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INTERVISTA a WALTER VENDITTI - di Michele Olivieri

Nella foto di Elena Venditti - presso l'Atelier Tersicore di Milano - Michele Olivieri intervista il Maestro Walter Venditti Nella foto di Elena Venditti - presso l'Atelier Tersicore di Milano - Michele Olivieri intervista il Maestro Walter Venditti

Walter Venditti, nasce a Roma il 18 febbraio 1929. Viene iscritto alla scuola di danza classica del Teatro Reale dell’Opera di Roma nell’ottobre del 1936, dove inizia la sua formazione sotto la guida del M° Ettore Caorsi, che proseguirà fino alla fine dei corsi nel 1946. Nel 1937, all’età di soli otto anni, partecipa al suo primo balletto “Gli Uccelli” musica di Ottorino Respighi coreografia di Boris Georgevič Romanov. Nel 1939 partecipa alle danze nell’opera “Guglielmo Tell” come coppia solista per la coreografia di Aurel Milloss. Nel 1944 viene inserito nel Corpo di ballo del Teatro dell’Opera e con esso partecipa alla prima stagione romana presso il Teatro Eliseo di Roma. Nel 1945 entra a far parte della compagnia “Balletto di Roma”. In quegli anni si avvicina al mondo musicale e pittorico e inizia a frequentare personaggi quali, Petrassi, Turchi, Dallapiccola, Scialoja, Leonor Fini, Roman Vlad, Savinio, De Chirico e tanti altri. Dopo la liberazione d’Italia, viene invitato a partecipare alla stagione estiva ed invernale del Teatro alla Scala, con “Coppélia” di Léo Delibes, “Il Tricorno” di Manuel de Falla, “Bolero” di Maurice Ravel, “Evocazioni” di Riccardo Pick-Mangiagalli, “Follie Viennesi” di Johann Strauss jr., tutti per la coreografia di Aurel Milloss. Questa unione tra il grande Teatro milanese ed il M° Venditti proseguirà continuativamente fino al 1976. Nel 1947 al Teatro Verdi di Trieste prende parte a “Sheherazade” di Nicolaj Rimskij-Korsakov per la coreografia di Annita Bronzi; alla Fenice di Venezia balla “Lady Macbeth del Distretto di Mcensk” di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, direzione Nino Sonzogno. La Scala lo conferma per la stagione 1947-48 con il ruolo di Solista e a soli diciassette anni prende parte ai seguenti balletti: “La Taglioni” musica di Vittadini coreografia di Ansaldo, “L’Enfant et les Sortileges”, “Dafni e Cloe”, “La Valse” di Ravel su coreografia di Serge Lifar. Alla fine del 1947 conosce e collabora con il coreografo Léonide Massine per il balletto “La Sagra della Primavera” e “Pétrouchka” di Milloss. Nella stagione 1948-49, nel solo periodo invernale, prende parte a quarantadue rappresentazioni di balletti, in un programma di notevole interesse artistico e culturale: “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi, “Gaîté parisienne”, “II Carillon Magico”, “La Giara” di Casella, “Passacaglia” di Bach-Respighi. In questi balletti per la prima volta Walter Venditti assume ruoli da Primo ballerino. Nel 1949, nella stagione estiva all’Arena di Verona, è Primo ballerino in “Coppélia” e “Invito alla Danza” accompagnato da Olga Amati. Sempre nel 1949 affronta per la prima volta il repertorio tradizionale, che balla con protagonisti mondiali quali Yvette Chauviré, Margot Fonteyn, Robert Helpmann, Vladimir Scuratoff, per le coreografie di Michel Fokine riprese da Esmée Bulnes. Nel 1950 inizia a studiare con Esmée Bulnes e con Olga Preobrajenska per il repertorio classico a Parigi. Nella stagione 1950-51 rincontra Boris Romanov, a quell’epoca direttore del Corpo di ballo del Metropolitan di New York, e con lui danza nel balletto: “Pulcinella” scritto da Igor' Fëdorovič Stravinskij su musiche di Giovanni Battista Pergolesi avendo come compagno Jean Babilée. Nella prima metà degli anni Cinquanta cresce il suo interesse per la danza spagnola e collabora con i grandi Antonio Ruiz, Mariemma, Rosita Segovia, Antonio Gades. Con questi artisti danzerà nei ruoli principali in “Tricorno”, “La Vita Breve”, “Capriccio Spagnolo”, “España”, “Danze di Galaica”. Nel 1954-55 inizia la collaborazione con George Balanchine nel “Balletto Imperiale” a cui seguiranno “Allegro Brillante”, “Orfeo”, “Serenade”, “Sinfonia in Do”, “Palazzo di Cristallo” ed altri. Questo incontro influenzò tutta la sua carriera sia di ballerino che di insegnante, lo stile balanciniano gli è rimasto attaccato come una seconda pelle. Nel 1956-57 balla con Vera Colombo in “Nozze d’Aurora”. La sua grande capacità di adattarsi con bravura a tutti i ruoli gli fa guadagnare il soprannome di Jolly, inoltre gli permette di affinare e approfondire le conoscenze tecnico-didattiche dell’arte della danza, mantenendo relazioni e contatti con i migliori cultori del balletto in campo internazionale. Nel 1957-58 con le coreografie di Tatiana Gsovsky, direttrice del corpo di ballo dell’Opera di Berlino, balla le tre opere di Carl Orff. Nel 1958-59, oltre a continuare la sua attività di Primo ballerino, inizia la sua attività coreografica con la “Compagnia dei Commedianti in Musica” per il Teatro Olimpico di Vicenza coreografa “Tancredi e Clorinda”. Nel 1959-60 si reca in Francia, a Toulouse a Besançon con “Serenade”, “La Giara”, “España”, sempre come Primo ballerino. In collaborazione con Radio Lugano al Teatro Gónza crea due coreografie: “Pierino e il Lupo” di Sergej Prokofieff, “Il Mugnaio” tratto da una novella di Giuseppe Zoppi, musica di Giuseppe Scanniello. Nel 1960 viene chiamato a far parte della Commissione Artistica per il Ballo del Teatro alla Scala insieme a Mario Pistoni, il loro lavoro porto ad un ampliamento della stagione con un repertorio di venticinque balletti. Nel 1960-61 si cimenta in “Sebastian” di Giancarlo Menotti, “La Lampara” di Giancarlo Donatoni, “Il principe delle Pagode” di Benjamin Britten per la coreografia di John Cranko, a questo balletto prende parte anche Svetlana Beriosova. Nel “Vagabondo Azzurro” messo in scena da Luciana Novaro per la Piccola Scala Venditti è nell’inusuale veste di orchestrale ove suona le nacchere in modo folcloristico. Nel 1962, forma la sua prima compagnia con alcuni artisti tra i più in vista del momento, il complesso porta il nome di “Piccola Compagnia di Ponte San Pietro”. Tra il 1962 ed il 1963 inizia ad intensificare la sua attività di coreografo. In collaborazione con il regista Beppe Menegatti e con la moglie, l’étoile Carla Fracci, e Antonio Gades, portano per la prima volta all’Anfiteatro di Fiesole “II Teatrino di Don Cristóbal”, “Passo a Quattro” di Pugni, “Quattro Canzoni” di Kurt Weill, balletti per i quali cura le coreografie. Sempre nel 1963 al Teatro della Gran Guardia di Verona presentano “Pigmalione” di Rameau. Nel 1965 di nuovo all’Anfiteatro Romano di Fiesole porta in scena la commedia “Nozze di Sangue” con Paola Borboni, Lydia Alfonsi ed altri importanti nomi della prosa italiana; con Carla Fracci ballarono quaranta spettacoli in sessanta giorni con “La Luna e la Morte.” Dal 1963 al 1967 collabora con la coreografa Susanna Egri in tournée per l’Italia con i balletti: “Figliol Prodigo”, “Spirituals” e “Le Cinque Parabole”. Con Marcella Ottinelli, fonda a Roma l’Associazione Nazionale Tersicorei con lo scopo di fornire a tutti i ballerini che debbono, per esigenze di lavoro, spostarsi da una città ad un’altra una lezione quotidiana gratuita che li mantenesse tecnicamente in forma. In questo periodo fino alla prima metà degli anni Settanta balla con Rudolf Nureyev, tra i balletti più famosi si possono citare “Lago dei Cigni”, “La bella Addormentata” e “Lo Schiaccianoci”. Nel 1965 è promotore della “Compagnia dei Solisti della Scala” e al Teatro di Villa Celimontana a Roma, mette in scena come coreografo “Le Silfidi”, “Passo a Quattro”, “La Luna e la Morte”, ispirato a “Nozze di Sangue” di Federico García Lorca, “Concerto-Soiree”, “Arlecchinata”, “La Giara”. Dal 1969 al 1973 è costretto a sospendere la sua attività di ballerino a causa di un incidente. In quegli anni viene chiamato ad insegnare presso il Corpo di ballo della Scala e successivamente nella Scuola dello stesso Teatro. Nel 1974 riceve la Laurea come docente di danza dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1976 anno in cui lascia l’ente scaligero, fonda una sua Scuola di formazione professionale a Milano con l’abilitazione di 1° Grado del Ministero. Qualche anno dopo nel 1980 da vita alla compagnia del “Complesso Ambrosiano del Balletto”. Molti professionisti e numerosi allievi di livello avanzato hanno avuto l’onore di prendere lezioni direttamente dal Maestro Walter Venditti fin dai primi anni Ottanta. Professionisti e amatori hanno sempre trovato nella sua Scuola il luogo migliore per affinare le singole qualità e coltivare la passione coreutica.

Gentile Maestro, qual è il suo primo ricordo legato alla danza, e come l’ha scoperta?
Non l’ho scoperta, tutto lo si deve a mio papà che era amico del Maestro di danza della Scuola del Teatro dell’Opera di Roma, siccome io ero basso di statura aveva pensato che mandandomi a fare un po’ di movimento fisico potesse farmi bene, e qui è nato l’inghippo! Quattro anni dopo c’è stata la guerra, ho mangiato paglia e fieno, poi sono tornato all’Opera nel 1944 e sono entrato subito nel Corpo di ballo e da lì è iniziata la mia carriera di ballerino professionista.

Come ricorda il primo giorno in sala danza?
Guardi Michele è stato un incubo perché dovevo ballare un passo di tarantella e per impararlo ci sono voluti tre giorni tenendo fermo il Corpo di Ballo... non riuscivo a ritmare contemporaneamente braccia e piedi! Poi tutto è andato benissimo e da quel giorno niente e nessuno mi ha più fermato!

Qual è stata l’occasione del suo arrivo alla Scala?
Alla Scala non c’erano ballerini maschi, il Corpo di ballo era formato solo da femmine, ma il Maestro Aurel Milloss aveva bisogno di uomini per una sua creazione coreografica così chiamò diversi elementi da Roma, una volta giunto a Milano alla Scala non mi sono più mosso e ci sono rimasto per 45 anni... vita natural durante!

Come era la professione del ballerino ai suoi inizi?
A quei tempi era molto diverso da oggi, la gavetta era lunga. Ho preso parte a dei musical in cui dovevo fare la passerella ma non cantare, ero stonato davanti al microfono... mi dicevano “tu fai solo il cenno della bocca”, come si direbbe oggi “cantavo in playback”. Oltre alla danza classica ho avuto anche altre esperienze. Dovevo pur mangiare! Qualsiasi lavoro artistico che capitava dovevamo farlo, si accettava tutto, diciamo così!

Parlando di Maestri, qual è la dote che secondo lei non deve mai mancare in un allievo?
A parte l’aspetto fisico, le proporzioni, e la volontà che non deve mancare mai, perché il ballo è un sacrificio sia tecnico che mentale. Non è soltanto imparare una pirouette, quella col tempo la apprendono tutti prima o poi. Ma è il come viene eseguita la pirouette! È un po’ come un cantante che intona una romanza: o ci mette l’anima o forse è meglio che resti a casa... altrimenti i fischi si sprecano!!!

Lei Maestro ha debuttato in palcoscenico a soli otto anni, che ricordi conserva oggi?
Ad otto anni ho debuttato nel “Gugliemo Tell”, ma ancor prima ne “Gli Uccelli” su musica di Ottorino Respighi in cui interpretavo il pulcino insieme ad una ballerina solista russa che veniva da Mosca.

Ha avuto modo di collaborare con un grande artista come Massine, che uomo e artista è stato e cosa gli ha dato in termini professionali?
Un Maestro che diceva sempre “ti do, però tu mi devi dare”. Uno scambio, alla pari! Con lui ho fatto diverse cose, tutte molte interessanti, era spagnolo e lo ricordo con quell’abbigliamento tipico del suo paese. Ma il Maestro che mi ha dato più di tutti in termini di accrescimento è stato sicuramente Balanchine, c’è stata una collaborazione tra noi due praticamente paterna. Lui apprezzava particolarmente il mio modo di ballare. Rimontava le coreografie a memoria, si ricordava tutto. Ne abbiamo fatti diversi di balletti insieme, e con lui ho danzato nel suo ultimo “Orpheus”, che in precedenza aveva creato a New York nel 1948, e che io vidi a Parigi nell’allestimento originale. “Orpheus” è un balletto in puro stile neoclassico, tanto caro a Balanchine, in tre quadri su musica di Stravinskij. Tutti solitamente fanno soltanto il passo a due, invece prima c’era un soppalco con la gestante che partoriva, c’era poi uno tutto fasciato che rotolava, e veniva fuori Apollo. A me ha dato davvero parecchio Balanchine, e di questo gli sarò sempre grato.

Lo stile di Balanchine, che diede avvio ben appunto al neoclassico, era una danza veloce per quei tempi, e immagino anche difficile?
Molto difficile! Nel pas de trois io, Mario Pistoni e la Maiocchi dovevamo eseguire una sequenza che non ci riusciva. Pensi Michele che ci sono voluti un bel po’ di giorni prima di imparare, ed eseguire il passo come lui esattamente desiderava!!!

Ha avuto numerose partner in scena, chi è stata la preferita per empatia?
Con la Vera Colombo andavi sicuro, potevi anche fare i salti mortali che lei ti seguiva, era la partner ideale!

Per molti lo studio della danza classica è una scuola di vita, giusto?
Certamente Michele, è una scuola di vita, bisogna nutrire un grande interesse. Oggi purtroppo c’è parecchia gente che studia ballo ma poi non c’è il lavoro a sufficienza per tutti. Lo dico sempre a questi ragazzi che frequentano la mia Scuola: “ragazzi se volete lavorare fate la valigia e andate all’estero”. In Germania per esempio in ogni città c’è il suo piccolo corpo di ballo composto da dieci o venti persone... Lei pensi Michele che a Milano ai miei tempi andavano in scena differenti commedie musicali in una stagione teatrale, e ogni spettacolo aveva il suo Corpo di Ballo. E contemporaneamente trovavi nei vari teatri Wanda Osiris, Totò, Walter Chiari, Macario, e il lavoro non mancava mai... si iniziava ai primi dicembre e si continuava fino ad aprile senza interruzioni... e con il piacere di vedere i teatri sempre pieni!

Con cosa ha dato l’addio alle scene Maestro?
L’ho dato con il “Ballo Excelsior” alla Scala. Però se vogliamo proprio pensare all’ultima volta che ho ballato in palcoscenico davanti ad un pubblico ciò è avvenuto al Teatro Carcano di Milano, durante un Concorso per Scuole di danza, in cui mi sono esibito come ospite dell’evento nel balletto “La Giara” interpretando Zi’ Dima assieme alla mia Compagnia. Era il 1986 e ricordo di aver eseguito tutto il manège in palcoscenico per il grand jeté. Pensandoci bene anche durante un saggio della mia Scuola, nel 2011, ho danzato una piccola parte in “Gaîté Parisienne”.

Quando poi si è ritirato ha sentito la mancanza del palcoscenico?
Non ho sentito la mancanza del palcoscenico perché nel mentre insegnavo già, perciò è stato un ciclo del tutto normale.

Dei grandi balletti del repertorio classico qual è il suo preferito?
“Le Silfidi” e “Il lago dei cigni”. Sono due pietre miliari ed imprescindibili per l’arte della danza. Oggi le ballerine studiano tanto e ricevono anche un bel diploma, però quando devi calcare un palcoscenico il pezzo di carta in sé serve a ben poco se non si possiede l’attitudine alla danza, che vuol dire anche espressività, interpretazione, musicalità, interiorizzazione del ruolo, e soprattutto quel sentimento che diventa colore rendendolo visibile e comprensibile al pubblico. Nell’arte del balletto, e in generale, si racchiude il sapere dell’anima... ogni esibizione in palcoscenico porta con sé qualcosa di speciale e irripetibile.

Quali sono stati i ruoli che ha prediletto nella sua carriera?
Il Principe nella “Cenerentola”, Mercuzio che aveva il mio stesso carattere e temperamento, e nella “Silfide” il ruolo di James che è così forte e prestante.

Sul versante contemporaneo?
In primis “Balletto imperiale” una delle coreografie di Balanchine che è rimasta per lungo tempo nel repertorio della Scala, lo ricordo allestito per il Corpo di Ballo nel 1952 con Olga Amati, Gilda Majocchi e Giulio Perugini, ma anche in altre edizioni negli anni cinquanta-sessanta con Carla Fracci, Fiorella Cova, Roberto Fascilla, e in seguito con Liliana Cosi. Poi ricordo il capolavoro “Serenade”, sempre di Balanchine che lo aveva creato sui quattro movimenti della Serenata per archi op. 48 di Čajkovskij. Ebbene questi due titoli sono stati i miei cavalli di battaglia... aggiungerei anche “Orfeo” di Balanchine che nel cast originale era composto da trenta ballerini. Sono state davvero creazioni indimenticabili ed ancora oggi irraggiungibili!

Cosa predilige lasciare ai suoi allievi come insegnamento primario, oltre alla tecnica?
La passione per la danza, se non hai quella è inutile che ti attacchi alla sbarra.

Un pensiero per il Maestro Roberto Fascilla?
È stato un grande compagno, indelebile e memorabile! Ho perso anche un altro caro amico quando è venuto a mancare Mario Pistoni. Purtroppo è morto giovane, poteva dare ancora tanto al mondo della danza. Il suo capolavoro fu “La Strada” sulle musiche di Nino Rota, debuttò alla Scala nel 1966 con Carla Fracci nel ruolo di Gelsomina, Aldo Santambrogio in quello di Zampanò e Pistoni stesso nella parte del Matto, poi venne ripreso più volte, negli anni a venire, sempre con grande successo, anche con Oriella Dorella nella parte di Gelsomina. Di Pistoni ricordo inoltre il “Mandarino Meraviglioso” creato per Luciano Savignano sulle musiche di Béla Bartók.

Da ragazzino aveva un suo punto di riferimento?
Sicuramente Perugini, ci sono stati dei bravissimi allievi che poi hanno abbandonato la danza per vari motivi e si sono persi per strada, lui era il mio elemento di orientamento, è stato il mio faro. Ogni tanto ci sentiamo ancora telefonicamente!

Ha avuto anche qualche esperienza televisiva?
Sì, ma non mi piace la televisione. Non mi è mai piaciuta. Tre o quattro ore in studio, fermo, solo per aspettare che il regista posizionasse le luci... non faceva per me!

Parliamo della signora Bulnes? Lei ha studiato con la lady di ferro?
Sì! Conosceva a memoria i balletti, li rimontava in maniera stupenda, ad esempio “Le Silfidi”, “Il lago dei cigni”, “Giselle” e molti altri. Insegnava sia a Buenos Aires nella Scuola del Colón che nella città di La Plata come prima insegnante preparatrice del “Balletto Teatrale Argentino” e nella Scuola di danza da lei fondata. Faceva avanti e indietro. Una figura leggendaria, piccolina ma con una fortissima personalità.

Ha conosciuto e danzato anche con il grande Antonio Gades?
Nella danza spagnola! Abbiamo ballato insieme “Il teatrino di Don Cristóbal”, ricordo inoltre quando ho danzato con lui “la morte del cigno” in versione maschile.

È stata una buona compagna di vita la danza? Cosa gli ha dato di più bello?
Tutto! Posso dire che non c’è stato niente che io non abbia fatto senza la danza al mio fianco!

Purtroppo oggi nelle scuole di danza, in generale, non si insegna più la storia della danza?
Nessuno più la studia (ed insegna) seriamente. Ho insegnato ai miei allievi di non dare retta a Tersicore, lei non esiste... c’è Polimnia che è una figura della mitologia greca, una delle nove Muse, che presiede l’orchestica, la pantomima e ben appunto la danza unite al canto sacro ed eroico, ed in più è collegata alla memoria, alla geometria, alla retorica e alla storia, giustappunto! I miei allievi mi seguono abbastanza quando gliela racconto, conoscono delle nozioni importanti. Ho scritto anche due libri sulla Storia della danza. E lei Michele lo sa bene perché l’ultimo me lo ha revisionato lei.

I ragazzi di oggi conoscono poco delle grandi figure del passato, a parte Nureyev?
Sì, infatti conoscono lui e Baryshnikov, e anche Nijinsky, quelli che in qualche modo hanno fatto più “rumore” nel senso di rivoluzione.

Come ha scoperto l’arte della coreografia? Da ballerino a coreografo?
Il mio insegnamento è già di per sé coreografico, altrimenti non è altro che esercizio fine a sé stesso. Ogni mia lezione inizia con un battement tendu e finisce con una variazione completa.

Che ricordi nutre della Piccola Scala, ormai scomparsa?
Alla Piccola Scala ho fatto un balletto, suonavo in un’orchestra, non mi ricordo esattamente il titolo, però rammento che le coreografie erano di Luciana Novaro. Era davvero un “teatro nel teatro” che assomigliava ad una piccola bomboniera... poi ci hanno fatto un magazzino e alla fine è stata abbattuta!

Lei ha anche formato una sua compagnia?
Sì, la “Piccola Compagnia di Ponte San Pietro”. Eravamo in dodici solisti, a Milano, e facevamo tutto. Siamo stati sponsorizzati da una fabbrica di frigoriferi e lavatrici. Bei tempi! Per vent’anni ci siamo esibiti in tanti luoghi, tenevamo circa 25 spettacoli all’anno.

Ha anche fondato a Roma l’Associazione Nazionale Tersicorei?
Alla fine purtroppo non è partita questa Associazione, diciamo così! Però sono stato promotore di molte altre iniziative... ad esempio sono stato l’organizzatore della “Compagnia con i Solisti della Scala. Ho fatto anche un balletto per i “New Trolls”.

Che rapporto ha avuto nella sua carriera con lo specchio?
Nessuno, se fosse per me lo coprirei! Ho un’allieva molto brava che ogni tanto mi fa arrabbiare. Le dico sempre “tu non devi studiare, devi ballare”. Nella sala alla sbarra si mette sempre davanti allo specchio, e questo non va bene affatto.

Che soddisfazione è stata quando ha ricevuto il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana?
Mi ha fatto piacere, ricordo che avvenne durante la presidenza di Francesco Cossiga... ma ho anche pensato che dopo tanti anni di onorata carriera mi spettava in qualche modo quel titolo.

Se potesse tornare indietro rifarebbe tutto Maestro?
Né più, né meno, esattamente così fino ad oggi! Dico sempre ai miei ragazzi “è inutile che vi arrabattate, tanto quando il buon Dio fa così col dito bisogna andare”... non c’è niente da fare! Io posso dire che la mia vita me la sono goduta, con la danza, con le donne, con la famiglia, con tutto! Non ho tralasciato nulla, quindi se me ne vado... me ne vado contento: felice e beato!

Chiudiamo con una sua definizione della danza?
La danza rispecchia la vita perché c’è movimento. Il bambino nasce nella pancia e già danza, esce fuori e la prima cosa che fa è quella di muoversi. Muovendosi già balla! Ho una nipotina di due anni che si muove tutta e con la sua gambetta sembra davvero che danzi. Ci sono diverse mamme che vengono alla mia scuola con bambine piccole. Ricordo che c’è stato un anno che sembrava diventata una nursery. La danza è vita!

Michele Olivieri

Ultima modifica il Sabato, 23 Gennaio 2021 19:07

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