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INTERVISTA a PAILA PAVESE - di Francesco Bettin

Paila Pavese. Foto Sergio Bertani Paila Pavese. Foto Sergio Bertani

Figlia e nipote d’arte (Nino e Luigi Pavese, attori e doppiatori importanti), ne ha seguito le orme imparando sul campo, come si dice, il mestiere. Attrice e doppiatrice anche lei infatti, Paila Pavese si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, ha lavorato da subito con nomi quali Gabriele Ferzetti, Vittorio Gassman, e poi Gigi Proietti, Orazio Costa. A inizio anni Settanta è stata una delle fondatrici del Gruppo della Rocca, ensemble teatrale di impegno civile. Significativa poi la sua collaborazione con Vittorio Gassman (Otello, Ulisse e la balena bianca, Camper) per passare poi a numerosi altri spettacoli con compagnie private. Come doppiatrice ha prestato la voce ad attrici come Anjelica Huston, Kim Basinger, Jessica Lange, Michelle Pfeiffer, Carmen Maura, Nathalie Baye, vincendo il premio del Festival “Voci nell’ombra” per il film “Una relazione privata”, e nei cartoni animati al personaggio di Jessica Rabbit, e tanti altri. Abbastanza di recente è stata tra gli interpreti di “L’idea di ucciderti” di Giancarlo Marinelli, con Fabio Sartor e Caterina Murino.

Cosa serve secondo lei per fare del teatro? Oggi vediamo che spesso basta essere un po’ noti grazie alla tv, non è un po’ poco?
Se si ha un talento naturale, va anche bene, ma è raro. Secondo me ci vuole una scuola. Anche se vengo da una famiglia di attori io stessa ho fatto l’Accademia, a Roma, i tre anni e il saggio, e poi ho iniziato a lavorare. Per salire su un palcoscenico ci vogliono delle basi, ed esperienza. Un personaggio bisogna studiarlo bene. Poi, appunto può esserci qualche eccezione, un talento vero, naturale.

Le scuole teatrali sono moltissime in Italia o sbaglio?
Sì, ce ne sono tante che spesso neanche conosco, come per il doppiaggio. Se sono buone o meno certo dipende da chi ci insegna, per me le più valide rimangono l’Accademia e il Centro Sperimentale di Cinematografia. E quelle di Genova, Torino e quella del Piccolo, di Milano, ci insegnano veri professionisti del settore.

Essere figlia d’arte l’ha aiutata nell’imparare il mestiere?
Sì, certo, da ragazzina andavo molto a teatro anche quando recitava mio papà, stavo dietro le quinte, nei camerini. Mi ha aiutato la passione, che mi è venuta facendo quella vita.

E’ stata una fondatrice, con altri, del Gruppo della Rocca, storica formazione che perseguiva il teatro di stampo sociale, impegnato. Cosa ci dice di quegli anni?
Era un modo un po’ diverso di fare teatro, con innovazione. La scelta dei testi, il modo di rappresentarli hanno dato un imput considerevole in quel periodo che è stato molto apprezzato. Per me è stata un’esperienza importantissima, ci aiutavamo molto fra noi e dietro le quinte era uno spettacolo quasi come quello che andava in scena, un grande divertimento. E poi mi sento di dire che abbiamo fatto anche degli ottimi spettacoli, con registi come Guicciardini, Marcucci, lavorando nove mesi l’anno. E vedo che anche i giovani sanno chi eravamo.

In confronto a quel periodo storico, il teatro di oggi quanto è cambiato?
Molto, tutto è cambiato. I tempi, il modo di farlo. A parte gli Stabili poi, nessuno produce più e poi molte compagnie private non pagano o lo fanno dopo sei mesi, un anno, c’è questo brutto vizio da un po’ di tempo, allora non succedeva. E poi anni fa c’erano anche alcune avanguardie che sono state ottime, valide.

Cosa pensa del teatro contemporaneo di oggi?
A me piace molto quando si affrontano le problematiche del giorno d’oggi, i conflitti, la vita quotidiana, la coppia, la famiglia. Sono testi che apprezzo molto, noto anche che il pubblico li vede volentieri.

Parliamo del doppiaggio, altro suo mondo. Pregi e difetti in un paese come il nostro? E’ giustamente valutato il vostro lavorare, riconosciuto?
Adesso, devo confessare, ci sono alcuni doppiaggi fatti molto male, ormai si fanno anche senza saper recitare, cosa che non è possibile, anche se non tutti, ci mancherebbe. Anni fa poi le voci si distinguevano, mentre adesso non so riconoscerle, non riesco a capire di chi siano. Ma ci sono tanti doppiatori bravissimi in italia, anche tra i giovani. Il doppiaggio italiano penso che sia il migliore di tutti, anche a detta degli attori stranieri che solitamente sono contenti di essere doppiati in quella determinata maniera.

Quello del doppiatore, in particolare, possiamo dire che è un lavoro che ha delle salvaguardie, dei diritti acquisiti, o no?
Direi di no, è come per gli attori di prosa e cinema, non è un lavoro molto tutelato. Come per tutto c’è serietà da qualche parte e da qualche altra no, e non lo so se la questione è anche politica.

Lei ha doppiato nomi straordinari, o personaggi come Jessica Rabbit. Quali sono le soddisfazioni maggiori che ha avuto?
Sicuramente con Jessica Rabbit mi sono divertita molto, ed è rimasta la cosa più importante che io abbia fatto, perché quel film l’hanno visto tutti, anche i giovani di adesso e quando si viene a sapere che io sono la voce è una bella soddisfazione. Questo nonostante abbia fatto cose anche più importanti, come doppiare appunto la Huston nella “Famiglia Addams”, o Sigourney Weaver in vari film, e nel più importante “Gorilla nella nebbia”. Peccato che pochi l’hanno visto e in televisione non lo trasmettano mai. Quando lo doppiavo mi sono emozionata, ho pianto. E’ un film al quale sono molto affezionata.

Un attore con cui ha lavorato che non dimenticherà?
Sono due. Sicuramente Vittorio Gassman e Gigi Proietti, punti di riferimento sia come attori che nella vita, grandi amici. Con Vittorio poi eravamo legatissimi, facevamo vacanze, Natali, Capodanni assieme. E lo stesso con Proietti. Con loro ho fatto le risate più belle della mia vita, erano molto bravi anche come registi tutti e due. Poi sono molto legata alle cose fatte con Roberto Guicciardini, mancato tre anni fa, con lui ho fatto degli spettacoli molto belli. Sono molto affezionata anche ad Antonio Calenda.

Non c’è una tendenza tutta italiana a dimenticare i grandi, una volta che sono venuti a mancare?
Ha ragione, si tende a dimenticare. Ogni tanto fanno qualche servizio in tv, ma in genere se ne parla sempre poco. E a parte i nomi famosissimi, ci si dimentica anche di grandi attori come Giulio Brogi o Ennio Fantastichini, e tanti altri che non ci sono più e che potrebbero essere ricordati meglio.

A un giovane che le chiedesse un consiglio per lavorare nello spettacolo cosa direbbe?
Di studiare, andare in una scuola di recitazione. Ma di avere soprattutto la passione, vera. Nient’altro.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 28 Ottobre 2020 11:30

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