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INTERVISTA a EUGENIA COSTANTINI - di Francesco Bettin

Eugenia Costantini. Foto Adele Costantini Eugenia Costantini. Foto Adele Costantini

Ha appena interpretato Antoinette in un reading de “Il ballo” tratto dal testo di Irène Némirovsky, presentato con la mamma, Laura Morante, a Padova, nella rassegna “Musikè”, in una riscrittura curata da loro due e da Elena Marazzita. Ma Eugenia Costantini è ormai da qualche anno un’attrice impegnata su più fronti, che ama il suo lavoro, in tutte le forme artistiche. Nata a Roma, ha studiato teatro nella capitale e a New York, e ha vissuto in Francia. Si divide tra teatro, televisione e cinema, che ama allo stesso modo.

Buongiorno Eugenia, il suo curriculum mostra la sua versatilità sia in teatro che nel cinema. Ha mai pensato di fare una regia, spostando la prospettiva da interprete a chi dirige?
Si, ci ho pensato tanto, per la verità è una cosa a cui aspiro, anche se non so quando riuscirò a farla. Ma mi interessa moltissimo, ho scritto già un po’ di cose, soprattutto penso a un film su delle ragazze giovani, a cui tengo molto, chissà se un giorno riuscirò a realizzarlo.

Tra le varie discipline, teatro, cinema, tv, ha qualche preferenza, qualcuna dove si muove più a suo agio?
La televisione ha un solo difetto: la fretta. Quando si può ovviare a quel difetto, mi piace molto farla. Il cinema e il teatro sono complementari, sono molto diversi ma anche simili per alcuni aspetti. Penso che a un attore se fa tanto cinema manchi il teatro, e viceversa. Diciamo che sono amori diversi, adesso mi manca un po’ il teatro e un po’ di nostalgia c’è quando mi vengono in mente alcuni ricordi. Penso a “Locandiera B&B”, o alla “Dodicesima notte”, con Carlo Cecchi, ad esempio.

Una domanda che è un po’ una battuta. Come si lavora con un’attrice di grande esperienza e mestiere come Laura Morante? Faccia finta che non sia sua mamma.
Direi ottimamente, mi sembra che mia madre sia un’attrice facile, non ha delle problematiche particolari in compagnia. Anche quando giravamo assieme per “Locandiera B&B” eravamo un gruppo sereno, in tournée stavamo bene. Adesso siamo io e lei sole perché questo reading lo riprendiamo ogni tanto e anche il rapporto è comunque più gestibile. Comunque stiamo bene assieme, perché con lei è già da qualche anno che ci troviamo in un modo o in un altro a collaborare, abbiamo un gusto comunque simile, le nostre opinioni spesso convergono.

La ormai plurifamosa ansia da palcoscenico è una cosa che si supera col tempo, o che rimane sempre, e vien fuori a ogni occasione?
In realtà l’ansia e l’emozione ci sono sempre. In questo spettacolo specifico c’è una facilitazione, essendo una lettura recitata abbiamo i fogli, perché poi un classico terrore è il buco di memoria che può capitare, e che credo terrorizza ogni attore, non solo quelli un po’emotivi . Si riversa tutta l’ansia sulla memoria, e fare una lettura chiaramente almeno placa quell’ansia a meno che i fogli non volino via. In ogni caso c’è meno pericolo, si ha meno paura del vuoto. Però l’emozione, quando c’è il pubblico, e si sta per iniziare si avverte, la sento anch’io. E’ una paura dell’ignoto, di qualcosa che può tradirti all’ultimo momento.

Probabilmente, essendo adrenalina, è un piacere anche sottile o no?
Si’, è anche bello, non si può dire che è una cosa morta, ecco.

Si fa un gran parlare in Italia del ruolo dell’attore, che pare sempre troppo poco difeso. Lei che ne pensa?
Non è che mi sento molto tutelata in effetti. Adesso un gruppo di attori, forse ne ha sentito parlare, ha creato un’associazione che si chiama U.N.I.T.A., fondata per cercare di aiutare di più la categoria, chiedere per l’appunto più tutele, diritti. In Italia la questione è tosta, si sa che questo è un lavoro intermittente ma si sa che questa cosa non è contemplata, quindi si fa una vita difficile.

E’ un problema solo italiano, a suo parere?
Beh, diciamo che in Francia, dove ho vissuto tanti anni ad esempio, è comunque un’intermittenza che aiuta proprio perché è un mestiere così, per sua natura. Aiuta avere un finanziamento nei momenti in cui non si lavora, perché anche questo fa parte del mestiere dell’attore. Già con questa cosa è difficile conviverci, soprattutto in certi periodi. Speriamo in Italia di arrivare almeno a questo. Sinceramente poi non conosco la situazione in altri Paesi, quindi non lo so com’è in giro.

Cosa piacerebbe molto fare a Eugenia prossimamente? Ha qualche sogno da realizzare professionalmente?
Ho proprio un sogno, da sempre, che è quello del musical, modello anni ’50, hollywoodiano che è la mia maggiore aspirazione, il sogno di una vita. E poi i classici, mi piacerebbe molto portare in scena Cechov, o ancora Shakespeare. Ma anche i testi contemporanei mi piacciono, a teatro vorrei fare tante cose, perché è una tale scuola…

In questo reading “Il ballo” tratto dal romanzo della Némirovsky lei è Antoinette, figlia piena di rabbia verso la madre. Ci parla un po’ di questo impegno?
La proposta mi è arrivata da Elena Marazzita e Aida Studio, e sia io che mia madre abbiamo trovato il libro molto divertente. La nostra è una versione particolare, abbiamo riscritto alcuni pezzi per poterli rendere molto più fluidi, con un linguaggio più diretto, immediato. Il testo del resto si presta molto bene a questa rielaborazione.

Adesso sta preparando qualcosa?
Per la televisione sto lavorando in una serie tv su Francesco Totti, in cui faccio sua madre da giovane.

Che cosa sono per lei, giovane attrice, gli applausi caldi, sinceri, che il pubblico fa a fine spettacolo?
Sono un vero conforto, fanno molto bene soprattutto quando si ripensa alle cose che in scena magari sono state sbagliate. E’ il momento in cui le persone ti comunicano fisicamente la loro approvazione, quindi è molto importante. E’ anche effimero perché svanisce, e devi cercare di ricordartelo ogni tanto. Ma se non ci fossero gli applausi, sinceramente non so se si potrebbe fare questo lavoro.

Si sente l’applauso convinto, e anche quello di circostanza?
Sì, come no? Ma è un po’ come la questione del pubblico diverso, magari ti sembra di aver fatto sempre la stessa cosa ogni sera e invece c’è chi ride a crepapelle una sera, e chi è gelido il giorno dopo. Ma sono tutti quei misteri affascinanti che fanno parte del teatro.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Sabato, 24 Ottobre 2020 11:14

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