte. La danza mi aiuta a mantenere uno stile di vita sano, è quasi un obbligo. Certamente non tutto va a gonfie vele o è bello. Ci sono tanti momenti difficili e vanno messi in conto anche gli infortuni che, se accadono, per un ballerino diventano situazioni pesanti poiché il corpo è il suo strumento.

I futuri appuntamenti per il 2018?
Il balletto Carmen di Amedeo Amodio, a marzo al Teatro Olimpico di Roma; a maggio in Giappone con l'Opera di Vienna con Il Corsaro; a giugno, a Vienna, con Giselle; e il 21 e 22 luglio al Teatro La Fenice di Venezia per il Gala internazionale di danza ideato da Daniele Cipriani.

Lunedì, 26 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Sono i 40 anni della compagnia Aterballetto e a quarant'anni la maturità e la voglia di cambiamento nel segno di un'identità acquisita e consolidata stanno nell'ordine della cose. «Nata nel 1977 come Compagnia di Balletto dei Teatri dell'Emilia Romagna diretta da Vittorio Biagi, dal 1979 ha assunto la denominazione Aterballetto sotto la guida di Amedeo Amodio. Formata da danzatori solisti in grado di affrontare tutti gli stili, Aterballetto gode di ampi riconoscimenti anche in campo internazionale. Dopo Amedeo Amodio, che l'ha diretta per quasi 18 anni, e Mauro Bigonzetti direttore artistico dal 1997 al 2007 e Coreografo principale della Compagnia fino al 2012, dal 2008 la Direzione artistica è affidata a Cristina Bozzolini, già prima ballerina stabile del Maggio Musicale fiorentino». Un sintetico excursus storico che dà conto di una realtà longeva, per certi versi all'avanguardia nel panorama della storia recente della danza che vive nel più ampio contesto della Fondazione Nazionale della Danza, fondazione nata nel 2003 e naturale prosecuzione del Centro della Danza, già Centro Regionale della Danza. La Fondazione Nazionale della Danza con soci fondatori la Regione Emilia-Romagna ed il Comune di Reggio Emilia svolge la sua attività principale di produzione con il marchio Aterballetto, ma in essa confluiscono alcune fra le più significative esperienze maturate nel campo della danza non solo nell'ambito della regione, bensì dell'intero Paese, che ne fanno un'esperienza unica sul territorio nazionale: Corsi di Alta Formazione Professionale per Giovani Danzatori ed Insegnanti, l'organizzazione di manifestazioni e rassegne di danza, di iniziative di promozione e diffusione della danza volte ad approfondire e stimolare l'interesse e la conoscenza del pubblico verso questo linguaggio. Ed è in questo contesto storico e del presente che pare doveroso contestualizzare la nomina a direttore della Fondazione Nazionale della Danza di Gigi Cristoforetti, ideatore e direttore artistico di TorinoDanza che succede a Giovanni Ottolini e di Pompea Santoro quale direttore artistico che assume il ruolo di Cristina Bozzolini. Il neodirettore Gigi Cristoforetti pone l'accento sul cambiamento dei vertici di Aterballetto e sui futuri progetti della fondazione.

«I cambi di direzione sia per quanto riguarda TorinoDanza che per il mio ruolo nella Fondazione Nazionale della Danza sono stati caratterizzati da uno stile che, mi verrebbe voglia di dire, si riscontra poco nei passaggi di consegne in Italia. Credo che questo sia un bel segno di maturità e di responsabilità che non deve essere dato per scontato e che mi piace sottolineare. Fabrizio Montanari e Azio Sezzi, i presidenti entranti e uscenti, così come Giovanni Ottolini sono stati molto accoglienti, abbiamo lavorato bene insieme per un passaggio non traumatico, ma rispettoso dell'istituzione che presiedo e della sua storia, oltre che della sua identità».

Insomma nessun cambiamento traumatico, nessuna rivoluzione all'orizzonte?
«Rivoluzione no, ma molte novità, spero proprio di sì. Per quanto riguarda la compagnia credo che siamo al cospetto di un ensemble maturo, che ha saputo negli anni rinnovare il suo repertorio e che è un'eccellente compagnia».

Se si pensa a lei si pensa anche a una danza contemporanea un po' di rottura...
«L'Aterballetto è una compagnia che danza e questo è da ribadire. In questa direzione della danza si pone il lavoro realizzato con Hofesh Shechter e Cristiana Morganti, in scena all'interno del Festival Torino Danza e a Gorizia in occasione di NID New Italian Dance Platform. E se lo specifico di Aterballetto è la danza non mancheranno occasioni per coniugare danza e teatro. In particolare penso ad una coproduzione rivolta proprio al mondo italiano del teatro».

Ha in cantiere già qualcosa che va in questa direzione?
«In programma abbiamo la realizzazione di una coproduzione che porterà alla messinscena della Tempesta di Shakespeare col coreografo Giuseppe Spota. L'idea è quella – quando possibile – di esplorare il rapporto fra danza e teatro, tendendo conto che oggi stabili e tric hanno la possibilità di aprire sezioni dedicate alla danza, in una prospettiva di diversificazione dei pubblici, nella consapevolezza che sempre più spesso la scena contemporanea vede la coesistenza di danza e teatro. Nel segno di una memoria della contemporaneità si pone la coproduzione col teatro Bellini di Tango Glaciale di Mario Martone, spettacolo del 1982 che il regista napoletano realizzò con la sua compagnia Falso movimento mostrando le strette connessioni possibili fra teatro e danza. A distanza di tanto tempo riproporre Tango glaciale è un modo per documentare ciò che è stato non per nostalgia ma per meglio comprendere quello che accade oggi o come siamo arrivati a fare quello che oggi si fa in scena».

Tutto questo con che obiettivo?
«Teatro e danza hanno una loro complementarietà, i rapporti fra i due linguaggi sono spesso materia degli allestimenti contemporanei, di questo bisogna tener conto e bisognerà farlo sempre di più. Ciò ha una sua influenza non solo sulle programmazioni, ma anche sul pubblico. Tenendo conto di questo scenario il mio obiettivo è mettere in atto ogni possibile strategia per favorire una promozione della cultura della danza sul territorio e in Italia».

In che modo?
«Reggio Emilia è sede della Fondazione Nazionale della Danza che credo possa avere tutte le potenzialità necessarie per avviare una promozione della cultura della danza che non si limiti alla produzione di spettacoli, ma possa offrirsi come punto di riferimento per chi vuole programmare, diffondere, far conoscere il linguaggio della danza».

Concretamente questo come si può realizzare?
«Con la capacità di creare reti e azioni comuni. L'aspetto produttivo è importante, ma non è l'unico, soprattutto per un soggetto pubblico come è la Fondazione Nazionale della Danza in cui forte è la partecipazione del Comune di Reggio Emilia e della Regione Emilia Romagna. Per questo motivo ho avviato una serie di incontri con Platea dell'Agis, il network che riunisce tutti i teatri nazionali e i Tric con l'obiettivo di metterci al servizio di quelle realtà teatrali italiane che vorrebbero avere un cartellone di danza, ma non hanno competenze al loro interno, oppure vogliono appoggiarsi alle competenze maturate in fondazione. La Fondazione Nazionale della Danza potrebbe contribuire a diffondere la danza contemporanea nei teatri italiani con in più la possibilità di offrire pacchetti formativi e informativi che contribuiscano a costruire un tessuto di informazioni atte a rendere lo spettatore sempre più consapevole. A questo sguardo di promozione e diffusione della cultura della danza in Italia si deve, poi, inevitabilmente affiancare uno sguardo all'estero».

E come?
«Da un lato è sempre più necessario costruire relazioni internazionali, avere partner europei che permettano di costruire occasioni di incontro e confronto, che siano da stimolo a chi fa danza in Italia ma che rappresentino anche un'occasione per allargare lo sguardo dello spettatore. Si tratta di coltivare un respiro sempre più internazionale attraverso momenti di programmazione (la Nid- piattaforma della danza italiana, sarà a Reggio nel 2019) e di promuovere e far conoscere quanto la danza italiana può offrire anche oltreconfine. Non solo Aterballetto, naturalmente».

In tutto ciò la Fondazione Nazionale della Danza avrà un ruolo centrale?
«Lo dice il suo stesso nome. Mi piacerebbe che Reggio Emilia e Fondazione Nazionale della Danza sempre più fossero il punto di riferimento nazionale per la danza contemporanea, sia per conoscere le tendenze europee e internazionali, sia permettendo a chi viene da fuori di avere contatti concreti con il panorama e gli artisti della danza italiana. Devo dire che questa vocazione internazionale e la capacità di lavorare in modo flessibile e interattivo è già connaturato in Aterballetto piuttosto che in fondazione. Si tratta di un buon segno, di una predisposizione importante che permette veramente di lavorare in una direzione volta a potenziare la capacità non solo produttiva ma anche culturale della danza nell'ambito dello spettacolo dal vivo. Insomma le premesse ci sono, ora bisogna lavorare perché tutto ciò si realizzi pian piano, ma con l'idea che fare danza oggi vuol dire fare nuove creazioni, ma anche lavorare nella direzione di una consapevolezza culturale.».

Giovedì, 22 Febbraio 2018
Pubblicato in Interviste

Diego Tortelli, bresciano di origine, scaligero di formazione, danzatore e fra i migliori coreografi del momento, ha recentemente debuttato con il Balletto di Toscana Junior diretto da Cristina Bozzolini con un'acclamata "Bella Addormentata". Danzatore nel "Ballet de Teatres de la Generalidad" di Valencia, prosegue il suo percorso di danzatore nella compagnia "Luna Negra Dance Theatre Chicago", con il coreografo e Direttore Artistico Gustavo Ramirez Sansano. Nel 2012 lascia Chicago per entrare nel prestigioso "Ballet National de Marseille", sotto la Direzione dell'architetto/coreografo Frederic Flamand. Diego Tortelli ha danzato il repertorio di prestigiosi coreografi come Ohad Naharin, Nacho Duato, Angelin Preljocaj, Gustavo Ramirez Sansano, Jiri Kiliàn, Thierry Malandain, Asun Noales, Goyo Montero, Carolyn Carlson, Olivier Dubois, Richard Siegal, William Forsythe, Lucinda Childs e molti altri. Maitre de Ballet al Teatro Massimo di Palermo dove ha rimontato "Orfeo ed Euridice" di Frederic Flamand. È stato Guest al "Bavarian State Ballet" a Monaco e freelancer e assistente per "The Bakery" compagnia diretta da Richard Siegal, ha collaborato recentemente ad una produzione in Olanda al "Korzo Theatre" per una produzione di NDT. Attualmente danzatore per la compagnia "Ballet of Difference" diretta da Richard Siegal a Monaco e in alcune produzione della compagnia di Barcellona"La Veronal" diretta da Marcos Morau. Coreografo innovativo, ha creato "Recapitulo" per i danzatori di Luna Negra e "Descaminos de Dos" firmato con Mattia Russo ora in repertorio presso alcune compagnie internazionali come quella "Nazionale di Danza di Madrid" e la compagnia olandese "Introdans". Per il gruppo di Pompea Santoro "Eko Dance Project" ha creato "Carmen Fantàsia" e "Cursus". "Vitrea Vultus" per il festival di danza MilanOltre, "Vox Moltitudinis" per il teatro Massimo di Palermo e "Pasiphae" per la sua compagnia su Milano, piattaforma di ricerca personale che sta creando con l'appoggio del festival MilanOltre e Sepama SRL. Da poco ha creato il suo primo titolo a serata intera "Bella Addormentata" per il Junior Balletto di Toscana sotto la direzione di Cristina Bozzolini. Nel 2018 sarà accompagnato da Aterballetto nella sua ricerca artistica.

Carissimo Diego, per iniziare, vorrei che tu aprissi il libro dei ricordi, parlandomi del preciso istante in cui hai scoperto l'arte della danza per proseguire con i primi insegnamenti, le prime emozioni in palcoscenico... Come si è creata ed evoluta la passione tersicorea che poi si è trasformata in professione?
Mia madre racconta che quando era incinta di me l'unico modo di farmi tranquillizzare fosse ascoltare la "Lacrimosa" di Mozart con le cuffie e una vecchia radiolina analogica, quindi la musica è stata parte di me ancora prima di nascere ed è sempre servita a tranquillizzarmi, focalizzarmi, prendere un respiro. Ho utilizzato lo stesso brano e la stessa radiolina analogica in un mio lavoro per Milano Oltre nel 2016 "VITREAE VULTUS" "SGUARDO VITREO". Sono sempre stato un bambino abbastanza troppo attivo e difficile da controllare, saltavo ovunque e per me videogiochi e televisione non erano una opzione di passatempo. La mia famiglia ha provato prima di tutto a iscrivermi a calcio, poi basket finché un giorno ho visto il "Don Quijote" danzato dall'American Ballet e quel giorno sono rimasto attaccato alla televisione per ore, cercando di riprodurre ciò che Baryshnikov stesse facendo. Da quel momento, all'età di dieci anni ho iniziato la danza. Solo successivamente all'età di quattordici anni, vedendo uno spettacolo di Mauro Bigonzetti a Crema, in specifico "Sogno di una notte di mezza estate" riaffiora il ricordo di aver preso la decisione che quella era la mia strada ed era quello che desideravo fare con tutto me stesso. A quel punto i miei genitori hanno deciso di investire in questo mio sogno portandomi in una scuola professionale a Brescia, "Studio 76" la cui direttrice Alessandra Angiolani ha reso il mio sogno realtà, spingendomi costantemente a migliorare tecnicamente e sopratutto insegnandomi "costanza", "amore" "sudore" e senza mai perdere me stesso, cercando di conformarmi con il resto. Mi hanno reso un danzatore duttile ancora prima di saperlo.

Le esperienze fino ad oggi in compagnie prestigiose, sia nazionali che internazionali, in quale modo ti hannoarricchito non solo artistico ma anche umano?
Ho un animo "nomade", ho sempre pensato che per danzare bene e con piacere, avessi anche il bisogno di vivere bene la mia vita privata e sviluppare relazioni esterne al circuito della "danza", necessità che mantengo tuttora. Il mio sogno è sempre stato "danzare", ma allo stesso tempo è sempre stata anche la necessità di "viaggiare" e "conoscere" nuove lingue, nuovi stili, nuove culture. Queste necessità mi hanno portato a vivere e conoscere la Spagna, l'America, la Francia, la Germania, e viverle tutte a stretto contatto. Ho anche avuto la fortuna che tutti questi Paesi, nascondessero nuove esperienze per me e che mi abbiano aiutato non solo a ricrearmi, ma ad affrontare lavori diversi, processi creativi disparati, estetiche differenti, pubblici variati. In tutti questi anni e in tutti questi Paesi, ho imparato a credere in me stesso, a non diminuire il mio valore, ma anche a non esaltarlo (errore che facciamo spesso nella giovinezza) e sopratutto ad essere indipendente nelle mie scelte, a correre rischi e ad innamorarmi costantemente della vita.

Cosa ti ha spinto a lasciare l'Italia?
Dopo essere stato bocciato al 7° corso in Scuola di Ballo della Scala, un anno prima del diploma a causa di una personalità "ribelle", e quindi non essere riuscito a concludere i miei studi al Teatro, ho capito che avevo una grande necessità di allontanarmi da quella realtà e capire cosa fosse necessario per mantenere la mia "passione" e questa "magia" che sentivo nel muovermi, e nel desiderio di non conformarmi estremamente con un "accademismo" che non rispecchiava i miei "desideri" o "passione". All'età di diciotto anni, ho incontrato colei che tuttora non è solo la mia "maestra" e "amica", ma anche la mia socia Selene Manzoni, che mi ha aperto gli occhi a una visione della danza classica a me sconosciuta, che lei ha sviluppato nei suoi studi in America e in Francia. Grazie a lei ho iniziato a passare molti mesi a Parigi e a studiare con tantissimi maestri che hanno potenziato il lavoro che avevo già intrapreso alla Scala, e quindi mi ha aperto gli occhi a questa mia necessità di cambio, di viaggiare e di conoscere. Ci tengo molto anche a dire che ringrazio infinitamente i due anni trascorsi alla Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala di Milano, soprattutto il 6° corso con il Maestro Paolo Podini che mi ha letteralmente insegnato a "volare con disciplina" e che ha sempre creduto molto in me.

Com'è nata l'esigenza di creare un qualcosa di tuo? Quando hai iniziato la tua carriera di danzatore sapevi già di voler diventare coreografo in seguito?
Nel mio caso la passione per la coreografia è cresciuta di pari passo con la passione nel danzare. Fin da piccolo organizzavo con i miei amici dei piccoli showcase in cui davo libero sfogo alle mie necessità di composizione, oppure cercavo di coreografare nuovamente i balletti che vedevo su MTV realizzati dalle grandi Pop Star del momento. Ancora prima di scendere a Roma e frequentare "l'Accademia Nazionale di danza" avevo intrapreso gli studi al Liceo tecnologico con indirizzo architettura per la necessità e il desiderio di conoscere di più sulla composizione, la linea, la curva. Nel passare degli anni come danzatore sono stato attratto dall'incontro con nuovi coreografi, capirne il processo creativo e le scelte che prendevano per raggiungere il risultato voluto. Son sempre stato attento, non solo a ciò che mi veniva richiesto di eseguire come danzatore, ma anche da come poco a poco componevano il lavoro con gli altri danzatori, le scelte che prendevano. Per questo dico che le due passioni di "danzatore" e "coreografo" son andate crescendo di pari passo, ho solo tardato un pochino di più nel trovare il "coraggio" di mostrare entrambi i lati e sentirmi sicuro nel farlo, sapendo che il pubblico è composto da individui che hanno tutto il diritto di sentirsi toccati o no da un lavoro.

Da dove trai ispirazione per le tue coreografie?
Sono anni che colleziono idee, sogni che desidero trasporre sulla scena. Non "traggo" ispirazione, semplicemente arriva a volte da uno stato emotivo, da una frase sentita o letta, da una immagine vista, da un suono specifico, da una danzatrice, da un danzatore. Un piccolo esempio potrebbe essere quando a capodanno sono andato a vedere il film "Napoli Velata" di Ferzan Ozpetek; nonostante il film non mi abbia avvolto completamente, è bastata una frase per accendere il 'duende': "...al pubblico piace una realtà velata" (...) "è la mia vita che è leader di me stesso..." trovo in queste due frasi un mondo che si può trasformare in una creazione futura. Mentre per "Domus Aurea", creazione che realizzerò per Aterballetto nel 2018, l'ispirazione è nata dal desiderio di collaborare con un artista internazionale, e mio compaesano, che crea strutture in luce, Massimo Uberti e da un monologo che dieci anni fa avevo visto in Francia dell'opera "La morte di Nerone" di Marceu Felicien. Ogni ispirazione, come ogni creazione rappresenta un determinato momento, istante, nonostante questo istante si fermi scritto su un foglio per dieci anni, ma questo foglio non svanisce, si sviluppa nella mia mente finché arriva il momento o l'opportunità giusta per poi prendere forma.

C'è un sottile filo che lega i tuoi oppure, anche tematicamente, si distaccano completamente uno dall'altro?
Nonostante questo sottile filo sia a volte persino impercettibile per me, tutte le creazioni che ho fatto finora sono connesse tra di loro, da un colore, da un elemento e a volte persino da una tematica che si ripete. Non ho paura nel ripetermi, non penso sia un "fallimento", anzi per me è il coraggio di insistere su una ricerca personale, correndo il rischio di una ripetizione di elementi che alcuni possono definire in "firme". Per me non si tratta di "firme", troppo presto per definirle tali, ma si tratta di approfondire qualcosa finché io possa decidere di aver svuotato completamente quel contenitore per poi aprirne un altro. Per esempio in tutti i miei ultimi lavori si ripete il colore rosso, bianco, oro, le maschere, rielaborazione di brani classici, strumenti che producono suoni sulla scena. Ho una sequenza di quattro lavori diversi che affrontano il tema di "labirinto": VOX MOLTITUDINIS per il Teatro Massimo di Palermo, VITREAE VULTUS per Dancehaus Milano, CURSUS per Eko Dance Project e PASIPHAE per la mia compagnia in nascita su Milano.

Come ti poni a livello musicale nella narrazione e creazione?
Negli ultimi due anni, mi accompagna nella ricerca musicale il mio caro amico e collaboratore Francesco Sacco, giovane musicista e compositore con base a Milano. Entrambi per ogni diversa creazione utilizziamo la musica sulla base di diverse esigenze della Scena che vogliamo creare. La musica può essere ciò che ti trasporta emotivamente, ma anche può essere una connotazione storica o temporale, può essere ritmo per il danzatore che la danza, può fare da contrasto in una scena estremamente drammatica rendendola più leggera o accompagnarla nel dramma. Ogni creazione ha una necessità e un approccio musicale diverso.

Quanto gioca la singola fantasia nell'arte del movimento? Ritieni sia un ruolo essenziale, non solo per chi
crea ma anche per chi assiste?
Sono estremamente affascinato dal corpo, dal suo potenziale e dalla sua organicità e allo stesso tempo distorsione. Buona parte del mio processo di ricerca che sviluppo sopratutto con i miei danzatori su Milano, consiste nella ricerca di un linguaggio proprio! Allo stesso tempo, penso che il linguaggio del corpo sia poi anche una necessità legata alla scena che si vuole rappresentare e quindi questa ricerca non deve essere solo fine a se stessa o nella ricerca di un "marchio", ma si evolve e adatta sulla base del tema o drammaturgia del lavoro in corso.

Per il momento sei riuscito a seguire le tue sole esigenze, idee e anche sensazioni senza doverti strategicamente accostare a quelle dettate dal momento e dalla moda?
Nella nostra vita quotidiana siamo ricoperti da immagini, spot pubblicitari e penso che tutti ne siamo succubi volontariamente e involontariamente, l'importante è esserne coscienti. Sicuramente affronto ogni creazione attingendo e conoscendo il mio "passato" e la storia, vivendo il "presente" e soprattutto guardando al "futuro". Questo è un insegnamento che mi porto sempre da parte di Cristina Bozzolini. Frederic Flamand inoltre mi disse un giorno: "C'è chi segue le tendenze, e chi invece le crea. Entrambi hanno valore ed entrambi hanno la possibilità di creare poesia. Non ossessionarti mai con l'obiettivo di fare avanguardismo, perché se lo stai facendo non te renderai nemmeno conto e saranno gli altri a definirlo tale. In ogni caso che lo definiscano avanguardista o no devi sempre realizzare quello che desideri ed emozionarti guardando il tuo lavoro in scena, ma non dimenticarti che esiste un pubblico che ha tutto il diritto e desiderio di portarsi a casa qualcosa".

Con Cristina Bozzolini che rapporto ti lega e come è stato lavorare al suo fianco per la tua celebre "Bella Addormentata"?
Con Cristina Bozzolini c'è una grandissima affinità e stima. La ritengo una persona fondamentale per la mia crescita artistica e personale. La porto nel cuore con un affetto immenso, e ci lega una relazione talmente forte dopo aver affrontato "Bella addormentata" che non svanirà mai e va ben oltre il rispetto nella relazione tra coreografo e direttore. Ha avuto una grande fiducia in me fin dal primo momento ascoltando ogni mio desiderio, inquietudine e appoggiandomi costantemente. Ci siamo divertiti talmente tanto in questa creazione. Mi ha insegnato come essere un "direttore" un giorno, a dare valore al mio lavoro. Se potessi scegliere con chi cenare questa sera, sarebbe sicuramente con Cristina Bozzolini!

Ogni coreografo ha un suo stile ben definito e riconoscibile. Come ti piacerebbe fosse definito lo "stile Tortelli"?
Lo "stile Tortelli" per ora rappresenta la mia storia, le mie esperienze, le mie scelte. Mi hanno segnato soprattutto i coreografi meno famosi con cui ho lavorato in questi dodici anni, i cui stili si possono leggere nella mia ricerca, che poco a poco, diventa sempre più personale. Dico i piccoli coreografi perché sono quelli che hanno avuto più tempo ed energie da dedicare nelle commissioni per le compagnie, e nel creare nuovi lavori e non riproposizioni di opere già esistenti. Lo "stile Tortelli" per ora lo definisco come "IL LABIRINTO DI DEDALO": Una danza spezzata che vuole raccontare la tragedia e innovazione costante del Corpo, una danza che non aspetta il tempo che scorre, ma che lo plasma a suo compiacimento velocizzando e rallentando le ore, caratterizzata da movimenti più rigidi e geometrici, incorporando contorsioni degli arti e controllo delle braccia, creando con il corpo forme geometriche mosse intorno al suo asse progressivamente per mostrarne la sua destrezza, bellezza, distorsione e memoria. Una danza basata sulla rapida contrazione e successivo rilassamento dei muscoli, che causa una sorta di scatto nel corpo del danzatore creando un effetto surrealistico quando accosta il ballerino umano ai movimenti innaturali che vengono eseguiti. Le articolazioni sono una sorta di cerniere che possono essere manipolate da altre parti del corpo come il labirinto di Dedalo dotato di una sola entrata e nessuna uscita, poiché l' unico modo di annullare il labirinto è abbandonarsi alla sua follia e creatività per poi ritrovare nel suo centro uno specchio che svela noi stessi...

Tra poco debutterai con la nuova creazione "Tutti sono Lorca", cosa dobbiamo aspettarci e perché la scelta di questo tema?
"Tutti sono Lorca" è una creazione per 6 danzatori che ci vuole far addentrare nelle memorie di uno dei più famosi FANTASMI SPAGNOLI; è quel luogo segreto, oscuro ed estremamente intimo in cui giacciono le sue ossa, quelle ossa surclassate da una lapide senza nome. Come è scritto su un cippo tra gli ulivi, "tutti erano Lorca", e la loro comune tomba è la campagna Andalusa dalla crosta dura, di zolle pesanti. Mistero, Amore e Morte sono i tre temi onnipresenti nelle sue opere, ma anche nella sua biografia. Il fatidico 19 o 20 agosto 1936 scompare l'uomo, e il mondo dell'uomo. ma rimangono tenerezze che da nessuna morte potrà essere sminuita, rimangono le intime, indecifrabili notizie che ci raccontano la sua musica, le sue parole scritte e la gravitazione dell'amore che ci giustifica. "Tutti sono Lorca" ridona a Federico un volto, una voce, un respiro, un grido, un paesaggio, una struttura, una plastica armonia, una nuova luce che lo rischiara, anche se il suo destino è già scritto e non è la vittoria, ma una sconfitta fatta di polvere. Tramite la sua autobiografia, la messa in scena ci racconta la sua grandezza umana, recuperare quel senso di pietà che non esiste più ai nostri tempi e quel soffio vitale di poesia che lo fa rivivere per sempre, con intatta commozione e tenera passione. La sua anima assorbì la realtà, la poesia gli strizzò l'anima! Ho scelto Garcia Lorca per questa creazione a serata intera perché volevo attingere anche dal mio passato, e i miei quattro anni vissuti nel sud della Spagna, la mia prima esperienza fuori dall'Italia. Leggendo le sue opere ho imparato la lingua spagnola, il che mi ha aiutato a conoscere di più me stesso e a sentirmi indipendente, forte e di conseguenza anche ad apprezzare la decisione di "solitudine" in determinati momenti.

Oggi la tua seconda casa è in Germania a Monaco presso il "Ballet of Difference/Richard Siegale", come ti trovi sotto il profilo sociale, culturale ed artistico in questo Paese e nella compagnia?
La Germania per me rappresenta quel luogo in cui il lavoro ha la sua priorità, ogni volta che parto per le produzioni in Germania, che mi occupano 3\4 mesi all'anno, devo mettere una pausa su tutto il resto. Nonostante questo suoni molto drastico e possa avere una sfumatura di negatività; in realtà Munich è quel luogo dove posso scappare e fare con certezza quello che so fare, sotto delle condizioni ottimali che purtroppo in Italia ancora non esistono. Il livello artistico nella compagnia di Richard Siegal è elevatissimo e siamo una collezione di solisti che vengono da tutto il mondo: Asia, America, Europa, Australia che si incontrano per produrre e creare lavoro sotto le migliori condizioni economiche, ed artistiche. Munich è una città molto attenta all'arte e sopratutto alla produzione di "arte" con un grande focus verso la "danza". Per ora l'ho solo vissuta come danzatore, ma c'è un possibile progetto nel 2019 in cui creerò un lavoro per un festival a Munich con i miei danzatori e collaboratori di Milano. Ne sono estremamente contento!

Hai lavorato anche con Pompea Santoro e con i suoi ragazzi, qual è il suo punto di forza e cosa ti rimane di quella felice esperienza?
Pompea Santoro, è la prima persona in Italia che mi ha aperto le porte per creare due lavori corti per il suo gruppo a Torino. Grazie a lei mi sono sentito accolto come coreografo nel mio Paese e mi ha spinto ad una ricerca personale dandomi nelle mani un gruppo di giovani danzatori con una forte preparazione tecnica. Senza queste sue prime opportunità, non sono certo, che avrei potuto avere tutti questi meravigliosi progetti in cantiere nei prossimi anni. Il punto di forza di Pompea è sicuramente la sua carriera come interprete internazionale, la sua passione estrema per la danza che danza e l'amore estremo che nutre per i suoi ragazzi.

In veste di danzatore, quali sono stati i momenti che ti hanno particolarmente contraddistinto?
Sicuramente l'incontro con Gustavo Ramirez che ha segnato il mio modo di danzare, Frederic Flamand ha segnato il mio modo di pensare e la concezione di spettacolo e processo creativo, Richard Siegal mi ha segnato perché mi ha dato la libertà di essere completamente me stesso in scena, ha dato sfogo alla mia "follia". Uno dei momenti che non dimenticherò mai è stata la tournée a Perth in Australia con "La Verite" di Fredric Flamand, un solo di 6 minuti improvvisato sotto una meravigliosa scenografia dell'architetto cinese Ai Weiwei, dove ho trovato me stesso e il mio modo di muovermi; è dove finalmente un coreografo mi ha amato per quello che avevo da proporre e non solo perché riuscivo a leggere e interpretare cosa desiderasse. È la prima volta dove mi sono sentito "musa"!

Parlami degli anni trascorsi in Scuola di Ballo della Scala a Milano?
Ho passato solo due anni nella Scuola di ballo della Scala. Dai 17 ai 19 anni. Conservo dei ricordi meravigliosi e allo stesso tempo molto duri. Sicuramente è un luogo che mi ha insegnato la "disciplina", una disciplina troppo estrema per me, una disciplina che spegneva la magia della individualità. Creare individui in quegli anni non era l'obiettivo o semplicemente essendo giovane non riuscivo a leggerlo. Ero troppo ribelle per poter sopravvivere! Fatico nel ricordare quegli anni o persino la sala ballo, forse sono stati un po' traumatici per me, anni coperti da insicurezze e desiderio di fare altro, ma senza trovarlo. Porto ancora con me delle meravigliose amicizie che esistono tuttora e che son diventate colonne portanti della mia vita di oggi.

Che esperienza ne hai tratto negli anni trascorsi al "Ballet de Teatres de la Generalidad" in Spagna?
Esperienza meravigliosa, la compagnia in quegli anni aveva un repertorio fantastico e anche delle tournée splendide. Con loro ho danzato davanti alla grande Alicia Alonso a Cuba, e ho viaggiato per tutta la Cina in tournée con "Carmen" di Ramon Oller. La compagnia era composta da danzatori maturi, meravigliosi e tutti differenti e la mia sete di imparare e vedere cose nuove è stata saziata pienamente. Valencia oltretutto è una città magnifica sul mare e sempre soleggiata; la qualità di vita era talmente alta che era impossibile non danzare al massimo delle proprie capacità. Anni pieni di grandi opportunità, ruoli, creazioni, esperienze, viaggi.

Mentre al "Luna Negra Dance Theatre Chicago"? Cosa ti ha lasciato in dote la direzione di Gustavo Ramirez Sansano?
Gustavo Ramirez Sansano, mi ha lasciato una qualità di movimento molto specifica che mi ha permesso di forgiare la mia carriera e rendermi il danzatore che sono oggi. Ci sono cose che ho imparato da lui che continuo a ricordarmi tutt'oggi. Mi ha insegnato a dare importanza ad ogni piccolo dettaglio, a connettere la mia mente con il corpo e visualizzare il movimento sia dall'interno che dall'esterno. Mi ha insegnato ad attingere da me stesso, dalle mie esperienze e dalle mie emozioni per rendermi un migliore interprete. Mi ha reso non solo un danzatore, ma anche un interprete.

Al "Ballet National de Marseille" sei stato diretto da Frederic Flamand. Come reputi il suo lavoro?
Frederic Flamand è un genio, un visionario, un artista, un grande direttore e una persona meravigliosa. Con lui ho avuto l'opportunità di danzare circondato dai lavori dei più grandi architetti del mondo. Masterpiece il "titanic" con scenografia di Fabrizio Plessi, una meraviglia. Ha cambiato la mia concezione di Teatro, purtroppo un teatro che ultimamente si vede molto raramente per mancanza di fondi. Il teatro di Flamand è una coesistenza di arti che si potenziano l'una all'altra: tecnologia, architettura, pittura, musica, danza e tutto all'eccellenza. Frederic Flamand ha segnato e segna tuttora l'estetica del mio lavoro!

Quali sono stati e chi sono i tuoi maestri, non solo materiali ma anche ideali del presente o del lontano passato?
Non ho dei maestri ideali. Sono tutti molto reali e presenti nella mia vita. La mia socia Selene Manzoni che mi accompagna in ogni mia creazione, Frederic Flamand è stato un grande maestro di estetica, il light designer Carlo Cerri con cui spero di collaborare al più lungo possibile e la mia famiglia che mi ha insegnato a realizzare e lottare per i miei sogni e che mi accompagna in qualsiasi mia scelta.

Per te cosa significa "bellezza"?
Per me la parola "bellezza" è tutto ciò che l'occhio vuole e desidera vedere. "Bellezza" è un concetto effimero e non esistente poiché estremamente individuale. Personalmente trovo la bellezza nel dramma e nell'armonia del corpo, nell'intreccio dei corpi, ma sopratutto quando qualcuno ama estremamente e gode di se stesso danzando e possedendone le sue capacità a tal punto di sentirsene libero.

La danza e l'arte del teatro cosa racchiudono in sé di così magico e al contempo imprescindibile?
La capacità di donare momenti magici e poetici ai suoi spettatori, lasciando aperta "la libera interpretazione" dello spettatore.

Qual è il balletto che hai più amato, in veste di danzatore, del repertorio e quello di danza contemporanea?
Non ho avuto l'opportunità di danzare ruoli classici importanti, ma come spettatore trovo il lavoro di Neumeier meraviglioso. Nella danza contemporanea ho amato danzare "In Medias Reis" di Richard Siegal ispirato al purgatorio di Dante nel 2016.

Cosa vuol dire per un coreografo poter lavorare con un gruppo stabile di ballerini?
La possibilità di creare per una famiglia che si conosce e accetta nei suoi pregi e difetti, il che ti permette di investigare anche su un lavoro più emotivo e accompagnare il corpo da una chimica già esistente tra i danzatori.

Stai vivendo un momento molto ricco che ti ha portato in diverse realtà di prestigio e in prestigiosi teatri. A cosa devi il tuo successo?
Alla forza di seguire sempre il mio istinto, anche se a volte in passato le mie decisioni personali di carriera potevano non sembrare adatte o giuste dall'esterno. Mi sono sempre ascoltato molto nelle mie esigenze e nelle mie priorità. L'impazienza è qualcosa che finora ha giocato in modo positivo e spero non mi nasconda brutte sorprese; perché dovrei fare domani qualcosa che posso fare oggi!!

Qual è il tratto principale del tuo carattere?
Il nomadismo, l'impazienza, la passione e l'indipendenza.

Cos'è per te la moda?
La moda per me è il modo di esprimere ciò che altrimenti sarebbe invisibile ai più. La moda quindi non è vestire alla moda o seguirla, ma interrogarsi su noi stessi. E parlarne. Per chiarirci, spiegarci e riflettere.

Ripercorrendo la storia della danza qual è il ballerino/a del passato e del presente a cui riconosci l'eccellenza?
Adoro la follia di Louise Lecavalier nel passato e nel presente.

Tra tutti i tuoi collaboratori attuali a chi vuoi dedicare una particolare dedica?
Sicuramente alla mia socia Selene Manzoni che mi accompagna da dodici anni nel mio percorso artistico e personale, è colei che mi permette di essere una persona e un artista migliore.

Nelle vesti di spettatore, in quale spettacolo di danza del grande repertorio e di quello contemporaneo, hai provato maggior entusiasmo?
Nel grande repertorio "Romeo e Giulietta" danzato da Alessandra Ferri, nel contemporaneo la creazione di Olivier Dubois fatta per noi a Marsiglia, "Elegie".

Per un coreografo quanto è importante aver avuto un trascorso di danzatore ed esecutore?
La genialità e il talento si cela in storie e percorsi diversi. Non ritengo sia fondamentale che un coreografo debba essere stato un grande danzatore o in alcuni casi proprio un danzatore, e tanto meno ogni grande danzatore può essere un coreografo.

Durante le tue masterclass o stage cosa ti piace e non ti piace nel ruolo di docente e quali sono le emozioni nell'entrare in sala danza con tanti allievi che aspettano di conoscere e apprendere i tuoi insegnamenti?
Insegnare mi aiuta a rendere chiare le mie idee e mi aiuta specialmente nel verbalizzarle. Mi potenzia come coreografo e lo utilizzo come training per riuscire a trasmettere poi il messaggio ai miei danzatori. Non mi piace essere docente in situazioni in cui ho davanti degli allievi che assistono alla masterclass solo ed esclusivamente per vedermi danzare, in quel caso non c'è dialogo e insegnamento!

Cosa pensi della nuova scena contemporanea italiana nella vetrina dedicata ai giovani "coreografi contemporanei"?
Trovo che l'Italia sia alla ricerca di un nuovo nome e di un nuovo volto e che questa ricerca porti un po' ad una grande confusione. Trovo meraviglioso ci siano opportunità per tutti, e mi ci metto anche io di mezzo, ma allo stesso tempo penso si stiano confondendo i diversi pubblici. In Italia manca una direzione chiara, non tutti i coreografi toccano lo stesso pubblico e quindi penso si dovrebbe stare più attenti nelle programmazioni anche per salvaguardare i giovani di talento che rischiano gli vengano chiuse le porte solo ed esclusivamente perché sono messi di fronte ad un pubblico che si aspetta altro.

I colori, i costumi, il trucco e le scene che posto trovano in una tua creazione?
Hanno un ruolo fondamentale, mi piace e appassiona curare ogni minimo dettaglio. Il coreografo è anche regista. Non mi piace l'idea di occuparmi solo ed esclusivamente di creare passi e buttarli in scena, amo il teatro e di conseguenza lo studio della luce, del colore, del trucco e delle scene.

La letteratura che ruolo gioco nella tua vita e nel tuo lavoro?
La letteratura, come il cinema, la fotografia e la pittura sono grandi punti di ricerca per lo sviluppo dello spettacolo. Il mondo degli appassionati di musica, si sa, è fatto soprattutto di ascoltatori e viceversa quello di danza da spettatori.

Tu Diego cosa ascolti e cosa vedi? Quali autori, stili e generi ti capita più spesso di ascoltare o ammirare per puro piacere personale?
Per piacere personale ascolto molta musica Indie-rock ed elettronica anche se non la uso molto nel mio lavoro, mi piacciono tantissimo i Velvet Underground, the XX, MGMT. Guardo moltissime serie televisive americane sulla politica, mi rilassano e mi aiutano a staccare.

Il lavoro di coreografo mette a confronto le tue idee con quelle del danzatore, a volte magari non sempre le stesse, come gestisci questo aspetto?
Cerco sempre di intraprendere un viaggio con il danzatore, far sì che anche lui\lei si innamori del progetto, del concetto, dell'idea in modo da ritrovarsi sulla stessa pagina nel svilupparlo, intraprendendo questo viaggio insieme dove io sono seduto al posto guida. Sono molto duro e impaziente nella sala prova, il fatto di avere solo 31 anni non mi blocca. Ho le idee chiare sull'atmosfera che voglio creare in scena quando affronto un nuovo lavoro, ma allo stesso tempo sono aperto a farmi sorprendere dall'interprete che ha la capacità e il potere di potenziare il mio lavoro.

Diego parlami del tuo prossimo futuro artistico e delle collaborazioni previste?
Nel 2018 creerò la mia seconda serata intera ispirata a Federico Garcia Lorca: "Lorca sono tutti" che avrà la sua prima al Teatro Ponchielli di Cremona il 24 aprile 2018 e successivamente a MilanOltre il 12 ottobre. In questa avventura sono accompagnato da Aterballetto, Sepama SRL e MilanOltre. Successivamente creerò un nuovo lavoro per Aterballetto che mi accompagna in tutto il 2018, una creazione con musica dal vivo e utilizzando la compagnia intera che avrà la prima a settembre a Torino Danza e MilanOltre. "Domus Aurea" è ispirato al concetto di costruzione-cedimento-distruzione-rinascita. Nel futuro più prossimo, c'è una creazione nel 2019 a Munich con la mia compagnia, e una collaborazione meravigliosa di tre anni con il festival MilanOltre, grazie all'appoggio del direttore artistico Rino de Pace che crede parecchio nel mio lavoro e sviluppo. Questa collaborazione mi permetterà di continuare con la mia ricerca personale e di produrre uno spettacolo a serata intera ogni anno.

Con quale criteri selezioni i danzatori per la tua Compagnia?
Li hanno definiti weird-sexy and cool (strani-sexy e cool), sono molto diversi rispetto ai danzatori che utilizzo nelle compagnie in cui sono ospite. Sono tutti differenti tra loro, con qualità, fisicità e personalità diversissime e ognuno di loro apporta qualcosa di nuovo al mio lavoro. Possono essere belli e grotteschi, disumani e onirici, drammatici e freddi!

Qual è l'aspetto più gratificante nel tuo lavoro?
La sala prova. Quando il lavoro inizia a prendere forma e i danzatori lo rendono proprio. È quel momento in cui cedi e ti rendi conto che lo hai regalato a loro e quindi diventi spettatore, li osservi li guidi mentre prendono decisioni.

Molti pensano che chi danza in gruppo o nelle ultime file sia un ballerino di secondo livello. Cosa ne pensi a riguardo?
Penso che a volte il mondo della danza è ingiusto e non è la posizione che occupi in scena che ne definisce il talento. Ci sono moltissimi fattori che ti rendono un solista, non si tratta solo di preparazione tecnica, ma anche di fortuna e sicurezza in se stessi ed essere al posto giusto nel momento giusto. Ho visto danzatori meravigliosi a cui non è mai stata data una opportunità per dinamiche interne o semplice sfortuna!

Per molti ragazzi il ballo è un'ancora di salvezza, perché riescono a recuperare se stessi. È stato così anche per te durante la tua adolescenza?
Per me assolutamente no, la mia ancora di salvezza è sempre stata la mia famiglia e le mie amicizie, la danza è sempre stata la mia passione. La mia vita la priorità. Ho sempre avuto chiaro che potevo far sorridere ed amare qualcuno solo se amavo anche me stesso.

Quanto è importante per un giovane riuscire a comunicare con il mondo attraverso il "linguaggio del corpo"?
Il linguaggio del corpo non mente, mentre le parole possono mentire. Dovremmo comunicare di più con il corpo e meno con la tecnologia.

Come si dovrebbe valutare obiettivamente un balletto?
Non penso esista l'obiettività nel mondo dell'arte e quindi è sempre fondamentale ricordarci che nel momento in cui la rendiamo pubblica siamo anche soggetti a un giudizio. Un giudizio che ha tutto il diritto di essere negativo. Lo spettatore ha tutta la prerogativa a sua volta di non comprendere un lavoro. Quello che a volte trovo ingiusto è invece giudicare prima di vedere, o entrare a teatro già con delle idee preconcette. Dovremmo tutti imparare ad essere aperti a farci trasportare da un lavoro e in caso questo non avvenga è giusto dirlo. Rimane sempre e comunque una opinione personale dell'individuo.

Per un artista reputi sia necessario reinventarsi ogni giorno?
Reinventarsi ogni giorno lo trovo molto estremo e impossibile, ci sono tempi necessari di analisi per ogni cambio. Trovo fondamentale affrontare ogni processo con i tempi necessari. Conoscere il passato, vivere il presente e guardare al futuro!

Oggi si può ancora parlare di ricerca e sperimentazione nella danza? Si possono scoprire ancora nuovi linguaggi e metodologie applicate al movimento?
Assolutamente sì, sarebbe davvero triste pensare che abbiamo già scoperto tutto.

Tra tutti i tuoi incontri per lavoro chi ha lasciato un ricordo indelebile?
Il light-designer Carlo Cerri con cui ho una fortissima connessione artistica e che stimola la mia creatività costantemente.

A volte la storia, il fascino, la magia di un luogo influenzano anche il successo e l'esito di una rappresentazione al di là della vera essenza dell'evento. Tu che rapporto nutri con i luoghi e gli spazi della danza?
Il luogo può apportare molto alla performance o allo spettacolo. La prima cosa che faccio entrando in ogni spazio o teatro è chiedermi: come posso sfruttarlo al suo massimo? se riesco a rispondere a questa domanda adatto sempre un lavoro esistente alle esigenze e potenzialità del luogo. Potenziare il luogo in cui si viene ospitati con uno spettacolo è un compito fondamentale del regista.

Nei ragazzi di oggi vi è molta fragilità. Quale messaggio vuoi dare a loro attraverso la tua danza ed il tuo percorso artistico?
I ragazzi di oggi si sforzano e convincono di avere le idee chiare già ad una giovane età, criticano troppo ciò che vedono e quindi si impediscono una crescita e scoperta più grande del loro futuro e delle loro possibilità. È come se chiudessero a volte le porte che ancora non si sono aperte. C'è troppa necessità di definirsi "artista" e ci si dimentica della passione che è la cosa fondamentale per fare questo lavoro, che ti porta a guardarti ogni giorno allo specchio di fronte a qualcuno che ti giudica o che si aspetta un risultato da te. Il mio consiglio è di imparare a leggere il coreografo, studiarlo ed essere un libro aperto per lui e lasciare che la "creatività" faccia il resto. Amare e amarsi, trovare godimento nel movimento e nella potenzialità del corpo soprattutto a una giovane età e non abbandonarsi troppo giovani a un lavoro estremamente mentale se il corpo non è ancora pronto al lavoro fisico.

Michele Olivieri

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